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ESPERIENZA E TESTIMONIANZA DELL'AMORE PATERNO DI DIO
Gesù non ha altro
interesse che onorare il Padre e cercare la sua gloria. In questo modo Egli
rivela la paternità di Dio da cui ogni paternità prende nome . Per conoscere ciò
che è il Padre, non dobbiamo rifarci ai padri umani, ma al Padre da cui ogni
modalità di amore autenticamente paterno assume valore e significato. Gesù ha
svolto unicamente il compito: che tutti possano conoscere il Padre. Parla così
spesso del Padre, con interiore interesse e compiacenza, da far scaturire la
domanda di Filippo: “Ci vuoi far conoscere il Padre?”. Gesù risponde: “Ma,
Filippo, chi vede me, vede il Padre!”. Dunque, la paternità divina si rivela e
si manifesta nel suo splendore attraverso la figliolanza di Cristo, fino al
punto che il Figlio incarnato non solo parla del Padre, ma, manifesta e
trasmette il volere e l’amore del Padre. Quando rimette i peccati, quando compie
miracoli di guarigione, di liberazione, di esorcismo, non fa altro che
trasferire l’amore infinito del Padre Celeste nelle creature umane, in modo che,
quale Figlio, si mostra il canale unico e privilegiato attraverso cui gli uomini
possono scoprire la dolcezza, la tenerezza, la grandezza, l’infinita amabilità
del Padre. Questo è lo scopo della sua missione, questo è l’ annuncio della
buona notizia, per cui noi creature umane abbiamo potuto conoscere un Padre
meraviglioso, che è Dio. Il Padre di Gesù Cristo e nostro Padre.
Gesù ha permesso che questa sua Figliolanza e unione con il Padre venisse
installata nei suoi discepoli per mezzo dello Spirito, dal quale noi veniamo
assorbiti e per il quale siamo inseriti in questa dinamica filiale di amore, nel
momento del nostro Battesimo. Il Padre al Battesimo al Giordano dice al Cristo:
“Tu sei il mio Figlio prediletto nel quale mi sono compiaciuto”, quelle parole
le possiamo risentire rivolte a noi stessi, perché il Padre ce le ha comunicate
nel giorno del nostro Battesimo, e continua a ripetercele. Dall’altra parte noi
possiamo gridare dal profondo del nostro animo: “Abbà!, Papà mio dolcissimo,
nelle tue mani consegno il mio spirito! Io vivo per te, posso vivere perché io
sono in te, perché Tu mi sostieni, perché sono il tuo figlio!”. L’espressione
“mi sono compiaciuto”, non esprime altro che la compiacenza del Padre su
ciascuno di noi, per attuare il progetto che Egli intende compiere su ogniuno di
noi, come è stato per Cristo. Quel “compiaciuto” significa che il Figlio sarà
così docile fino al sacrificio supremo della Croce, come il Servo sofferente di
Isaia. Ugualmente noi siamo figli “compiaciuti” dal Padre, se viviamo
nell’atteggiamento di totale docilità a Lui.
Ciò è avvenuto anzitutto in
Maria. Ella, accettando la volontà Divina, si rende totalmente disponibile al
Padre diventando sua Figlia amata, prediletta, e insieme, però, assumendo la
fisionomia di quel Figlio, il Cristo, che Lei ha concepito virginalmente e poi
ha partorito. E’ tale osmosi tra Maria e il Figlio suo che la rende la creatura
prediletta e amata dal Padre. Ciò vale anche per tutti noi.
Da questo punto di vista si deve dire che nessuno può trasmettere la paternità
se non ha vissuto la figliolanza, non lo può; è impossibile perché solo il
Figlio conosce il Padre, solo il Figlio è inserito nell’ abbraccio paterno del
Padre. E quando Giovanni dice la bellissima espressione: “ Dio, il Padre,
nessuno lo ha mai visto, ma proprio l’Unigenito, che è nel seno del Padre, Lui
ce lo ha rivelato”, cioè Lui ce lo ha fatto conoscere, lui ce lo ha comunicato.
Il termine “Seno del Padre” significa proprio quell’affidamento, quella intimità,
in cui il Figlio si appoggia al petto del Padre e percepisce i battiti più
reconditi del suo cuore paterno. Li percepisce, ne gioisce, li accoglie, li
vive. Per questo è rigenerato, liberato rafforzato e immerso nell’ amore paterno.
Una volta che la creatura umana, resa figlia nel figlio Unigenito, si abbandona,
si affida come l’Unigenito nel Seno del Padre, sperimenta tutte le movenze, i
sentimenti, la profondità, la delicatezza del cuore paterno, ed è pronta a
trasmetterle anche agli altri. Se non vive questa filiazione divina, rimane
schiavo del peccato, non realizza il passaggio da serva a figlia.
Ne deriva che non solo non sperimentiamo l’amore paterno, che è la realtà più
bella del cristianesimo, ma siamo impediti psicologicamente, spiritualmente, a
comunicare quel medesimo amore agli altri. Anziché donare l’amore redentore,
santificatore e liberatore del Padre, comunichiamo, purtroppo, le nostre
conflittualità, le nostre tensioni interiori, le nostre insicurezze,il nostro
servilismo, la nostra prigionia dentro il proprio egoismo. Da qui deriva la
mancanza di apostolato, di missionarietà che dovrebbe caratterizzare ogni
cristiano. Maria ha saputo dare Cristo al mondo, perché ella per prima si è resa
Figlia docilissima del Padre.
La conclusione è chiara: solo il figlio che ha conosciuto la tenerezza
dell’animo paterno di Dio può trasmettere l’amore paterno agli altri; nessuno
può essere padre per se stesso, ma solo perché attraverso di lui, piccolo e
povero strumento, passa l’amore infinito, originario del Padre Celeste. Questa
la vera testimonianza cristiana dell’amore paterno di Dio.
Don Renzo Lavatori
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