Approfondimenti
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GESÙ CROCIFISSO: LA MADRE E IL DISCEPOLO
Giovanni dice “Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua
madre, Maria di Clèopa e Maria di Màgdala. Gesù allora, vedendo la madre e lì
accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: ‘Donna, ecco il tuo
figlio!’. Poi disse al discepolo: ‘Ecco la tua madre!’. E da quel momento il
discepolo la prese nella sua casa. Dopo questo, Gesù, sapendo che ogni cosa era
stata ormai compiuta, disse per adempiere la Scrittura: ‘Ho sete’…, e chinato il
capo, spirò” (Gv 19,25-28.30).
Il momento è solenne: l’atto ultimo del Cristo che si offre al Padre sulla croce
per salvare l’umanità; è la pasqua di Gesù, il suo innalzamento. Ciò consente di
capire che le sue parole siano pronunciate con grande valore spirituale. È
chiaro che quando uno soffre, quando sta per morire, con forti tribolazioni, non
dice parole inutili, ma ogni parola ha un significato preciso che va accolto con
pienezza di amore.
È come il suo testamento; Gesù alla fine dona all’umanità la cosa che aveva più
cara: sua madre. E tale dono viene suggellato dal sacrificio della croce.
Maria presso la croce
Giovanni scrive che Maria stava presso la croce. Il verbo latino, stabat
(stava), indica un atteggiamento di compartecipazione intrepida di questa donna.
Ella stava ritta, in atto di offerta e di preghiera, pur sentendo profondamente
il momento doloroso che stava attraversando. Lo viveva però nella consapevolezza
spirituale di oblazione al Padre e a tutta l’umanità. Sta ritta, dignitosamente
raccolta. Si potrebbe dire, se non andiamo troppo oltre il testo sacro, una
crocifissa con il crocifisso. Anche se materialmente Maria non aveva il peso del
legno sul suo corpo, tuttavia il suo spirito era letteralmente attaccato alla
croce del Cristo.
Gesù vede la madre. Non è uno sguardo distratto e generico: coglie invece
l’interiorità di questa donna ed esprime a lei tutto il suo amore e il suo
dolore. È lui che la vede, ma anche lei lo guarda e accoglie la profondità dello
sguardo del figlio. Nell’incontro di sguardi, i due cuori si intendono
perfettamente.
Ella era l’unica creatura in quel momento che partecipava effettivamente al suo
sacrificio sulla croce. I discepoli, anche i più fedeli, lo avevano rinnegato,
molti erano fuggiti. Erano presenti le pie donne, ma apparivano prese più
dall’aspetto umano della sofferenza del Cristo, che dal senso redentivo della
sua morte. Non si rendevano conto che Gesù compiva il disegno salvifico del
Padre, che quello era il momento culminante della sua missione salvatrice. Maria
invece ne è consapevole. È in questa sintonia d’animo che Gesù la guarda ed è in
questa prospettiva del suo sacrificio redentore che la dona.
Accanto alla madre Gesù vede anche il discepolo che egli amava e nel discepolo
vede tutti gli altri discepoli che purtroppo lo hanno lasciato, ma dietro di
loro vede altre creature che poi lo seguiranno, che lo tradiranno, vede tutta
l’umanità che ha bisogno di lui.
Se verso la madre è uno sguardo di comunione e di intesa, verso il discepolo è
uno sguardo di misericordia. Come Gesù ha guardato le folle affamate, sentendo
compassione per la loro sofferenza, così adesso, vedendo il discepolo, ne sente
profonda commiserazione. La preoccupazione di Gesù non è tanto quella di
affidare sua madre al discepolo. D’altronde le pie donne erano più idonee a
compiere tale servizio. L’attenzione di Gesù è rivolta piuttosto al discepolo
che rimane solo, disorientato, chiuso nella propria amarezza di cuore, in una
profonda crisi di fede. Come farà costui a superare il momento tragico del
fallimento della croce e ad accogliere poi la risurrezione del Cristo vivente?
Gesù desidera che il discepolo, e in lui tutti i credenti presenti e futuri, sia
affidato a Maria.
Il discepolo amato
“Dopo aver guardato la madre e lì accanto il discepolo che egli amava, disse
alla madre…”. Gesù parla. Sono le ultime parole, dopo delle quali dirà ancora:
“Ho sete” e “Tutto è compiuto”; poi morirà. Vanno dunque accolte con grande fede
e rispetto, in quanto esprimono la sua volontà suprema; con esse Gesù compie il
gesto ultimo dopo del quale tutto è adempiuto. Sono parole rivelatrici: la
chiama “donna”. Lo stesso termine usato alle nozze di Cana. Da qui
l’accostamento tra Cana e il Calvario. Questa è l’ora in cui Maria deve essere
veramente presente.
È l’ora di Cristo ed è l’ora di Maria, perché Maria collabora con Cristo
all’adempimento obbediente del piano salvifico del Padre. A Cana ella ha
anticipato questo momento, ma qui non può venir meno a questa ora perché lei è
coinvolta con il Figlio nell’attuazione della redenzione umana. In tal senso
Gesù la chiama donna.
È un termine molto bello, solenne, rispettoso, non il contrario. Donna significa
signora, ma soprattutto si richiama alla Genesi, quando la prima donna ha
disobbedito a Dio e ha trascinato nel peccato suo marito. Ora la nuova Eva, al
contrario della prima, nella disponibilità al piano di Dio, viene inserita
nell’atto oblativo del nuovo Adamo per restaurare l’amicizia dell’umanità con
Dio.
Gesù dice: “Ecco il tuo figlio”. Egli presenta alla madre il discepolo lì
presente, come fosse suo figlio, in sostituzione del figlio proprio che sta
morendo sulla croce.
Il significato è molto profondo. Gesù esige dalla madre un rapporto con Giovanni
che non è semplicemente a livello di affetto amichevole, deve invece raggiungere
la medesima intensità del rapporto che la univa a lui come figlio. In altre
parole Gesù invita la madre a continuare il suo ruolo materno, con lo stesso
affetto, con la stessa fede, con lo stesso trasporto con cui lo ha esercitato
con lui, prendendo come suo figlio il discepolo.
Per Maria non è cosa da poco. Sostituire il figlio, per una madre, è un atto
impegnativo: altro è Gesù, altro è Giovanni. Gesù è il frutto del suo seno,
carne della sua carne, il Figlio che ella ha amato sopra ogni altra cosa perché
era suo figlio ma contemporaneamente era anche il Verbo eterno di Dio fatto
carne. La dimensione affettiva d’amore umano e credente che Maria aveva verso il
Figlio era unica. Giovanni era sì un amico, un discepolo del Cristo, ma un
estraneo, non aveva certo la dolcezza del Cristo, la profondità e la bellezza
del Figlio.
La disponibilità della madre
Maria si rende disponibile ad accogliere Giovanni con lo stesso amore, con la
stesa disponibilità con cui ha accolto il Verbo di Dio nel suo seno. Quindi
l’amore che ha caratterizzato il rapporto di Maria verso Gesù è il medesimo che
la deve portare verso il discepolo perché Gesù glielo ordina: “Donna, ecco il
tuo figlio!”. E Maria non può disobbedire. Certo è un sacrificio, anzi il
sacrifico supremo; ora si comprende l’oblazione che ella fa del Figlio suo
santissimo. Lo aveva già offerto al Padre, quando lo aveva presentato al tempio,
quando a dodici anni aveva capito che questo figlio non le apparteneva in
esclusiva; poi durante la vita pubblica. Adesso è il momento ultimo in cui Maria
porta a compimento l’offerta al Padre, con tutte le umiliazioni morali che ella
ha dovuto subire.
Ha avuto il coraggio di restare lì, ritta accanto alla croce, nonostante le
bestemmie che i carnefici rivolgevano a suo figlio. Quelle bestemmie ricadevano
su di lei, perché era la madre di quell’uomo crocifisso. Dal punto di vista
morale Maria ha patito molto vicino al Cristo. Ma anche sotto l’aspetto fisico,
perché le ferite che hanno colpito il corpo di Gesù si rifrangevano sul suo
corpo, perché la carne del Figlio era la sua stessa carne. Per questo si può
dire che Maria è con-crocifissa con Cristo.
Un totale atto di oblazione è richiesto a questa donna in tale ora, in cui
avrebbe potuto ripiegarsi su se stessa, nel suo dolore, e chiedere un minimo di
comprensione. Invece le è chiesto, ancora una volta, di dimenticarsi, di
accantonare la sua maternità, di distaccarsi dal Figlio vero per guardare e
rendersi disponibile alla maternità verso un’altra creatura. Maria, nella sua
apertura d’animo, compie l’atto eroico che le si chiede: “Ecco il tuo figlio!”.
Ella ha detto sì. Come all’annunciazione, ripete il suo sì con tutto lo slancio
del cuore: “Sì, o Signore Gesù mio figlio, io prendo Giovanni come fosse te, e
lo guardo come guardo te, e lo amo come amo te, e lo custodisco, lo guido, lo
illumino come facevo con te”. Maria è pronta ad assumere la nuova maternità, che
le è costata la sostituzione della sua vera maternità umana di madre di Dio con
quella verso il discepolo di Cristo. E da questo momento Maria è madre della
Chiesa e tutti noi siamo suoi figli.
L’accoglienza del Figlio
Poi Gesù guarda il discepolo e anche a lui dice: “Ecco la tua madre”. Non la
designa più donna, la nomina madre. In questo modo Gesù fa capire al discepolo
che c’è una madre che lo ama, lo accoglie e lo guida; non è solo. Ci si può
chiedere perché il discepolo avesse bisogno di una madre. Certamente non a
livello affettivo e psicologico; non si tratta di un’adozione umana perché il
discepolo aveva una madre e una famiglia terrena.
L’affidamento della madre al discepolo ha un significato più spirituale; il
discepolo deve rendersi conto che ha una madre accanto a lui, che è la madre di
Cristo, colei che ha generato il Verbo incarnato e ha partecipato alla sua
crocifissione nell’opera redentrice. La stessa madre che è stata unita al capo
che è Cristo, deve essere unita al corpo, rappresentato dal discepolo, e a tutti
i seguaci del Cristo, cioè alla comunità cristiana.
Lo stesso rapporto di comunione, d’amore, di fede, che ha legato Maria a Cristo,
ora unisce Maria ai credenti e questi a Maria. Infatti il discepolo fa un gesto
stupendo, che racchiude tutta la devozione cristiana a Maria: “La prese nella
sua casa”.
La casa non va intesa tanto in senso materiale, quanto interiore: la prese come
fosse sua madre, in casa sua, cioè nella propria vita familiare. Quindi se è
vero che Maria è diventata autentica madre del discepolo come lo era stata per
Cristo, anche il discepolo la considera come vera madre e la prende con sé come
fosse sua madre.
Da parte del discepolo si richiede una sincera disponibilità, un’apertura di
cuore per accogliere Maria come il dono più grande di Gesù, il dono di sua
madre, e considerarla come propria madre, portarla con sé, nell’affetto e nella
docilità di un figlio. Si può dire dunque che c’è una presenza di Maria, nella
vita cristiana, irrinunciabile. Non può il cristiano essere autenticamente
discepolo di Cristo se non accoglie a casa sua la madre di Gesù, perché è questa
la volontà suprema del Maestro.
Don Renzo
C O M M E N T I
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