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IL SOCCORSO VERSO UN MALCAPITATO
Forse la rivelazione più toccante dell’attenzione e della compassione per chi soffre ci viene offerta dalla parabola del buon samaritano (Lc 10,30-35), che può assumere tinte rivelatrici sulla persona stessa di Gesù.
1. Una situazione drammatica
La parabola è introdotta con queste parole: “Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei briganti, i quali, spogliandolo e producendo piaghe, se ne andarono, lasciandolo mezzo morto”.
La strada da Gerusalemme verso la ricca pianura di Gerico, la città delle palme, dei giardini e delle fonti termali, attraversa una regione accidentata, semidesertica, frequentata solo da viaggiatori frettolosi e da fuorilegge. Fino all’inizio del ventesimo secolo era un percorso insicuro, lungo il quale vi era sempre il pericolo degli assalti di briganti. Proprio in quella strada un passante viene violentemente aggredito e malmenato, rimane prigioniero fra le mani dei banditi, sopraffatto dalla loro ferocia. Dopo essere stato bastonato a sangue, giace esanime sulla strada, abbandonato a se stesso, nella incapacità di muoversi e di reagire in qualche modo, per riprendersi e trovare soccorso. La situazione è di estrema emergenza. È lampante che quel malcapitato abbia bisogno di aiuto ed è altrettanto ovvio che prestare assistenza costituisca un impegno di non poco conto, poiché comporta la rottura della trama e del programma prefissati; può causare un pericolo personale, per il troppo indugiare in quel luogo pernicioso.
Al versetto seguente si racconta che fortunatamente, “per caso”, passa un sacerdote, non una persona qualsiasi, ma l’uomo addetto al culto, custode e proclamatore della legge santa. Anche lui percorre il medesimo tragitto, anche lui potrebbe trovarsi nella stessa dolorosa condizione. Vede il malcapitato: riconosce pertanto la gravità della situazione, si rende conto di ciò che è successo. Questo è il dato di fatto.
Sconcertante suona la conclusione: “Il sacerdote passò oltre”, dall’altra parte. Neanche un attimo di sosta né un briciolo di pietà. La preoccupazione per se stesso, il senso della propria dignità, per non dire il richiamo alla comodità, sono state realtà più forti della compassione verso l’uomo abbandonato.
Il versetto successivo narra di un altro uomo, anch’egli addetto al culto, un levita, dirigente delle sante liturgie nel tempio. Pure lui, come il sacerdote, transita per quella strada, vede lo sventurato, non se ne cura, ma prosegue il cammino.
Resta il fatto straziante che l’uomo, maltrattato dai briganti, è ancora lì, bisognoso di assistenza, fra la vita e la morte. Chi lo potrà aiutare? Ci sarà mai una persona generosa, altruista, che avrà il coraggio di fermarsi? Oppure il povero uomo sarà destinato a essere lasciato lì a morire? Sembra abbandonato da tutti: e dai briganti, dopo che gli hanno fatto del male, e dai due uomini di culto, indifferenti. Si troverà qualcuno che avrà la forza, la generosità, il tempo per avvicinarsi?
2. Il samaritano buono
Qualcuno arriva: è uno sconosciuto samaritano, cioè uno straniero. Dallo straniero odiato non ci si può aspettare normalmente che odio. Se gli altri due, appartenenti allo stato religioso, non si sono scomposti, tanto più potremmo pensare che costui di certo non si fermerà. In effetti risulta quanto mai forte e radicato l’odio reciproco tra giudei e samaritani.
Gesù prende come esempio un nemico per suscitare nei giudei che lo ascoltavano il senso vero e pieno dell’amore, come un invito a ritrovarne la misura giusta e imprevedibile. Se avesse segnalato un sant’uomo, avrebbero potuto obiettare che la capacità di amare è caratteristica esclusiva di chi è perfetto, ma avendo scelto un nemico dichiarato provoca realmente una revisione di vita, non solo per coloro a cui era diretta la parabola, ma per gli uditori di tutti i tempi.
Questo uomo, un samaritano e un avversario, assurge a vero protagonista; nella sua figura la parabola tocca vertici veramente alti. In lui, nella sua persona, nel suo modo di comportarsi, nei suoi sentimenti, si svela man mano una grandezza d’animo insospettata, una sensibilità incomparabile, una generosità senza limiti. A lungo Gesù lo descrive, lo osserva, si ferma dettagliatamente su di lui, delineandone un quadro suggestivo e fascinoso. Mentre sugli altri due offre appena un cenno, per indicare che se ne sono andati via, non solo allontanandosi dal malcapitato, ma anche dalla considerazione dell’ascoltatore. Si sono dileguati come nel vuoto. Di essi non resta nulla, se non l’amarezza della loro rigidità interiore. Del samaritano invece Gesù vuole mettere in rilievo l’intima movenza del cuore, la prestazione incondizionata, l’amorevole cura.
Egli “era in viaggio”, certamente non per una gita di piacere o per turismo, ma per affari. La sua patria si trova a nord e perciò attraversare un territorio straniero per lui è più pericoloso rispetto agli altri due. Avrebbe potuto reagire con maggior indifferenza, riconoscendo che non spettava a lui affrontare situazioni di una persona estranea e nemica, fuori com’era dal suo paese e dagli usi a lui familiari. Come gli altri due, passa accanto allo sventurato e lo vede. Nel suo caso però il testo sacro aggiunge: “Ne sente compassione”, cioè ha viscere di misericordia. È un modo di dire per indicare la parte interiore della donna, le viscere materne, che si muovono, si lasciano impressionare, si inteneriscono. Da lì, dalla commozione intima, ha origine ogni azione. L’atto caritatevole nasce dal di dentro.
Luca aveva accennato alla compassione di Gesù per la vedova di Nain, poi descriverà la compassione del padre verso il figlio prodigo che ritorna. La compassione sta all’inizio ed è sorgente e spinta dei gesti di amore. Il samaritano ha occhi aperti e cuore pronto ad aiutare. Di fatto interviene. Subito si accosta, cioè si fa ancor più vicino, guarda, tocca. È l’atteggiamento contrario a quello degli altri due, che si sono distaccati, passando dall’altra parte.
Egli nota anzitutto le ferite e vi pone un rimedio istantaneo con i mezzi a sua disposizione, una specie di pronto soccorso improvvisato: tampona le piaghe asciugandone il sangue, vi versa olio e vino, il primo come sedativo, il secondo come disinfettante, poi le fascia. Si tratta di una protezione immediata, ma sufficiente per non far peggiorare la situazione. Pur essendo in viaggio e dovendosi sbrigare, non si preoccupa di perdere tempo. Non fa calcoli su come riuscire a cavarsela nel modo più rapido, comodo, indisturbato e innocuo possibile. L’intervento per prestare aiuto richiede noie e pesi; la benevolenza concreta costa sacrificio e impegno, esige superamento delle difficoltà.
Appena fasciato, lo carica sul giumento, l’animale di sua proprietà, su cui era salito e vi sedeva. Offre il suo posto all’altro, come fosse se stesso, mentre lui ora percorre la strada a piedi per condurlo alla locanda più vicina. Cerca per costui un luogo di accoglienza e di protezione; non lo lascia sulla strada, ma lo porta con sé.
3. Disponibilità totale
Sono gesti di grande disponibilità e bontà. Probabilmente molte persone fino a questo punto si sarebbero comportate allo stesso modo. Ma l’amore arriva a un livello più alto, come fa notare Gesù.
Il samaritano si prende cura del povero infermo, dopo che lo ha scortato fino all’albergo. Poteva lasciarlo lì e lui andarsene via, avendo fatto fin troppo per quello che era in suo potere. Invece alla locanda lo assiste ancora con maggior premura, gli sta accanto, vegliando per tutta la notte, pronto a dargli aiuto qualora avesse avuto bisogno di qualcosa.
Il mattino seguente, non potendo fermarsi più a lungo, ma dovendo proseguire il suo viaggio d’affari, estrae due denari per pagare all’albergatore. Dona qualcosa di suo, in corrispondenza al salario di due giornate. Sapendo che il pover’uomo non ha denari perché derubato dai briganti, supplisce con i suoi soldi. Non solo, ma sollecita il locandiere ad avere cura di lui. Con questo coinvolge un’altra persona nella complessa operazione della carità. Nello stesso tempo gli dice: “Ciò che spenderai in più, io, quando ritornerò, te lo renderò”. In tal modo mostra di avere un amore altamente disinteressato, anzi vi rimette il denaro di persona.
Da questi dati si vede bene come la persona del prossimo prenda il primo posto nel cuore del samaritano: gli altri interessi e faccende non hanno più valore primario. Tutto in qualche modo resta subordinato alla premura e alle cure verso colui che ha bisogno e che diventa l’attrazione principale. I sentimenti, le attenzioni, i gesti sono orientati a soccorrere l’indigente che ha incontrato sulla strada e a cui si è avvicinato, a coglierne le esigenze, a considerarne le emergenze e le possibili soluzioni. Ciò che conta è che l’altro viva e stia bene. Perché questo accada, occorre l’amore, perché solo l’amore fa vivere. Tutto ha origine da quei tre verbi con i quali è presentato, fin dall’inizio, l’uomo samaritano: passò accanto, lo vide, ne ebbe compassione.
Gesù presenta un amore talmente elevato, che normalmente non si riscontra nella concretezza della vita. Secondo anche il commento degli antichi padri della Chiesa, nelle linee che dipingono la figura del samaritano non è errato riconoscere la persona stessa di Cristo, nel suo amore compassionevole verso tutti i sofferenti, che lo ha spinto a condividere la loro medesima esistenza per confortarli e guarirli. Però egli non vuole mettersi in mostra presentandosi come modello da imitare; trasfonde il suo grande amore in questo samaritano, davanti al quale i suoi seguaci devono confrontarsi ed essere stimolati a vivere con il medesimo amore. Il contesto del brano è incentrato propriamente sul discepolato. A ogni suo seguace Gesù rivolge quelle parole conclusive e impegnative: “Va’ e anche tu fa’ lo stesso”.
Don Renzo Lavatori
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