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SIMBOLI E NOMI DELLO SPIRITO SANTO
Chi è lo Spirito
Santo? Come si può esprimere e rappresentare la sua persona, il suo essere
proprio?
Non è facile dare una definizione precisa e umanamente accessibile dello Spirito
Santo. Infatti delle tre divine Persone egli è il più misterioso e nascosto. Del
Padre conosciamo i lineamenti descritti da Gesù, le cui caratteristiche possono
essere avvicinate alla figura umana della paternità. Il Figlio si è manifestato
nella perfetta realtà umana, quando si è incarnato ed è diventato uomo in tutto
simile a noi, eccetto il peccato. Dello Spirito Santo invece non conosciamo
alcuna rappresentazione adeguata, possiamo solo intravedere il suo mistero
attraverso dei simboli o delle immagini che sono state proposte dalla Scrittura
e dalla tradizione della Chiesa. Le più usuali sono: il vento e il soffio; la
colomba e il fuoco; l'olio dell'unzione e l'acqua; il Paraclito; il dono. Li
analizzeremo alcuni in questo articolo e altri nel prossimo.
1. Il vento e il soffio. Si inizia con queste due prime immagini perché il
termine ebraico rùach come quello greco pneuma possono significare, oltre lo
Spirito di Dio, anche il vento oppure il respiro e l'alito dell'uomo. A noi
interessa soltanto il significato simbolico o la pregnanza dell'immagine che ci
fa meglio capire la misteriosità dello Spirito Santo.
Il "vento" indica la dinamicità e quindi la spazialità e la sua libertà, in
quanto è il movimento dell'aria, che corre veloce e in molteplici direzioni;
caratteristiche queste, proprie dello Spirito. In particolare il vento sta a
significare l'essere sottile e impalpabile dello Spirito Santo. Il vento, alle
volte leggero e rinfrescante, come la brezza, altre volte impetuoso e forte,
come l'uragano, può essere paragonato allo Spirito che ispira dolcemente la
mente e il cuore degli uomini, oppure scuote le coscienze e le travolge con
forza per un rinnovamento totale.
Il "soffio" o il "respiro" vitale è ciò che fa vivere e trasmette la vita. Tutto
ciò che esiste e ha vita sulla terra è provocato dal soffio di Dio (Sal
104,29-30). Il collegamento tra il soffio e lo Spirito Santo è stato ben
rimarcato dall'evangelista Giovanni sia al momento della morte di Gesù sia nel
giorno di Pasqua. Gesù sulla croce "consegnò lo spirito" (Gv 19,30), indicando
l'ultimo respiro di un uomo che sta morendo, ma anche invitando a scorgervi il
dono escatologico dello Spirito sugli uomini. Inoltre Gesù, dopo la risurrezione,
"alitò sui discepoli e disse: ricevete lo Spirito Santo" (Gv 20,22). Lo Spirito
Santo dunque è come l'alito o il respiro della vita interiore del Figlio;
esprime la potenza vitale che Cristo vuol comunicare o, più precisamente, è il
soffio del Risorto che diffonde la sua vita filiale, contro cui non ha più
potere la morte né il peccato.
Il soffio o il vento indica anche la spontaneità, l'imprevedibilità. Per questo
lo Spirito Santo agisce sempre in modo nuovo, al di là delle programmazioni o
degli schemi prefissati. Nessuno può rendersi conto da dove venga e dove vada (Gv
3,8), come il vento la cui forza e il cui orientamento sono insondabili.
2. La colomba e il fuoco. La "colomba" è il simbolo più usuale per indicare lo
Spirito santo, in riferimento al battesimo di Gesù al Giordano. Infatti tutti
quattro gli evangelisti raccontano la discesa dello Spirito in forma di colomba
(Mc 1,10; Mt 3,16; Lc 3,22; Gv 1,32). Non si tratta di un'apparizione visibile
dello Spirito, quanto piuttosto di una rappresentazione simbolica, in quanto lo
Spirito è inteso come la forza soave e mite che viene riversata su Gesù e lo
sospinge verso il suo ministero. Essa sta a significare l'amore benevolo di Dio
che avvolge il Cristo
Alcuni Padri della Chiesa hanno visto nella colomba un'allusione al diluvio, in
quanto le acque del battesimo possono ricordare le acque del diluvio (Gen
8,8-12), quando la colomba ha segnato la fine del castigo e l'inizio di una vita
nuova sulla terra. Per questo il diluvio è considerato come figura del battesimo
(1Pt 3,20-21), il quale toglie il peccato e comunica la rinascita in Cristo. In
tal senso nella colomba viene espresso un simbolo di pace e di riconciliazione
tra Dio e gli uomini, soprattutto è indicato l'amore divino che perdona i
peccati e pone fine alla forza distruttrice del peccato.
Altri studiosi hanno collegato la colomba con l'inizio della creazione, quando
"lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque" (Gen 1,2), volendo significare la
forza fecondatrice e ordinatrice dello Spirito che, come colomba, volteggia
sopra l'universo in formazione per portarvi l'ordine e la bellezza, per
imprimervi l'armonia e la bontà quali riflessi dell'essere divino. Al momento
del battesimo di Gesù s'instaura un nuovo mondo, fondato non più sul peccato, ma
sulla pacificazione degli uomini con Dio, il quale li riconosce e abbraccia come
figli nella potenza del suo Spirito.
Altri ancora sottolineano nel paragone della colomba il movimento che essa fa
quando svolazza sopra i suoi piccoli, accostandosi ad essi, senza toccarli, ma
avvolgendoli della sua protezione e del suo amore. Ciò sottolinea sia la
trascendenza e l'essere celeste dello Spirito sia la dolcezza e la cura amorosa
della sua azione verso gli uomini.
Anche "il fuoco" è rapportato allo Spirito Santo, secondo le parole di Giovanni
il Battista: "Egli vi battezzerà in Spirito santo e fuoco" (Mt 3,11) e di Gesù
stesso che afferma: "Sono venuto a portare il fuoco sulla terra e come vorrei
che fosse già acceso" (Lc 12,49). Il fuoco sta a mostrare l'amore nuovo e grande
che Gesù irradia sull'umanità e che egli vive profondamente fino al dono di sé
sulla croce. Si tratta dell'amore di Dio che si fa presente, in Cristo e per
Cristo, sulla terra, ricolmandola della sua luce e del suo calore. Così le "lingue
di fuoco", che si posano sui discepoli a Pentecoste, vogliono esprimere l'ardore
bruciante che infiamma i loro cuori per spingerli all'annuncio della buona
notizia fino agli estremi confini del mondo.
Questo fuoco, simbolo dell'amore di Dio, ha un duplice effetto: quello
d'illuminare e riscaldare, quello di bruciare e annientare. Si tratta
dell'azione interiore dello Spirito Santo, che accende di amore i cuori, ma
insieme distrugge tutto ciò che vi si oppone. Egli sa portare luminosità e
splendore, conforto e sostegno, ma sa anche annientare e distruggere le erbe
secche e inaridite, che impediscono lo sbocciare di nuovi frutti e di nuova
vita.
3. L'olio dell'unzione e l'acqua. Dal fatto che la parola Messia significa
"Unto" e che alcuni testi messianici descrivono il Messia ricolmo dello Spirito
di Dio, nasce l'accostamento tra l'olio e lo Spirito. Inoltre il collegamento
tra l'unzione e lo Spirito Santo è desunto dal testo di Is 61,1, dove la persona
descritta dal profeta è consacrata con l'unzione in quanto lo Spirito del
Signore è su di lui. L'unzione divina dunque indica la presenza permanente dello
Spirito sull'eletto di Dio, affinché possa adeguatamente svolgere la sua
missione. L'olio, che serve per attuare l'unzione, possiede le proprietà della
forza e della gioia, della salute e della bellezza. Queste medesime
caratteristiche sono applicate allo Spirito Santo.
Nel battesimo al Giordano Gesù è stato unto di Spirito Santo e di potenza (At
10,38; cf. Lc 4,18). Con l'unzione Gesù dà inizio al ministero della
predicazione e all'attuazione della salvezza redentrice per l'umanità, che avrà
il suo culmine con la morte in croce e con la risurrezione. Bisogna però tener
presente che non solo la pasqua di Cristo è sotto lo Spirito, ma tutta
l'esistenza terrena di Gesù va colta alla luce della consacrazione e santità
dello Spirito in quanto fin dall'inizio è stato concepito nel seno di Maria per
opera dello Spirito Santo (Lc 1,35).
L'olio possiede anche la capacità di curare e di guarire le ferite, di lenire i
dolori e di ammorbidire il corpo e conservarlo: proprietà queste, che si
riferiscono anche all'azione consolatrice e plasmatrice dello Spirito Santo. I
cristiani, similmente a Cristo, sono consacrati nel sacramento del battesimo e
della cresima, dove sono ricolmati della forza e della luce divina per vivere e
testimoniare la loro fede (cf. 1Gv 2,2o.27).
Il simbolo dell'acqua spesso nell'AT è posto in relazione con l'effusione dello
Spirito Santo, secondo il testo di Is 44,3 (cf. 32,15ss). La salvezza messianica
è descritta nell'abbondanza dell'acqua che produce fertilità e salute. Da
quest'acqua viene dissetato l'uomo alla ricerca di Dio (cf. Sal 42,2-3; 63,1-2),
in modo che la sua anima arida, come un deserto, sia irrorata e riprenda vita.
Nel NT tale simbolismo continua, accostando l'effusione dello Spirito
all'immersione nelle acque del battesimo, come annuncia Giovanni Battista (Gv
1,33) e come Gesù stesso conferma con la necessità di rinascere da acqua e da
Spirito (Gv 3,5). Gesù promette fiumi d'acqua viva, cioè l'abbondanza dello
Spirito Santo, a colui che crede in lui (Gv 7,37-39). Quest'acqua sgorgherà dal
suo fianco squarciato sulla croce (Gv 19,34; cf. Ap 22,1).
4. Il Paraclito. Gesù, parlando ai discepoli nel cenacolo, prima della sua
passione, chiama lo Spirito Santo con il nome di "Paraclito", come documenta il
vangelo di Giovanni (Gv 14,16.26; 15,26; 16,7). Il termine letteralmente
significa "colui che è invocato" (da para-kaléin = chiamare in aiuto) ed
è
tradotto giustamente con "avvocato" (ad-vocatus = chiamato presso qualcuno) o
difensore oppure mediatore, in quanto compie la funzione d'intercessore o
soccorritore. I Padri della Chiesa lo hanno inteso anche come "consolatore", ma
in senso derivato, poiché il difensore o avvocato si fa strumento di protezione
e di conforto.
Gesù dice che lo Spirito Santo è "un altro Paraclito" (Gv 14,16), volendo con
ciò mostrare che il primo Paraclito è lui stesso e che l'azione dello Spirito
Santo sarà simile e in continuazione con la sua. Infatti Cristo è il difensore,
perché si è messo dalla parte degli uomini colpevoli di peccato affinché fossero
difesi e giustificati, salvandoli e redimendoli con la propria morte e
risurrezione. Ora, dopo che Gesù è asceso al cielo, anche lo Spirito Santo è il
Paraclito in quanto è presente nei discepoli, al fine di renderli fedeli alla
verità del vangelo e suoi annunciatori coraggiosi, in modo che siano valido
strumento di risanamento degli uomini da ogni peccato per trasformarli in figli
di Dio. In particolare lo Spirito Santo è l'avvocato e il difensore degli
apostoli e dei cristiani, quando questi dovranno affrontare le avversità e le
persecuzioni degli uomini (Gv 12,15,26-27). Sarà proprio il Paraclito a
suggerire e a insegnare in quei momenti ciò che bisogna dire (Lc 12,12; cf. Mt
10,17; Mc 13,11). Ciò è avvenuto fin dai primi testimoni, che hanno annunciato
la buona novella di Cristo fino all'effusione del sangue con il martirio, come
nel caso di Stefano protomartire (At 6,10).
5. Il Dono, lo Spirito e l'Amore. Lo Spirito Santo
è chiamato anche "il Dono" e
questa determinazione è forse la più adatta per indicare la complessità e la
profondità della sua realtà. In effetti il dono costituisce un dato
esperienziale comune e accessibile alla conoscenza umana e insieme contiene
molteplici significati che comprensivamente possono essere riferiti alla persona
e all'azione dello Spirito Santo, in modo che ne acquisti una luce maggiore. La
Scrittura, come anche la Tradizione, il magistero della Chiesa e la liturgia
affermano più volte che lo Spirito santo è "il Dono di Dio altissimo" (nell'inno
del vespro di pentecoste), oppure "dono ineffabile" o anche semplicemente "il
dono dello Spirito Santo", come appare nella formula sacramentale della cresima:
"Ricevi il sigillo del dono dello Spirito santo". Sembra che "il Dono"
costituisca il nome personale e specifico dello Spirito Santo.
In particolare il dono è segno e strumento di amore e di comunicazione
interpersonale; esso manifesta anche lo spirito interiore di coloro che si
donano. In tal modo è svelato il suo volto proprio e luminoso, con i nomi a lui
caratteristici: Amore - Spirito - Comunione, immettendoci nel cuore del suo
mistero. Egli è il Dono eterno e sussistente con cui il Padre si relaziona e si
comunica al Figlio e il Figlio si abbandona e si dona al Padre; è il loro
abbraccio beatificante e infinito che li rende un solo spirito di comunione e di
vita.
L'enciclica "Dominum et vivificantem" (1986) di Giovanni Paolo II si dilunga a
scandagliare la vita intima delle tre divine persone e a cogliere, in
particolare, il senso e il valore della persona dello Spirito Santo. Egli viene
individuato come amore e dono personale: "Si può dire che nello Spirito
Santo Dio esiste a modo di dono. E' lo Spirito Santo l'espressione personale di un tale
donarsi, di questo essere amore. È persona-amore. È persona-dono." (n.10).
L'essere divino appare, in forza dell'essere dono dello Spirito santo, un atto
di donazione reciproca nell'amore tra Padre e Figlio. Proprio lo Spirito, nella
sua realtà personale di dono e di amore, consente alle persone divine di farsi
dono una con l'altra e di essere totalmente e concretamente comunione di amore.
Lui è il segno o la manifestazione più totale e personale di questa eterna
comunicazione del Padre e del Figlio. Perciò egli è definito "la persona amore e
la persona dono", cioè il soggetto che si fa dono eterno di amore.
DON RENZO LAVATORI
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