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Approfondimenti

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CHIESA RETTORIA  S. PAOLO

ALLE TRE FONTANE

in collaborazione con il

settore NUOVI CULTI

 Vicariato di Roma

 

Quaresima 2012

"La lontananza definitiva da Dio"

Ciclo di conferenze

 di  Renzo Lavatori

domenica 11 marzo

 

La lontananza definitiva da Dio

 

Proseguiamo in questa escursione ultraterrena, come un viaggio, che facciamo verso l’aldilà, che ci farà capire meglio, valutare meglio la vita presente. 

Questa sera faremo un viaggio un po’ impegnativo e pauroso: andremo all’inferno,  non certo per restarci, ma per poter in qualche modo intravederlo perchè resta sempre un mistero, di una grande, e paradossalmente, luminosità. 

Questo argomento fa sempre impressione e viene trattato poco, anzi direi che nelle nostre catechesi questo tema viene sempre scartato, come se non esistesse, ma è un grave errore.  Non solo perchè non corrisponde alla verità rivelata da Cristo e dalla Chiesa, ma anche perchè fa male al cuore e all’anima.  L’inferno è un grande stimolo, come ha già detto il Catechismo della Chiesa Cattolica, [1] è un grande risveglio per la nostra fede.

Alcuni sono anche arrivati ad affermare che l’inferno non esiste, oppure che è provvisorio, in attesa che alla fine dei tempi sarà trasformato, per cui quelli che sono all’inferno saranno inseriti nella gloria eterna.  Ma questa è un’eresia che la Chiesa ha scartato dall’antichità,  [2] e non l’ha mai approvata perchè Gesù ne parla con grandissima chiarezza.  Dunque la parola di Gesù non è invenzione della Chiesa, non è uno spauracchio per toglierci la serenità e la pace. 

 

Ora fermeremo l’attenzione su tre punti  fondamentali:

1.      L’esistenza e realtà dell’inferno: esiste veramente l’inferno?

2.      La sua natura e le sue caratteristiche: come si può in qualche modo illustrare e spiegare la vita infernale

3.      Le pene e le sofferenze. Quali sono?

 

Ora vediamo il primo punto:

 

L’esistenza e realtà dell’inferno.

 

Non è una pia fantasia non è una ricostruzione emotiva o soggettiva di alcune persone tormentate dalla realtà dell’inferno. E’ una verità che viene proposta dalla divina rivelazione perchè ne parla la Sacra Scrittura in modo molto chiaro e viene accolta anche dai primi documenti del Magistero della Chiesa e dalle professioni  antiche della fede che poi ripetiamo anche nella domenica con il  Credo (Simbolo niceno-costantinopolitano) fino ai documenti recentissimi del Magistero.  Questa affermazione dell’esistenza dell’inferno è ininterrottamente sostenuta e affermata da tutta la tradizione cristiana. [3]e anche nelle apparizione, come in quella a Fatima, riconosciuta dalla Chiesa; i tre pastorelli hanno avuto la possibilità, donata loro dalla divina grazia, di vedere la realtà dell’inferno.  Questa realtà dunque è stata messa nel Depositum fidei e fa parte della nostra dottrina cristiana.  Se usciamo fuori da questo non siamo né cattolici né cristiani, non si può andare dietro a ciò che si pensa, ma a ciò che Dio ha rivelato. 

Sin dalla professioni antiche di fede si afferma questa verità fondamentale.  In uno dei simboli più antichi che è il simbolo Quicumque o credo Pseudo-Atanasiano si afferma: quelli che fecero il bene andranno alla vita eterna; quelli che fecero il male al fuoco eterno”. [4] Questa verità è stata proposta anche in altri concili successivi fino a quello molto solenne Lateranense IV, del 1215  quando si dice esplicitamente che l’inferno non solo esiste, ma che è eterno. Anche molti papi  hanno parlato di questa realtà   fino ai documenti più recenti, e al Concilio Vaticano II che ha ripreso l’idea della condanna eterna. [5]E così nel Catechismo della Chiesa cattolica si dice:

 

1035 La Chiesa nel suo insegnamento afferma l'esistenza dell'inferno e la sua eternità. Le anime di coloro che muoiono in stato di peccato mortale, dopo la morte discendono immediatamente negli inferi, dove subiscono le pene dell'inferno, "il fuoco eterno"  (CCC 1035)

Ma queste cose che la Chiesa ha affermato non l’ha inventate lei, le ha colte dalla Sacra Scrittura, in particolare dal Nuovo Testamento in cui Gesù le ha ribadite più volte.

 

 Se ricordate anche Giovanni il Battista predice questa verità quando afferma:  

 Già la scure è posta alla radice degli alberi: ogni albero che non produce frutti buoni viene tagliato e gettato nel fuoco. Mt 3,10

E’ una simbologia ma esprime molto bene questo taglio dalla radice dell’albero che poi  viene bruciato. Per il Battista sarà proprio Cristo che dovrà svolgere questo compito:

 Egli ha in mano il ventilabro, pulirà la sua aia (cioè la Chiesa)  e raccoglierà il suo grano nel granaio, ma brucerà la pula con un fuoco inestinguibile”. Mt 3,12

Perciò Giovanni già predice questo evento che viene compiuto dall’avvento di Cristo nostro redentore e salvatore. 

Nel  Vangelo si parla di un peccato imperdonabile contro lo Spirito, compiuto da chi non crede alla divina Misericordia e non accoglie la redenzione operata da Cristo, cioè non riconosce di essere peccatore e non accetta di essere perdonato, non per le proprie qualità ma per la grazia di Cristo che si offre sulla croce. 

Gesù dice: Qualunque peccato e bestemmia sarà perdonata agli uomini, ma la bestemmia contro lo Spirito non sarà perdonata. A chiunque parlerà male del Figlio dell’uomo sarà perdonato; ma la bestemmia contro lo Spirito, non gli sarà perdonata né in questo secolo, né in quello futuro.[6] Mt 12,32.  

Gesù alle volte è molto forte nelle sue espressioni quando si rivolge a delle persone che sono indurite nella loro incredulità.

Vi ho detto che morirete nei vostri peccati; se infatti non credete che io sono, morirete nei vostri peccati[7].Gv 8,24  Se la creatura umana non accetta questa totale disponibilità all’amore di Gesù e si chiude in sé stessa, è come incapsulata nel proprio egoismo e rimane prigioniera della mancanza di vita, perchè Gesù è fonte di vita.

In un’altra occasione, spiegando la parabola della zizzania e del grano che crescono insieme,  Gesù dice:  Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti Mt13,49

E così quando parla nel discorso, prima della sua morte Gesù dice:

 Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono della sua gloria. 32E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri   46E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna”.Mt 25…  E’ chiarissimo!

Come anche quando Gesù smaschera l’incredulità di coloro che apparentemente sembra che vogliono seguirlo e dice queste parole:

 Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli. Mt 25,41 E in un altro momento dichiara: Non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, voi operatori di iniquità. Mt 7,23

Gesù farà anche delle considerazioni molto profonde quando dice: Se il tuo occhio destro ti è occasione di scandalo, cavalo e gettalo via da te: conviene che perisca uno dei tuoi membri, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geenna[8]. Mt 5,29

Un’altra frase forte di Gesù:

Serpenti, razza di vipere, come potrete scampare dalla condanna della Geenna? Mt 23,33

Quindi è meglio addirittura perdere qualcosa di se stessi, piuttosto che andare tutto intero alla condanna eterna.

Quindi sia i dati biblici che sono molto chiari, per cui non possiamo non riconoscere le dichiarazioni di Gesù, sia i dati magisteriali che hanno accolto questa verità, attestano l’esistenza e l’eternità dell’inferno.

 Adesso passiamo al secondo punto, cioè come possiamo attraverso l’aiuto della ragione, illuminata dalla fede, chiarire in qualche modo, anche balbettare qualcosa sulla:

 

La natura e le caratteristiche dell’inferno

Cominciamo con la domanda: che cosa è l’inferno? Cosa significa questa realtà di condanna eterna.

L’inferno, a livello della ragione umana, sembra assurdo per due ragioni:

la prima è antropologica, che riguarda l’essere umano, e l’altra è teologica, e sono obiezioni che ancora oggi si fanno. 

La ragione  antropologica è quella in cui non ci si rende conto come l’uomo, un essere finito e debole, possa compiere un’azione così grave da meritare una punizione eterna.  Come mai sceglie un’azione che va contro di lui, il non amore, la non vita anziché la vita, la menzogna al posto della verità. Il non essere al posto dell’essere.

La seconda ragione, quella teologica, rimane difficile concepire un Dio, che è Amore infinito e teneramente paterno, che non permetta alla creatura umana di porre un atto di pentimento successivo alla sua vita terrena.  Sembra una crudeltà da parte di Dio!

 

Dinanzi a queste obiezioni nasce quella legittima esigenza di una chiarificazione e di un approfondimento proprio intorno alla natura dell’inferno. In rapporto a queste due realtà che sono in collegamento: la Divina misericordia e il peccato umano. 

Su questo punto c’è una frase di Gesù in cui c’è l’offerta della luce e dell’amore da parte di Dio sempre però sottoposta alla libera, gratuita, e amorosa  risposta dell’uomo. 

17Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui. 18Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. 19E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie. 20Chiunque infatti fa il male, odia la luce e non viene alla luce perché non siano svelate le sue opere. 21Ma chi opera la verità viene alla luce… Gv 3,17-21

L’uomo che non accetta volutamente di essere avvolto dall’amore, rimane nella morte. La conversione richiesta da Gesù costituisce una “porta stretta” e chi non si sforza di entrarvi rimane fuori. [9]

Perchè questa porta stretta: per entrarvi bisogna essere piccoli, come i bambini, allora si entra.  Gesù lo dice:  se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Mt 1,3 Certo non nel senso cronologico e  fisiologico della parola, ma nell’atteggiamento di semplicità di consapevolezza, che senza la grazia di Dio, l’uomo  non possa fare nulla.  Perciò si deve accogliere il Suo amore e collaborare con Lui quotidianamente.  Gesù dice anche che coloro che non lo riconoscono come vero salvatore e non lo riconoscono nel prossimo e rifiutano  il dono gratuito della vita eterna, ricevono il salario del peccato che è la morte.[10]    L’uomo raccoglie ciò che ha seminato nel bene o nel male.[11]

 E qui anche le lettere apostoliche del nuovo Testamento ritornano molto fortemente su questa natura del peccato. Ricordiamo due espressioni tratte dalla seconda lettera ai Tessalonicesi in cui Paolo dice:

   Quelli che non accolgono il messaggio di Gesù nostro Signore saranno castigati con una rovina eterna, lontano dalla faccia del Signore e dalla gloria della sua potenza, 2Ts1,9

Questi si perderanno, perché non hanno accolto l’amore della verità per essere salvi.”2Ts 2,10

Per poter intravedere la natura e la situazione drammatica dell’inferno e averne una qualche  pallida idea anche sulla base della nostra  esperienza umana, l’unico punto di riferimento ci viene dato dalla realtà del peccato. L’inferno infatti non è altro che il prolungamento del peccato.

Ora soffermiamoci sulla realtà del peccato che tutti abbiamo esperimentato. L’inferno infatti non è altro che la conclusione drammatica della scelta del peccato, ma ciò significa che l’inferno sta nel cuore dell’uomo, il quale rifiuta Dio, ma si diversifica dal peccato perchè il peccato resta un atto singolare, privato, e finché c’è la vita terrena uno può sempre riconoscerlo e pentirsene, mentre l’inferno è un peccato che resta eterno, insolubile.

Per capire l’inferno ora c’è da riflettere sul peccato, dato che il peccato lo abbiamo sperimentato in noi e negli altri.  

Il peccato da S. Tommaso d’Acquino viene definito con questa bellissima espressione: aversio a Deo et conversio ad creaturas  (scelta interiore contro Dio e volgersi disordinato, verso la creatura) (cfr. S. Th. III, q.86, a4 ad 1; II-II, q.118, a.5; I-II, q.71, a.6).

E’ il capovolgimento dell’ordine creato, voluto dal Signore,  in quanto l’uomo con il peccato si allontana da Dio, non accettando la sua sovranità di creatore.  Resta invece convertito, piegato e avvinghiato alle creature. Anche S. Agostino lo dice bene nelle sue “Confessioni” quando appunto parla  del suo incontro con Dio:

 Tardi ti amai, bellezza così antica e così nuova, tardi ti amai. Sì, perché tu eri dentro di me e io fuori. Lì ti cercavo. Deforme, mi gettavo sulle belle forme delle tue creature. Eri con me, e non ero con te. Mi tenevano lontano da te le tue creature, inesistenti se non esistessero in te. Mi chiamasti, e il tuo grido sfondò la mia sordità; balenasti, e il tuo splendore dissipò la mia cecità; diffondesti la tua fragranza, e respirai e anelo verso di te, gustai  e ho fame e sete; mi toccasti, e arsi di desiderio della tua pace. (X. 27.38)

Il peccatore resta soggetto a queste realtà create e perde la propria libertà, la propria identità e in altri termini non è più se stesso. 

Nello sviluppo della moderna antropologia, soprattutto a livello psicologico, questa affermazione di S.Tommaso si può spiegare con queste altre determinazioni che sono più vicine alla nostra situazione psichica.  Dal punto di vista antropologico il peccato viene definito come uno stato di conflittualità e di contrasto dell’uomo con se stesso e di riflesso con Dio e con gli altri. 

Ecco la dissociazione, l’uomo allontanandosi da Dio  rigetta la Sua sovranità come negazione della propria autonomia, non accoglie le altre persone, considerate delimitanti la sua personale espansione, e nello stesso modo rifiuta l’ordine cosmico, al fine di poterlo sfruttare per il proprio egoismo. Si tratta perciò di un capovolgimento generale sconvolgente, di disordine e di smarrimento. 

Secondo questa visione il peccatore resta praticamente chiuso entro la sua mentalità depravata e non vuole uscirne fuori, perchè se il peccatore per un attimo aprisse uno spiraglio alla verità di Dio, allora questa menzogna verrebbe distrutta, trovando il senso giusto delle cose.  

   L’inferno è la continuazione di questa condizione, sia nel senso espresso da S.Tommaso d’Aquino, sia nel senso di questa rappresentazione psicologica moderna.   Per cui il condannato percepisce la realtà interiore della sua situazione, che non ha voluto però riconoscere né accettare in questa vita, e si lascia perciò dominare da tale percezione, perdendo di fatto la propria felicità, e la propria realizzazione: è eternamente scontento. C’è il lui una contrapposizione che contemporaneamente lo lega a Dio e lo respinge da Lui, ma nello stesso tempo sperimenta il contrasto e la subordinazione verso le altre realtà di cui resta vittima e insieme prova disprezzo. Diventa perciò un essere contrapposto a Dio ma pur dovendo riconoscere che Dio è il suo creatore non può negare la verità, ma nello stesso tempo non può accettarla, e dunque respinge Dio da sé senza poterlo allontanare da sé: magari potesse uccidere Dio, sarebbe felice perchè è il suo nemico, il suo rivale, e da qui il dramma da impazzire, da arrivare alla follia: in una situazione di eterna sofferenza interiore. Di riflesso non accetta le altre persone perchè prova disprezzo verso di esse, in quanto che, come lui, sono prive di verità.  Perciò i suoi compagni di condanna in effetti non  solidarizzano con lui, perchè mancano del senso pur minima di fraternità.  Se per caso ci fosse un’accettazione dell’altro non sarebbe più inferno e il peccato sarebbe superato.  L’odio in inferno, regna sovrano, non c’è una goccia di amore…

Nel Vangelo di Luca abbiamo la parabola  del ricco epulone che stando nell’inferno tra i tormenti,… gridando dice: Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e bagnarmi la lingua, perché questa fiamma mi tortura.”  È la sete dell’amore, perchè odia, una sola goccia di amore sarebbe la salvezza. 

Quindi i dannati sono in continuo contrasto con Dio, con se stessi e con gli altri, sono soffocati dall’odio, dalla ribellione, dalla aggressività e contemporaneamente da una  schiavitù da cui non possono più liberarsi.  

In questo senso vi leggo una pagina de” I fratelli Karamàzov di a Fëdor Michajlovič Dostoevskij, in cui lo starez Zosima in un funerale fa questa omelia stupenda:

Padri e maestri, cerco d’intendere: che cos’è l’inferno? Penso così: una sofferenza di non poter più amare:  pur sapendo che l’amore è l’unica ancora di salvezza, di gioia e di felicità, e continua il monaco Zosima 

 Per una volta (fa la storia della creatura umana…) fu concessa ad un essere spirituale, insieme con la sua apparizione sulla terra, la facoltà di dirsi: io sono e io amo (…) Rifiutò, quest’essere fortunato, il dono inestimabile, non lo apprezzò, non lo amò, lo sogguardò in aria di scherno, e rimase insensibile.  In tale disposizione, dipartendosi ormai da questa terra (…) rimira il paradiso e potrebbe salire al Signore: ma appunto questo lo tormenta, che al Signore dovrebbe salire lui che non ha avuto amore e dovrebbe mescolarsi a quelli che hanno amato, lui che del loro amore s’è fatto beffe (è tremendo è l’amore che mette in crisi) Ma il fatto è che liberarli di questo tormento spirituale non è possibile, perchè è questo un tormento non esteriore, ma interiore ad essi.  E seppure fosse possibile liberarli, in tal caso – io penso – diverrebbero ancora più amaramente infelici.  Giacché, dato pure che li perdonassero i giusti del paradiso e li chiamassero a sé, pieni di un amore infinito, automaticamente accrescerebbero più che mai in loro più forte che mai l’avvampante brama di un amore corresponsivo, attivo e grato, che ormai per loro è impossibile”,[12] perchè non lo accettano.  E’ questo l’inferno!. E’ una pagina stupenda!

Quindi essere amati e non voler riamare, questo è il massimo della sofferenza! Vedere nell’amore la felicità e non poterne godere, sapendo che ciò è dato per la propria autodecisione,  caparbiamente irremovibile. 

 

Qui facciamo un'altra considerazione. Perchè, quale è questo amore che i dannati  non hanno accettato e che li ha amati in maniera incondizionata? E’ l’Amore di Cristo crocefisso. Perchè davanti a Cristo crocefisso i dannati fremono di tormento e il loro tormento è la contemplazione del crocifisso, mentre per i salvati è la loro gioia! Questo perchè il crocefisso dimostra di avere amato ogni creatura “sine conditione”,totalmente, gratuitamente, assolutamente, senza chiedere niente se non l’accoglienza di questo amore! Mentre l’amore delle creature è condizionato, per cui lo si può anche rifiutare.  A volte si sente dire: Se tu mi avessi amato di più, io ti avrei potuto amare… questo  non lo si può dire di Dio.  Questo è il dramma, perchè i dannati, se trovassero in Dio un motivo per cui potessero dire: Tu o Dio non mi hai amato abbastanza come io desideravo e come tu potevi, avrebbero ragione e Dio sarebbe sconfitto e l’inferno non esisterebbe.  Invece l’inferno esiste proprio perchè Dio ci ha amato e il crocefisso è la massima espressione di questo amore incondizionato.  Dunque di fronte a questo amore non accettato devi solo riconoscere che sei un povero disgraziato! Essere amati e non voler riamare questo è il dramma del condannato dell’inferno.  Il condannato si sente avvolto dall’amore (ecco perchè l’inferno è pieno dell’amore di Dio), ma che non è stato mai accettato solo per la propria caparbietà ed egoismo, orgoglio e cattiveria.  I condannati si sentono amati anche lì nell’inferno ma non possono accettare questo amore per cui se Dio, che li ha amati fino a questa misura, scomparisse, sarebbero felici.  Per ciò anche nell’inferno c’è Dio, ma come l’amore non amato, l’amore assoluto, ma non amato. Pertanto il tormento è continuo!

Il venerdì santo quando facciamo l’adorazione della croce ci sono “i lamenti che il Signore fa al suo popolo:

Popolo mio che male ti ho fatto?In che ti ho provocato? Dami risposta.

E’ questa l’eterna realtà di Dio, che quelle creature sono state amate da Dio come tutti noi, con la stessa intensità, ma non lo hanno accolto. 

 

Ora arriviamo al terzo punto:

Le pene o le sofferenze

 

Secondo la dottrina della Chiesa, riproposte dal Concilio e dal Catechismo della Chiesa cattolica,  le pene sono di due tipi: quella interiore della perdita di Dio, ossia la pena del danno e quella esterna sensibile, la pena del senso.

 

La pena del danno è una pena interiore che corrisponde alla desolazione per la  mancanza di Dio, per la separazione definitiva di Lui, che è la fonte dell’amore infinito.  Questo è stato sempre considerato l’aspetto più importante e penoso dell’’inferno, non paragonabile a nessun tormento terreno. A causa di questa situazione l’uomo non può più contemplare il Creatore, che costituisce la felicità piena, capace di attuare i suoi desideri profondi. [13]  In altre parole si tratta non solo della lontananza umana da Dio, ma anche di una reale incompatibilità di Dio verso l’uomo che con il suo peccato si è allontanato da Dio.

 

Invece la pena del senso, che è conseguente sempre alla perdita di Dio,  è esterna al condannato, e in questo senso si parla del fuoco. C’è un fuoco esterno che non è solo fuoco interiore, ma è qualcosa che brucia all’esterno.  Sappiamo che i dannati risorgono con il corpo, come i beati, (perchè tutti risorgeranno con il proprio corpo,  i buoni e i cattivi)   quindi il corpo dovrà subire  questo tormento del fuoco.  Perciò c’è una doppia pena, dall’interno e dall’esterno, che tormenta e  dilania costantemente i dannati senza distruggerli. 

Questa situazione viene perciò espressa in tre stati: interni ed esterni, pena del danno  e pena del senso e la frustrazione o inibizione che è una conseguenza della perdita di Dio. L’uomo non accetta, come abbiamo visto, la sua dipendenza da Dio e ciò costituisce la non accettazione di se stesso, come essere creato, e questo è la questione fondamentale. 

Ma rifiutando il creatore di fatto l’uomo rinnega se stesso e rimane sempre in questo stato di   frustrazione, di un essere che non si realizza. 

 

Questa realtà dell’inferno ci fa capire la gravità del peccato….

 Il peccato può diventare momento di grazia, e a volte il Signore lo permette (però Lui non vuole il peccato) perchè noi ci possiamo sempre mantenere umili e poveri. Infatti nessun santo che è perfettamente santo può pensare di aver raggiunto la propria perfezione, perchè più sei vicino a Dio e più senti di essere misero e povero.  Quindi l’inferno ci fa pensare a non sottovalutare il peccato, ma questa oggi è una tendenza molto diffusa.

Il non riconoscere il peccato diventa di per sé il peccato, perchè è di colui che pur peccando si ritiene giusto.  Quindi da una parte bisogna prendere consapevolezza della gravità del peccato, e delle sue conseguenze anche gravi e dall’altra parte confidare nella divina misericordia.[14] Se uno pensasse solo ai propri peccati, sarebbe nella disperazione, se si affida solo alla divina misericordia senza riconoscere i suoi peccati cadrebbe nella perdita del senso del peccato, ed anche questo è un errore. 

Il senso del peccato non dovremmo mai perderlo ma contemporaneamente non distaccarlo dal senso di amore del Crocefisso. Se anche i peccati fossero neri, gravi, pensanti,  non saranno mai più grandi dell’amore di Gesù sulla croce. Dunque diventeranno bianchi come dice Isaia[15], se ci abbandoniamo alla Divina misericordia. 

Aver buttato uno sguardo sull’inferno ci fa vivere meglio il tempo che ci è stato concesso da Dio per la vita terrena, proprio per avvicinarci a questo mistero di amore: l’Amore infinito di Dio e la nostra piccolezza, anche la nostra miseria, ma che si debbono abbracciare, associare, perchè se si dissociano c’è l’inferno, se si abbracciano c’è il paradiso.   


 

[1] IV. L'inferno - 1033 Non possiamo essere uniti a Dio se non scegliamo liberamente di amarlo. Ma non possiamo amare Dio se pecchiamo gravemente contro di lui, contro il nostro prossimo o contro noi stessi: "Chi non ama rimane nella morte. Chiunque odia il proprio fratello è omicida, e voi sapete che nessun omicida possiede in se stesso la vita eterna" ( 1Gv 3,15 ). Nostro Signore ci avverte che saremo separati da lui se non soccorriamo nei loro gravi bisogni i poveri e i piccoli che sono suoi fratelli [Cf Mt 25,31-46 ]. Morire in peccato mortale senza essersene pentiti e senza accogliere l'amore misericordioso di Dio, significa rimanere separati per sempre da lui per una nostra libera scelta. Ed è questo stato di definitiva auto-esclusione dalla comunione con Dio e con i beati che viene designato con la parola "inferno".

[2] Questa eresia conosciuta come  Apocatastasi si ritrova nel cristianesimo dei primi secoli. In particolare, anche se permangono alcune incertezze, il principale sostenitore dell'Apocatastasi, elaborata in senso cristiano, è considerato Origene.  Secondo Origene alla fine dei tempi avverrà la redenzione universale e tutte le creature saranno reintegrate nella pienezza del divino,  compresi Satana e la Morte: in tal senso, dunque, le pene infernali,  per quanto lunghe, avrebbero un carattere non definitivo ma purificatorio. Base scritturale è il seguente passaggio: "E quando tutto gli sarà stato  sottomesso, anche lui, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti" (1 Corinzî, 15,28).Il problema per Origene non è tanto la misericordia di Dio, quanto un problema teologico in quanto Dio avrebbe "fatto tutte le cose perché esistessero, non per non esistere". L'inferno quindi ed i dannati per Origene esistono, ma non per sempre. Ad un certo punto esso sarà' distrutto non per non esistere, bensì per non essere più un nemico; il disegno divino non si può compiere se manca una sola creatura. La dottrina dell'Apocatastasi venne accolta da diversi padri orientali, tra cui Gregorio di Nissa, finché non fu condannata come eresia nel Concilio di Costantinopoli del 553..

In seguito si ritrova comunque in diversi teologi e pensatori, di tempi recenti  tra cui F. Friedrich Schleiermacher e  Adriana Zarri.  Anche Vito Mancuso nel suo libro “L’anima e il suo destino” rielabora questa teoria .

 

[3] Nell’atto di fede  è ancora più esplicito: Atto di fede. Mio Dio, perchè sei verità infallibile credo tutto quello che Tu hai rivelato e la Santa Chiesa ci propone a credere. Credo in Te, unico vero Dio, in tre persone uguali e distinte, Padre e Figlio e Spirito Santo. Credo in Gesù Cristo, Figlio di Dio, incarnato, morto e risorto per noi, il quale darà a ciascuno, secondo i meriti, il premio o la pena eterna. Conforme a questa fede voglio sempre vivere. Signore accresci la mia fede. Amen

[4] DS 76 ossia Enchiridion Symbolorum, citato oggi anche come Denzinger-Schönmetzer è una raccolta cattolica del magistero della Chiesa. Venne elaborata e pubblicata inizialmente da Heinrich Joseph Dominicus Denzinger nel 1854. È il principale punto di riferimento teologico in ciò che si riferisce al magistero della Chiesa: nacque infatti per riunire in un'unica fonte il compendio di tutti i principali testi dogmatici del magistero, partendo dalle affermazioni dei padri della Chiesa fino ai tempi recenti. Dopo la morte del Denzinger, molti altri autori si sono dedicati a attualizzare l'opera, che è stata rivista e rieditata più di trenta volte. L'ultima edizione (la 38ª) incorpora i documenti del Concilio Vaticano II e altri, incluse le encicliche del Papa fino al 1995. L'opera è organizzata cronologicamente, secondo la successione dei Papi. Si è soliti citare l'Enchiridion Symbolorum con l'abbreviazione Denz. oppure, a partire dell'edizione del 1965, con la sigla DS (o Denz.-Schönm.) da Denzinger-Schönmetzer, il padre gesuita Alfons Schönmetzer ultimo curatore dell'Enchiridion nel 1976.

[5] Lumen Gentium n.48d afferma : Prima infatti di regnare con Cristo glorioso, noi tutti compariremo « davanti al tribunale di Cristo, per ricevere ciascuno il salario della sua vita mortale, secondo quel che avrà fatto di bene o di male » (2 Cor 5,10), e alla fine del mondo « usciranno dalla tomba, chi ha operato il bene a risurrezione di vita, e chi ha operato il male a risurrezione di condanna » (Gv 5,29, cfr Mt 25,46).

[6] Mt 12,32]  L’uomo è scusabile se si inganna sulla dignità divina di Gesù, velata dalle umili apparenze del “Figlio dell’uomo” (Mt 8,20+), ma non lo è se chiude gli occhi e il cuore alle opere evidenti dello Spirito. Negandole, egli rigetta la proposta suprema che Dio gli fa e si mette fuori della salvezza (cf. Eb 6,4-6, Eb 10,26-31).

 

[7] Gv 8,24]     io sono: è il nome divino rivelato a Mosè (Es 3,14+) e significa che il Dio di Israele è il solo vero Dio (Dt 32,39). Attribuendosi questo nome, Gesù si dà come il solo e unico salvatore, verso il quale tendevano tutta la fede e la speranza di Israele (cf. Gv 8,28, Gv 8,58, Gv 13,19 e anche Gv 6,35, Gv 18,5, Gv 18,8).

 

[8] La Geenna era originalmente la valle di Innom, al sud di Gerusalemme, dove l’immondizia  e gli animali morti della città erano buttati e bruciati; un simbolo appropriato dei malvagi e della loro distruzione futura.

[9]  24“Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, vi dico, cercheranno di entrarvi, ma non ci riusciranno. 25Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: Signore, aprici. Ma egli vi risponderà: Non vi conosco, non so di dove siete. 26Allora comincerete a dire: Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze. 27Ma egli dichiarerà: Vi dico che non so di dove siete. Allontanatevi da me voi tutti operatori d’iniquità! Lc 13,24-27

 

[10] liberati dal peccato e fatti servi di Dio, voi raccogliete il frutto che vi porta alla santificazione e come destino avete la vita eterna. 23Perché il salario del peccato è la morte; ma il dono di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù nostro Signore. Rm 6,22-23

 

[11] i desideri della carne portano alla morte, mentre i desideri dello Spirito portano alla vita e alla pace. Rm8,6

Non vi fate illusioni; non ci si può prendere gioco di Dio. Ciascuno raccoglierà quello che avrà seminato Gal 6,7

[12] Fëdor Michajlovič Dostoevski ” I fratelli Karamàzov . E’ stupenda anche un'altra omelia del monaco Zosima :«Fratelli, amate l’uomo anche nel peccato, giacché appunto questo è a somiglianza dell’amore di Dio, ed è il vertice dell’amore su questa terra. Amate tutta la creazione divina, così in blocco, come in ogni granello di sabbia. Per ogni minima foglia, per ogni raggio del sole di Dio, abbiate amore. Amate gli animali, amate le piante, amate le cose tutte. Se amerai tutte le cose, penetrerai nel mistero di Dio… Gli animali abbiano l’amor vostro: ad essi il Signore ha donato un germe di pensiero e una gioia imperturbabile. Non turbatela voi, non li fate soffrire, non togliete loro la gioia, non contrastate il disegno di Dio. Uomo, non ti far grande di fronte alle bestie: esse sono innocenti, mentre tu, grande come sei, appesti la terra fin da quando ci fai la tua apparizione…»  

[13] La pena principale dell'inferno consiste nella separazione eterna da Dio, nel quale soltanto l'uomo può avere la vita e la felicità per le quali è stato creato e alle quali aspira. CCC1035

[14] Che deve fare l'uomo peccatore? Anzitutto riconoscere di esserlo: non c'è peggior malato di chi si crede sano. Riconoscersi peccatori significa riconoscersi, allo stesso tempo, bisognosi di salvezza. La paura di riconoscersi peccatori, è una falsa paura perché, dice Sant' Ambrogio: " I tuoi peccati ti saranno perdonati nel momento stesso in cui ti saranno "rivelati". Rifiutare di vederli e di riconoscerli, significa rifiutare di essere perdonati. Perché nessun peccato può venire perdonato se non è stato riconosciuto e confessato

 

[15] Anche se i vostri peccati fossero come scarlatto, diventeranno bianchi come neve.

Se fossero rossi come porpora, diventeranno come lana.” Isaia 1,18 s

 

 

 

 

 

 

 

 

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