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Dopo quaranta giorni dalla risurrezione, Gesù sale al cielo con la sua umanità glorificata per sedere nella destra accanto al Padre. Ormai unito al Padre, Egli invia lo Spirito Santo, come aveva promesso, sugli apostoli riuniti nel cenacolo. Si attua un evento di grande rilievo, che trasforma gli apostoli in coraggiosi e autentici testimoni del Cristo davanti al popolo giudaico. In questo momento inizia la missione della Chiesa per diffondere il vangelo sulla faccia della terra e battezzare i credenti in Cristo. Molti sono gli aspetti da mettere in rilievo. Ma vorrei in particolare indicare gli effetti benefici che l’effusione dello Spirito Santo produce in tutti i discepoli di tutti i tempi, cioè in ogni cristiano battezzato e inserito nella comunità cristiana. Si tratta di una vera rinascita e di una vita nuova non più soggetta alla carne e alla realtà di peccato e di morte ma ricolma dello Spirito di Dio, che rende le creature umane figlie del Padre e configurate a Cristo morto e risorto. Fra tutti gli effetti procurati dallo Spirito Santo mi piace evidenziare quegli elementi che vengono chiamati i frutti dello Spirito nel cristiano. Mentre dunque ci prepariamo ad accogliere la venuta dello Spirito Santo nei nostri cuori con la Pentecoste, credo sia utile soffermare la nostra riflessione su che cosa siano i frutti dello Spirito e che cosa essi producano nell’esistenza cristiana. Per questo facciamo una breve invocazione allo Spirito Santo:
“O Spirito Santo, Anima dell’anima mia, io ti adoro: illuminami, guidami, fortificami, consolami, insegnami ciò che devo fare, dammi i tuoi ordini. Ti prometto di sottomettermi a tutto ciò che desideri da me e di accettare tutto ciò che permetterai mi accada; fammi solo conoscere la tua volontà. Vieni o Spirito Santo in me.”
I frutti dello Spirito Santo nel cristiano
Essi sono la conseguenza o il risultato di tutti i doni e i carismi che lo Spirito Santo ha comunicato al cristiano, il quale deve farli germogliare e fruttificare nella propria vita. Ciò dipende dall’impegno umano, quale risposta all’azione ispiratrice dello Spirito.
Per questo si richiede un continuo rinnova mento nel modo di pensare e di agire, soprattutto occorrono umiltà e docilità, in modo da non lasciarsi illudere
dalla presunzione e dall’egoismo, e ricadere nelle opere della carne. I frutti dello Spirito sono il segnale o la verifica della validità e autenticità dei doni e dei carismi, cioè dell’autentica azione dello Spirito Santo e della fedele corrispondenza da par te del cristiano.
Infatti, se il cristiano non porta a maturazione i frutti dello Spirito e non li manifesta nella concretezza della sua vita, ciò vuol dire che i doni sono inariditi nel suo animo e che i carismi non vengono esercitati sotto la mozione dello Spirito di Dio, ma sono solo una parvenza esteriore o un inganno, diventando motivo di gloria e di ambizione umana, di discordie, di impurità, di dissolutezza (cf. Gal 5,19-21).
San Paolo elenca i frutti dello Spirito nella Lettera ai Galati (5,22-23); essi sono nove e posso no essere divisi in tre gruppi: a) quelli che riguarda no il rapporto con Dio (amore, gioia, pace); b) quelli che si riferiscono al rapporto con gli altri (pazienza, benevolenza, bontà); c) con se stessi (fedeltà, mitezza, dominio di sé).
1.Rispetto a Dio
I frutti dello Spirito innanzitutto manifestano un giusto e profondo rapporto con Dio, in quanto il cristiano vive in costante e totale riferimento al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo, considerati l’oggetto primo e assoluto del suo amore sincero. In tal modo Dio viene messo al primo posto, al di sopra di tutti
gli altri amori (Mt 22,37-38); diventa il punto di orientamento per ogni sentimento e ogni scelta concreta; le persone umane e le cose create vengono amate solo per amore di Dio e in dipendenza di lui. Il cuore non viene contaminato né l’amore di Dio è compromesso con attaccamenti possessivi o egoistici.
Il frutto dell’amore difende il credente da ogni forma di idolatria, di infedeltà al suo Signore.
L’altro frutto è la gioia, quale stato d’animo che conserva la serenità in modo inalterato in ogni circostanza della vita, sia lieta che triste (At 13,52; 1Ts 1,6; Rm 14,17). Una serenità che non significa indifferenza o astrazione, quanto invece rivela la consapevolezza interiore del cristiano di essere per donato e
amato da Dio. È questa gioia che ridonda sugli altri e diffonde ovunque fiducia e speranza, orientando gli animi di tutti ad amare Dio. Essa si oppone a ogni forma di chiusura o di freddezza di cuore, a ogni gesto di presunzione o di preoccupazione puramente umana, sapendo riordinare le cose, le pene e gli eventi sempre all’amore infinito di Dio. Non si lascia turbare dalla sofferenza o dalle prove della vita né si autoesalta per le imprese riuscite, ma tutto accoglie e di tutto gode nel fiducioso abbandono al Padre, da cui
deriva ogni bene.
Per conservare tale gioia occorre mantenere la pace o ritrovarla, se è stata perduta. Il frutto della pace consegue alla perfetta comunione con Dio, nella ricerca continua di non allontanarsi da lui e di superare ogni ostacolo che vorrebbe frapporsi fra l’uomo e Dio. Si tratta di saper fuggire il peccato quale fonte di inimicizia e di inquietudine, conservando sempre una lucidità spirituale e una vera libertà interiore.
L’uomo in grazia di Dio vive di questa pace e si fa operatore di pace fra gli uomini (Mt 5,9). Se per la sua debolezza può cadere in peccato, egli con prontezza e umiltà ritrova ogni volta il modo di riconciliarsi con il Padre, poiché senza l’amicizia con lui si sente infelice e solo (Lc 15,17-18).
2.Rispetto agli altri
I frutti dello Spirito si evidenziano anche nel rapporto con il prossimo quale logica conseguenza del vero amore verso Dio, l’unico Padre amoroso, che fa
sorgere il sole e diffonde la sua salvezza a ogni creatura.
Il primo frutto è quello della pazienza, intesa non nel senso usuale di sopportazione o di passiva rassegnazione, ma come disponibilità o apertura di cuore ad accogliere ogni fratello, nel cui volto risplende l’immagine del Padre (Ef 4,2.32; Col 3,13).
Un’accoglienza che sa rispettare l’altrui personalità, non imponendo i propri schemi, ma aspettando pazientemente la maturazione interiore dell’altro. Tuttavia la pazienza non rima ne inoperosa, ma interviene al tempo giusto con delicatezza, lasciando trasparire ogni volta l’amore grande e misericordioso del Padre (cf. Mt 5,45; Lc 6,36). Non giudica superficialmente
né si inquieta inutilmente, si sforza solo di capire l’altro per amarlo nella verità (cf. Lc 6,37-38).
L’altro frutto è la benevolenza che significa, come il nome stesso attesta, volere il bene dell’altro, il suo vero bene (Ef 4,32; Rm 15,14). Non si tratta di pietismo o di sentimentalismo, quanto invece di un amore forte e sincero, che riesce ad andare al di là delle apparenze, per giungere al cuore del fratello e lì trasmettere l’amore del Signore. Per ottenere questo, la benevolenza deve saper condividere le situazioni gioiose o drammatiche in cui si trova il prossimo; deve farsi vicino a lui e compartecipe dei suoi problemi, per offrirgli l’aiuto necessario e pro pizio (Lc10,37). È la dimensione della compassione, di fare proprie le sofferenze altrui per alleggerirne il peso (Gal 6,2; 5,13), come anche di compartecipare alle gioie altrui per renderle più intense e proficue (1Ts 5,11). A tale scopo è necessario liberarsi da ogni forma di possessività o di interesse personale, per cercare unicamente il vero bene del prossimo, la sua autentica liberazione.
Infine il frutto della bontà, il quale si diversifica dalla benevolenza perché indica soprattutto l’azione concreta di fare gesti di amore e di servizio senza
pretese né compensi (1Ts 5,11). La bontà non si manifesta solo in alcuni momenti di particolare bi sogno o in atti eroici, ma si esprime in ogni circo stanza della vita, sia essa anche la più umile e nascosta (Mt 10,42). Anzi la bontà vera non ricerca l’applauso o la pubblicità, ma si mantiene nella semplicità e nel silenzio, perché sa che lì agisce efficacemente lo Spirito di Dio (1Pt 5,5; Ef 5,21). Per questa ragione si spoglia di ogni umana prospettiva e non bada al giudizio umano, poiché opera con libertà interiore, sorretta unicamente dalla forza spirituale che le deriva dalla sorgente di ogni bontà e santità, cioè dallo Spirito Santo.
3.Rispetto a se stessi
L’uomo docile allo Spirito e portatore dei suoi frutti, riesce ad avere un esatto concetto di sé e attuare un giusto rapporto con se stesso, organizzando armonicamente tutte le sue facoltà, i suoi senti menti, le sue azioni, con i doni e i carismi che li accompagnano. Esso è un uomo saggio, equilibrato, che sa trarre dal suo tesoro cose vecchie e cose nuove (Mt 13,52); soprattutto è un uomo vero e libero, costruttore sapiente della propria personalità, aperto alle movenze interiori e sensibile ai segni dei tempi (cf. Mt 16,2-3).
Ciò si manifesta in modo particolare con il frutto della fedeltà o fiducia, cioè fedeltà a se stesso o fiducia in sé. Esso comporta che il cristiano si mani festa per quello che egli autenticamente crede, senza macchinazioni o meccanismi di nascondimento o di inganno; è coerente con il proprio modo di esse re e di pensare in Cristo, senza lasciarsi condiziona re dai pregiudizi ambientali o culturali. È un uomo vero e leale con se stesso. Ciò significa che si conosce bene e accetta serenamente la sua personale realtà, anche con i limiti e le deficienze inevitabili. Per questa ragione non causa tensioni o conflittualità nel suo animo, che si riversano con nervosismo e agitazione sugli altri, ma sa sopportarsi e ripone la giusta fiducia nelle sue possibilità, soprattutto nella grazia divina e nei doni che lo Spirito gli ha concesso, lasciando trasparire una profonda serenità. I carismi si inseriscono sulle facoltà umane, formando un organismo compatto ed equilibrato, ove le forze soprannaturali e le doti naturali si trovano in perfetta collaborazione, aiutandosi e sostenendosi reciprocamente.
Ne deriva il frutto della mitezza, cioè del cuore mite e umile, a somiglianza di quello di Cristo (Mt 11,29), che si pone sempre agli ultimi posti e non cerca di imporsi, evitando delicatamente fastidi o incomodi per gli altri. Non perde tempo nel giudicare o criticare il prossimo, ma spesso si fa strumento di
compassione e di misericordia, causando pace negli animi. Ciò non significa che il cristiano mite sia un debole o proclive ai facili compromessi, anzi possiede una forza superiore che lo rende in trepido difensore della verità, soprattutto a favore dei più poveri e indifesi, ma sempre con soavità, senza provocare malintesi o sopraffazioni. È l’uomo amabile e testimone fra gli uomini della dolcezza amorosa di Gesù.
L’ultimo frutto, che riassume un po’ tutti gli altri e ne è come il custode, è il dominio di sé, cioè la libertà interiore di saper disporre delle proprie passioni e facoltà senza condizionamenti o secondi fini, ma unicamente per il servizio alla verità di Dio e al suo amore. Con questo frutto l’uomo custodisce e difende i doni e i carismi da ogni possibile strumentalizzazione che è data dall’egoismo o dalla vanità o da altri interessi personali. In tal modo si fa il servo saggio e fedele, che il Signore pone a governare la sua casa e che sa distribuire i suoi averi con ordine e onestà (Mt 24,45-47). In ogni situazione, anche la più scabrosa e difficile, egli mantiene la calma, si orienta verso la parola di Dio e ne accoglie la luce, per poi decidere conseguentemente. Ciò richiede un profondo distacco da se stesso, da gli schemi e dagli affetti, per es-sere pronto ad accogliere tutto ciò che lo Spirito del Signore gli propone, e in cui trova la perfetta realizzazione di sé e dei suoi desideri più intimi.
Il cristiano, così inteso, non viene toccato da nessuna forza esteriore, che vorrebbe opprimerlo e condizionarlo, ma passa tra le cose e gli avvenimenti del mondo senza esserne contaminato (cf. Gv 17,15-16).
Gesù dice che dai frutti si riconosce la pianta (Lc 6,43-44); ciò è vero anche per i frutti spirituali: essi rivelano l’autenticità dell’essere cristiani, cioè di una vita profondamente trasformata dallo Spirito di Dio, di una vita pienamente carismatica. Sono essi il sigillo che indica l’effetto scaturito dall’azione misteriosa e sottile dello Spirito Santo; senza di essi la sua opera è vana o, peggio ancora, si fa moti vo di una più grande condanna (cf. Mt 7,21-23).
Don Renzo
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