-
3 / 62 |
FRAGILITA' E GRANDEZZA DELL'ESSERE UMANO
Una utile considerazione
riguarda la consapevolezza armonicamente equilibrata della duplice
irrinunciabile componente dell’essere umano, da cui scaturisce la saggezza del
vivere: da una parte la sua miseria e dall’altra la sua nobiltà, la sua pochezza
accanto alla sua grandezza, cioè la presa di coscienza sempre antica e sempre
nuova delle giuste connotazioni metafisiche del soggetto umano. Da qui,
dall’autentico concetto di sé, nasce la capacità per l’uomo di sapersi
relazionare in modo vivo e costruttivo verso i suoi simili e le cose del mondo,
per un fruttuoso sviluppo della vita nelle sue numerose sfaccettature, senza
lasciarsi deviare in atteggiamenti e comportamenti disordinati e pericolosamente
opposti alla vita stessa.
A questo proposito illuminanti appaiono le parole del salmo, dove si proclamano
davanti alla signoria suprema di Dio la piccolezza e insieme la nobiltà della
creatura umana:
“Che cosa è l’uomo perché te ne ricordi
e il figlio dell’uomo perché te ne curi?
Eppure lo hai fatto poco meno degli angeli,
di gloria e di onore lo hai coronato” (Sal 8,5-6)
Tale accostamento dei due elementi, che compongono l’essere dell’uomo, determina
da un verso la sua inconsistenza, ma dall’altro indica la sua elevatezza al di
sopra delle altre creature terrene, fino ad avvicinarsi al grado eminente
dell’angelo. Ci si chiede quale sia la causa di questa duplice composizione, che
appare per un certo senso quasi contraddittoria, ma ne rivela invece la
complessità e la bellezza, facendone un armonico concentrato di materialità e di
spiritualità, di tenebrosità e di luminosità, di fugacità e di fermezza
imperitura, come abbracciando in sé due mondi lontani, se non diametralmente
contrapposti: il celeste e il terrestre. Da qui la denominazione di “microcosmo”
riferita propriamente all’uomo.
1.
La piccolezza dell’uomo è data propriamente dall’atto creatore, in forza del
quale si è adempiuto il passaggio dalla non-esistenza all’esistenza, dal nulla
all’essere. Ciò costituisce il vero salto metafisico, che pone la distinzione o
la lontananza insuperabile tra l’ente assoluto e necessario, l’ipsum esse
subsistens, colui che esiste per se stesso senza richiedere altra causa
produttrice, cioè l’essere divino, e l’ente contingente e precario, quello
appunto che è stato causato dall’intervento creatore e che risulta composto di
limitatezza entitativa, poiché dipendente dal soggetto che lo ha posto in
esistenza. Per questa radicale motivazione la creatura umana non può
assolutamente ritenersi autonoma nel suo esistere, né poter pensare di essere
lei stessa il padrone o il produttore della sua entità. Da qui il suo limite
invalicabile e l’origine della sua piccolezza metafisica, l’inizio indiscutibile
e fermo del suo esserci e del suo vivere nella storia. L’uomo in tal modo
acquista la consapevolezza profonda di se steso quale soggetto storico,
delimitato nel tempo e nello spazio, il cui inizio e la cui fine non possono
essere stabiliti da se stesso, ma derivano da Colui che lo ha posto
nell’esistenza per un atto di potenza infinita e di amore gratuito e generoso.
Perciò l’esistenza gli è stata donata e consegnata gratuitamente e liberamente
da un Altro, infinitamente superiore all’uomo.
Sta qui il senso più radicato della sua creaturalità, la sua demarcazione
insormontabile, la sua pochezza ontologica; l’uomo proviene da Dio, è una sua
fattura. Questo forma il dato fondamentale che va accolto e vissuto in intima
consapevolezza e serenità, che non può essere mai dimenticato o sottaciuto, ma
che rivela la verità totale dell’essere umano e pertanto la sua gioiosa
autocoscienza. Egli non deve perdere il senso ultimo del suo ex-sistere, cioè di
essere posto in essere da qualcuno più grande di sé, da cui non è possibile
distaccarsi senza cadere nell’annientamento di se stesso e del mondo che lo
circonda. Non può presumere falsamente ed erroneamente di essere lui l’inizio o
l’origine di se stesso, ritenendosi autosufficiente. Ne scaturisce l’atto
sublime e luminoso di verità e di umiltà basilare, da cui non si può scappare e
che rende il soggetto umano dignitosamente leale e rispettoso, onesto e giusto,
cioè veritiero con se stesso e perciò costruttore della sua autentica
personalità.
2.
La nobiltà dell’uomo nasce anch’essa dalle parole del libro della Genesi, in cui
si racconta la sua creazione da parte di Dio, il quale disse: “Facciamo l’uomo a
nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli
uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i
rettili che strisciano sulla terra” (Gen 1,26). Dicendo che l’uomo è fatto a
somiglianza di Dio, si afferma che la sua realtà, il suo essere è simile a
quello di Dio. Si nota immediatamente il balzo di qualità che eleva la piccola
creatura umana verso le altezze vertiginose della divinità; quell’essere
plasmato dalla polvere della terra, di fatto possiede in sé una impronta divina.
Niente di più sublime e grandioso, La somiglianza con Dio consiste concretamente
di rendere l’uomo una persona, cioè un soggetto pensante e volente, libero e
responsabile, interlocutore di Dio, suo partner ed amico, con cui Dio vuole
stabilire un rapporto di reciproca comunione nella donazione di uno all’altro,
nel colloquiare quasi alla pari, come fossero della medesima famiglia. Tutto ciò
sorprende e gioiosamente meraviglia. Di questo evento l’uomo deve prendere
coscienza per scoprire e contemplare la nobiltà del suo essere, l’elevatezza
della sua persona, per sentire e vivere la sua piena dignità e la sua autentica
signorilità. L’uomo è colui che parla con Dio, sta di fronte a Dio suo creatore
come fosse partecipe della sua stirpe, risponde liberamente a Dio, potendo
accettare o rifiutare il suo amore.
In effetti l’uomo si ritrova come colui al quale si può rivolgere la parola. Ciò
significa che egli viene considerato e costituito nella sua dignità di persona
idonea la colloquio, nel momento in cui Dio gli parla e lo ritiene capace di
relazionarsi a lui ed entrare in comunione con lui. L’uomo così scopre in se
stesso la sua vera nobiltà, propria di un soggetto che ha una parola da
accogliere e da proporre, un sentimento da esternare verso l’altro. Ne segue che
si coglie come qualcuno aperto verso gli altri, distinto ma insieme correllato
ad altri soggetti simili a lui, libero di rendersi disponibile al rapporto e
costruire una socialità di conoscenza e di amore. In tal modo egli realizza
l’affermazione di se stesso quale persona libera e responsabile non solo di
fronte ai suoi uguali e al mondo terreno, ma in modo concreto e principale di
fronte a Dio, perché egli decide della propria esistenza se accettarla quale
risposta di amore e corrispondenza di fede al suo creatore.
Veramente mirabile e inaudita dignità dell’essere umano! L’importante che essa
venga riconosciuta, accolta e vissuta.
3.
Questi due elementi sono coessenziali e vanno assolutamente tenuti
assieme e avvinti l’uno all’altro, senza tuttavia confonderli o sminuirli: da
una parte la finitezza umana, la sua dipendenza creaturale, e dall’altra la sua
alta dignità e nobiltà personale. Essi non si possono scindere o separare,
affermando l’uno e negando l’altro a seconda dei casi, altrimenti l’uomo perde
il senso autentico di sé, il suo essere se stesso e di conseguenza il suo
rapportarsi verso gli altri. Quando l’uomo rompe l’armonica esistenza dell’uno e
dell’altro elemento della sua costituzione essenziale, di fatto precipita nella
negazione di sé, nello sfacelo della propria e dell’altrui persona e pone in
atto il disordine generale
In effetti il soggetto umano, proprio in forza della sua dignità personale,
della sua libertà d’azione, della sua coscienza interiore, si pone nella
possibilità di due riscontri davanti a Dio: quello di entrare nella sua
comunione in modo sincero e disponibile, oppure quello di chiudersi nel proprio
egoismo e rifiutare liberamente la sua adesione a Dio e il suo interferire con
lui. Nel primo caso si rafforza nella sua vita onesta e consapevole, crescendo e
maturando nella propria personalità intelligente e socievole, nel secondo caso
invece precipita in un profondo egoismo o egocentrismo, che lo ripiega in se
stesso, incapace di vedere gli altri e le cose in modo giusto e quindi sapersi
ad essi relazionare costruttivamente, ma tutto imbastisce in funzione di se
stesso. Perdendo il contatto con la fonte originaria della sua esistenza, l’uomo
si ritrova nel suo nulla e nella sua inconsistenza, in ragione appunto di aver
perso la sua signorilità di persona somigliante a Dio, e insieme si ritiene
erroneamente di essere lui il padrone di sé e del mondo, dissolvendosi nel
proprio vano e rovinoso orgoglio.
Ne seguono due effetti deleteri e disastrosi, a causa di avere accentuato un
aspetto della realtà umana a discapito dell’altro, avendo cioè operato la
divisione tra i due elementi coessenziali. In una prima evenienza l’uomo
riconosce e ammira soltanto la sua grandezza, senza tener conto dei limiti
inerenti al suo essere finito, misconoscendo o rinnegando la sua metafisica
povertà, per ritenersi illusoriamente al di sopra di se stesso ed ergendosi a
padrone assoluto della propria vita e di quella altrui, pensando di poterla
manovrare secondo i suoi capricciosi interessi. Di fatto diviene un alienato, un
diverso da quello che è, non più consapevole di sé, ma altezzoso, presuntuoso,
al di fuori di ogni regola e rispetto o di legittima barriera, facendosi
oppressivo verso gli altri e violento, arrogante, strafottente, incurante della
finitezza propria e del suo dovere di rendere ragione alla verità e alla bontà
delle cose. Veramente da queste sciagurate premesse tutto diventa possibile,
anche ciò che umanamente sembrerebbe impossibile.Purtroppo i fatti di cronaca
contemporanea ne danno una tragica e sconvolgente conferma.
In una seconda evenienza,
l’uomo considera e accetta soltanto la sua piccolezza e miseria, non apprezzando
sufficientemente la sua alta dignità,. In tal modo si mette in una situazione
non più sua, ma al disotto di sé, in corrispondenza degli esseri a lui
inferiori, cioè alle bestie. Avvinto al proprio istinto passionale ed emotivo,
privo di razionalità e di coscienza personale, è portato a negare o ignorare
responsabilmente i valori etici e spirituali, la dignità della propria persona e
di quella degli altri. Diventa un essere mostruoso, che cresce smisuratamente
nel corpo e negli aspetti materiali del benessere fisico, mentre la sua anima si
rimpicciolisce fin quasi a disperdersi nell’evanescenza e nel nulla. Di fatto
anche lui non è più se stesso, nel senso opposto al caso precedente, poiché
rinnega il suo vero essere, considerandosi meno di quello che è e ponendosi nel
rango avvilente dell’ignavo e dell’insipiente, dello stolto e dell’incivile,
dell’istintivo e dell’impulsivo. A questo punto tutto precipita in rovina e non
si dà più alcuno spazio ad una sana e proficua edificazione di alcunché di buono
e di utile. Tutto va alla malora e alla deriva delle mode passeggere e insulse.
Da qui la necessità per l’uomo odierno di ricuperare un giusto concetto di sé,
senza frodi o inganni di diminuzioni o di maggiorazioni non corrispondenti alla
verità del suo essere creaturale. Egli accetta i propri limiti, senza traumi o
complessi inibitori, perché sa di essere stato creato e posto nell’esistenza da
Dio, sa di possedere delle meravigliose facoltà d’intelligenza e di volontà, di
sensibilità e di generosità; per cui intende metterle in opera con efficacia,
collaborando con il suo creatore, per usare saggiamente di esse, senza farsi
delle vani illusioni né intraprendere delle imprese più grandi delle sue forze.
In questa maniera contribuisce efficacemente allo sviluppo e alla maturazione
della vita umana sulla terra, con ordine e armonia, nel rispetto delle esigenze
proprie e altrui, senza sopraffazioni o ingiustizie. Ne segue un sano rapporto
con gli altri esseri umani e li riconosce nella verità del loro essere, uguale
al suo, ricco e povero insieme, misero e nobile. Per questo non può disprezzare
o emarginare o odiare l’altra persona come fosse inferiore a sé e indegna
dell’essere umano; oppure non può esaltarla eccessivamente o idolatrarla quasi
fosse un essere divino e onnipotente, prostrandosi al suo servizio da schiavo
anziché da uomo libero e responsabile. Tutti sono creature di Dio fatte a sua
immagine e somiglianza, pur essendo impastate di creta e avendo i limiti propri
della natura umana. Emerge un concetto esatto degli altri, come quello di se
stesso, provocando un rapporto di comunione sincera e fattiva, costruita sulla
verità e sull’amore.
Ne deriva
conseguentemente un equilibrato riferimento verso le cose del mondo, che
costituiscono l’habitat dell’uomo, l’ambiente vitale del suo essere e del suo
agire. Il credente sa che tutto è dono di Dio, del suo amore e della sua
provvidenza, affinché gli uomini abbiano il necessario e il dilettevole per la
loro vita e la loro crescita. Egli gode di tutta questa abbondanza e di queste
meraviglie esistenti per il suo bene, per il bene di tutti; ma egli sa anche che
queste cose non sono a sua totale e arbitraria disposizione, come se ne fosse il
padrone dispotico e capriccioso. L’uomo deve sapersi identificare ad un
amministratore saggio e giusto degli svariati doni naturali e cosmici, per cui
li rispetta, li ammira e se ne usa nella debita elaborazione, ma non può
sfruttarli abusivamente e irregolarmente, al solo scopo egoistico del proprio
benessere. Se egli va fuori di tale ordine e di una sana prospettiva, causa mali
incalcolabili sul patrimonio genetico e naturale della terra e dei suoi
abitanti, come oggi amaramente si constata.
D’altra parte non può rendersi schiavo dei beni terreni, attaccandovi il cuore e
facendo di essi un assoluto, mettendoli al primo posto nella vita e nei
pensieri, in modo da soffocare gli altri risvolti interiori di spiritualità. Si
attua così una posizione menzognera e tenebrosa, conducendo gli uomini verso i
lidi aridi e banali, dove signoreggia solo il denaro, la sessualità sfrenata, il
carrierismo vanitoso, il possesso avido o il dominio prepotente. Si può dire in
verità, come afferma ripetutamente Benedetto XVI, che la società odierna cade
nella dittatura del relativismo e del soggettivismo quale regola incondizionata
di vita. Al contrario, rientrando in se stesso e riscoprendo un sano concetto di
sé, la persona umana sa discernere, per saper distinguere e volere ciò che è
bene, è vero e giusto e rifiutare il male, il falso e l’ingiusto.
Viene da gridare con S. Leone Magno: o uomo, riconosci la tua grandezza e
insieme accetta la tua piccolezza! Sii quello che sei: una creatura eccelsa per
la somiglianza con Dio e un essere minuscolo per la realtà limitata del tuo
essere finito. La Vergine Maria l’aveva stupendamente capito quando ha cantato
il suo poema: “L’anima mia magnifica il Signore, perché ha guardato l’umiltà
della sua serva…Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente…Ha rovesciato i potenti
dai troni, ha innalzato gli umili” (Lc 1,46.52).
3 / 62 |