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SATANA E IL MISTERO DEL MALE NEL MONDO
Conferenza di Don Renzo Lavatori al convegno internazionale degli esorcisti
Il male costituisce senza dubbio uno degli aspetti più sconcertanti e paradossali dell'esistenza, di cui si constatano concretamente la durezza e la drammaticità, senza poter giungere né a una totale soluzione teorica né tanto meno alla sua dissoluzione pratica. Il male resta là, ineluttabile presenza nell'esperienza umana, che tocca tutti senza eccezione. Molte volte e in molti modi l'uomo ha tentato di rispondere all'interrogativo assillante: perché il male nel mondo? Quale la sua origine? Come poterlo debellare? Purtroppo rimane, nel fondo, l'insondabilità di questa realtà, che nessuno vorrebbe ci fosse, ma di fatto c'è e si fa sentire per il suo atroce e spietato parassitismo.
Il male non può provenire da Dio, che è sommo Bene e opera soltanto il bene, come affermano le prime pagine della Genesi in cui il Creatore ha compiuto la creazione degli esseri e tutto è stato fatto con bontà. Il male non può essere provocato dalla materia, come affermavano i filosofi platonici, perché la materia stessa è stata creata da Dio ed è buona; non può essere causato neanche dall’uomo, in quanto il male ha una vastità e una forza che travalica le capacità umane, non può essere riferito a un dio cattivo in contrapposizione al Dio buono, come sostenevano i manichei, perché sarebbe un assurdo metafisico che due enti assoluti coesistano, in quanto sono incompatibili e uno sarebbe inferiore all’altro e perciò non assoluto.
1. Il problema del male
Generalmente si è soliti distinguere tre tipi di male: quello metafisico-cosmico, che è dato da una imperfezione o menomazione propria della finitezza creaturale di un ente specifico. Il male fisico-materiale, che tocca l'essere corporeo deficiente di una qualità a lui spettante per costituzione e senza la quale non può trovare la propria realizzazione. Infine il male psichico-morale, proveniente dalla libera decisione della volontà di sottrarsi al bene o alla perfezione, per determinarsi a non essere conforme alla propria natura e a porsi fuori dal posto che le compete secondo i limiti dell'ente finito. Quest'ultimo male si chiama comunemente il peccato.
Nella storia del pensiero umano le soluzioni alla questione del male si sono orientate tenendo conto in particolare di una delle tre specie. Se si considera il male metafisico, l'orientamento è quello di concepirlo come elemento intrinseco all'ordine stesso dell'universo e alla sua evoluzione, quale momento condizionante per il superamento dell'imperfezione inferiore verso un bene superiore. In tale concezione il male fa parte in certo senso della natura degli enti finiti ed è riassorbito dall'essere stesso, in una sorta di determinismo o meccanicismo o evoluzionismo cosmico; ma esso può essere ricondotto anche all'unico Principio assoluto, da cui ha origine l'universo, il quale sarebbe responsabile del bene e del male, in una visione monistica, secondo cui si pone in Dio la compresenza e la condivisione del male.
Tali prospettive rischiano di annullare il male morale, cioè il peccato, ove interviene il libero arbitrio della creatura razionale, o di negare la facoltà della libertà, quasi che la scelta cattiva fosse data da una spinta interna alla natura e ineliminabile. Ma allora si pone in gioco anche la realtà stessa del male con la sua crudele ferocia, contro cui non ci sarebbe più motivo di lamentarsi e di gridare. Ne segue, in effetti, una visione ingenuamente ottimistica del mondo e della storia, in cui il male non sarebbe altro che un modo per dare rilievo a un bene maggiore e verrebbe pertanto nullificato nella sua drammaticità, che tuttavia permane e si fa sentire. Inoltre viene meno la verità della bontà totale del Creatore.
Se si dà molta importanza al male fisico, che si manifesta nella sua forza invincibile e nefasta, è facile l'orientamento verso una concezione dualistica, perché la sofferenza non può essere prodotta dall'uomo, che anzi la rigetta risolutamente, né può venire da Dio, l'essere sovranamente buono. Si ripiega così per l'esistenza di un principio autonomo, creatore e diffusore del male di ogni genere. Non si tratta soltanto di un banale dualismo, sorto nelle epoche antiche; esso ritorna in certe impostazioni teologiche e filosofiche odierne, ove la teoria del simbolismo finisce per nascondere, in ultima analisi, la realtà del male dietro una forza impersonale e indeterminata, non altrimenti precisabile, ma presente e agente sull'uomo e nel mondo.
Senz'altro il terzo tipo, il male morale, è il più grave e fondamentale, anche se in genere si dà maggiore rilievo al male fisico, perché più immediatamente percepibile e impressionante sia nell'esperienza individuale sia in quella sociale. Invece il male nel senso più vero e radicale, quale negazione dell'essere, da cui ogni altro male deriva, è propriamente il peccato. Infatti nel peccato è messa in discussione la realtà ultima, quella dell'essere nel suo valore esistenziale di bontà e di verità, che in qualche modo tocca l'assolutezza o perfezione dell'essere e si riallaccia all'Essere assoluto, a Dio, la fonte primaria degli enti. Ne segue che la scelta libera di non esser secondo il vero e il bene, costituisce il rifiuto dell'essere, vale a dire il non essere se stessi, ma fuori di sé, dispersi da sé; significa anche la negazione della verità di sé, accettando il falso concetto del proprio essere o nell'autoesaltazione irrazionale, ponendosi al di sopra dl tutti, o nell'autoavvilimento depressivo, considerandosi al di sotto degli altri. Infine il rifiuto della propria perfezione nel bene comporta la conseguente negazione dell'accoglienza e della donazione del bene, rinunciando così alla comunione nell'essere e restando prigioniero dell'egoismo.
Da questa scelta radicale di non essere, di non verità e di non amore, nascono altri mali innumerevoli, che hanno riflessi consistenti anche nel mondo fisico, psichico e sociale, come l'insoddisfazione, l'inquietudine, l'aggressività, la violenza, il predominio, il servilismo, l'adulazione, l'invidia, l'accidia, la volontà di distruzione e di disgregazione. Al peccato, dunque, occorre dare un primato in riferimento al senso e al valore del male, superando in tal modo sia la prospettiva dualistica sia quella monistica. È necessario conservare inalterati e integri fra loro gli elementi che, nella elaborazione della questione del male, sono sempre compresenti e non possono essere modificati o annullati: la bontà assoluta di Dio e la sua unicità; la libertà della creatura razionale; la realtà innegabile del male. Nessuno di questi elementi deve saltare, ma vanno tutti e tre salvaguardati, anche se appaiono inconciliabili.
Il limite della soluzione dualistica sta nel venir meno al monoteismo; la concezione monistica mette a repentaglio la bontà divina o nega la drammaticità del male; infine, il determinismo o meccanicismo sacrifica il libero arbitrio delle creature. Pertanto le soluzioni prospettate di fatto non risolvono, ma dissolvono la questione, annientando uno degli elementi che, presi insieme, formano il mistero del male.
2. L'intervento di Satana
A questo punto fondamentale interviene positivamente la demonologia, in quanto consente di tener compresenti le tre componenti, senza escluderne alcuna, offrendo la possibilità razionalmente plausibile di una certa chiarificazione dell'enigma del male.
Si è visto che l'orientamento più espressivo per dare il vero senso al male è quello che sostiene la gravità del male morale nel coinvolgimento della libera decisione della volontà creata. È questa che, in ultima analisi, determina l'esistenza del male come negazione della perfezione dell'essere in modo esplicito e raggiunge quindi la radice originaria del male, quale scelta di non essere buono né vero.
Perché la scelta negativa sia radicale e ponga in modo definitivamente convinto e irrinunciabile la negazione dell'essere, non basta che sia attuata dalla sola creatura umana, la quale, composta di anima e di corpo, non può prendere delle decisioni del tutto chiare e definitive. La sua volontà e il suo intelletto, condizionati dalla limitatezza della sensibilità, sono obbligati a fare una scelta parzialmente irrevocabile e perciò non pienamente risolutiva della negazione dell’essere. È una opzione che rimane costitutivamente provvisoria, incapace di originare una situazione ontologica corrispettiva. Da qui la possibilità di cambiamento e di redenzione per una scelta del genere. Del resto è ben noto che la realtà del male si presenta con una tale profondità e forza, che travalica i confini dell'orizzonte puramente umano e che l'uomo stesso si vede impossibilitato a superare.
Occorre dunque un soggetto che, essendo anch'egli nell'ambito degli enti creati e finiti, possieda tuttavia la facoltà di una decisione perfettamente risolutiva e definitiva, che possa radicalmente incidere nella delimitazione negativa dell'essere, possa compiere cioè un atto efficace per rifiutare la perfezione propria in modo stabile e fondante. Questo è precisamente ciò che si attribuisce al diavolo. Essendo una creatura spirituale, non condizionata dai limiti sensitivi della materialità, ma avendo le facoltà dell'intelletto lucidamente intuitivo e della volontà perfettamente consapevole, ha potuto adottare una deliberazione totalmente esplicita e stabile di non accettazione di un bene delimitato entro i confini della propria finitezza. Perciò ha assunto una posizione che, toccando decisamente l'essere, acquista un valore totalmente determinante, anche se raggiunto da una creatura finita. Un atteggiamento che può essere descritto quale opposizione totale alla restrizione della bontà e della verità del proprio essere, ma di voler essere lui l’assoluto bene e vero senza alcuna sottomissione ad altri o condizionamenti di sorta.
Rifiutando la perfezione limitata dell'essere, si rifiuta, di rimando, Colui che l'ha in tal modo definita, cioè Dio; si rigetta tutto ciò che contribuisce alla sua delimitazione, cioè gli altri enti, superiori e inferiori. Concretamente si nega l'essere ordinatamente composto, che forma la realtà delle cose esistenti nel mondo. Con ciò l'opzione malvagia di Satana costituisce un dato di fatto decisivo per fondare e sostenere il male in senso universale.
Esso è vero inizio, non tanto dal punto di vista cronologico, quanto in senso ontologico, della irruzione del male; non si può definire creatore o principio assoluto, perché non è un rifiuto quale annientamento totale di sé, ma è la non accettazione della limitata esistenza creaturale, cioè la negazione di delimitare se stesso entro l'ordine predisposto. Per questa ragione, dopo il peccato, il diavolo resta soggetto esistente, ma non più vero né buono in se stesso. Da qui il dramma e lo sconvolgimento dell'ente creato spirituale, che esiste ma non più conforme al proprio essere, vivente nella negazione continua di sé e degli altri, nella dispersione al di fuori di sé senza potersi raccogliere in se stesso né comunicare con gli altri.
Con la caduta del diavolo si rende ragione della realtà del male, di un disordine penetrato nell'esistenza delle cose e di cui non si può sottacere l'impatto doloroso e opprimente, che travalica l'orizzonte puramente umano e lo sovrasta con potenza. D'altro canto, il male, provocato dalla creatura, non si eleva fino alla bontà assoluta di Dio, il quale resta al di sopra di esso, anzi si fa suo tenace oppositore, lo combatte e lo distrugge. Infine, venendo dal di fuori della sfera umana, il male non ha depauperato la facoltà del libero arbitrio dell'uomo, che può anch'egli opporsi liberamente ad esso e lottare contro di esso, anche se in parte ne è sedotto. Grazie alla demonologia permangono inalterati gli elementi che compongono il mistero del male: la bontà di Dio, la libertà umana e la presenza del male.
Si può dire veramente che l'esistenza di Satana e la sua colpa danno al mistero del male una sufficiente fondazione razionale, così che esso può essere più efficacemente contestato e vinto. È sbagliato affermare che non importa sapere da dove viene il male o che cosa sia, ma che soprattutto occorre combatterlo e debellarlo (Ricoeur); perché non si può lottare con effetto sicuro contro un'entità, di cui non si sa se esista e quale sia il suo potere reale. Gesù stesso ce lo avverte: «Quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila?» (Lc 14,31).
3. Una possibile definizione di Satana
Da quanto detto ci si può chiedere se sia possibile formulare una definizione di Satana. Bisogna dire che la sua definizione è precisamente quella di non essere definito, poiché egli stesso ha scelto di non voler essere configurato secondo la misura della sua consistenza creaturale dipendente dal Creatore, ma di porsi come negazione della bontà e verità della propria natura; egli resta così il soggetto profondamente insoddisfatto perché vorrebbe essere diverso da quello che è, uguale a Dio e non soggetto a Dio; si ritrova perciò disorientato, dispersivo, tendente alla dissipazione di sé, pur credendo che tale indeterminatezza del suo essere, da lui liberamente e consapevolmente scelta, costituisca la sua effettiva grandezza, la sua originalità e superiorità.
Questa torpida menzogna nei confronti di se stesso provoca nel diavolo un orgoglio indomabile e una ottusa vanità, rendendolo vuoto di ogni valore autentico e gonfio di presunzione. Qui si nascondono la sua chiusura interiore, il suo isolamento e la sua aridità, nell'impossibilità di comunicare intimamente con chiunque e di intendere obiettivamente qualsiasi cosa sia detta al di fuori della falsità entro cui ha racchiuso il suo essere.
Dal punto di vista teologico, si può ulteriormente precisare la sua sagoma come anti-icona o deformazione negativa dell'essere creato inteso come similitudine e partecipazione dell'essere assoluto divino, in riferimento al mistero trinitario in cui risplende al massimo la pienezza dell'essere in comunione, nella distinzione inconfondibile delle persone. Satana, all'opposto, è l'espressione dell'impossibilità di comunione nella indeterminatezza della soggettività, che non è mai autenticamente se stessa, ma si confonde e si dilania in molteplici forme inconsistenti e vanitose, senza raggiungere mai la propria identità e autogratificazione. Di fatto si sente intimamente e totalmente scontento e inappagato, privo di felicità per sempre.
In particolare il suo spirito si pone in netto contrasto con lo Spirito Santo, lo Spirito di comunione tra il Padre e il Figlio, che li unifica in un solo slancio di reciproco amore, pur rispettando le loro distinte personalità. È lo Spirito del Figlio che si dona allo Spirito del Padre per formare un solo Spirito di donazione interpersonale nell'amore. Ora Satana è la negazione di ogni donazione e di ogni accoglienza di amore, è l'anti-dono, l'incapacità dell'unione reciproca e sincera. Egli si oppone a ogni vincolo di comunione, fomentando la divisione, la confusione, la falsificazione; soprattutto si contrappone al rapporto di abbandono filiale e libero nell'amore del Padre, restando schiavo del proprio atteggiamento menzognero di auto orgoglio e di autosufficienza. 1
Se questo è Satana, è lecito chiedersi se possa essere considerato una persona o piuttosto non-persona, un essere totalmente alienato e inconsapevole di sé. Tenendo conto che il concetto di persona possiede accezioni diverse e analogiche, si può asserire in senso sostanziale che Satana esiste come persona, poiché è una sostanza o un soggetto pensante e volente; questo in conformità alla definizione boeziana, secondo cui la persona è «una sostanza individua di natura razionale» ( «rationalis naturae individua substantia»). Tuttavia, secondo la concezione moderna di persona quale principio d'interiorizzazione, di autocoscienza di esserci come se stesso e di relazionalità interpersonale e intermondana, la sua soggettività si nientifica, resta inafferrabile nella sua interiorità e autenticità, ed esprime la negazione dell'unicità o distinzione personale a vantaggio della dispersione e dell'evasione da sé.
La sua personalità si afferma nel momento stesso in cui si dilania in molteplici sfaccettature; essa s'impone nella misura in cui si disperde al di fuori di sé. Si potrebbe dire che Satana è una persona in perenne movimento centrifugo, senza ritrovare mai la propria vera identificazione, ma nella tronfia certezza che ciò contraddistingua la sua originalità personale, ricolmandolo di stima di sé e di abituale accusa verso gli altri. Per questa ragione Satana è irraggiungibile nella sua identità interiore e sfugge a una configurazione positivamente delineata.
Egli non è mai se stesso, anzi è la negazione continua di ogni precisazione del suo essere; di lui non si può dire nulla che corrisponda a ciò che egli è veramente; non si riesce a sapere nulla delle sue profonde intenzionalità, non perché siano nascoste agli altri, ma perché sono inafferrate e sfuggenti a lui stesso nella incapacità interiore di unificarle e indirizzarle. Di lui si può dire soltanto ciò che è negativo, ciò che non è.
A Faust, che gli domanda chi sia veramente, risponde e si autopresenta Mefistofele con una frase lapidaria molto espressiva: «lo sono lo spirito che nega sempre!» («Ich bin der Geist, der stets verneint!», J.W. GOETHE, Faust Urfaust, Ed. Garzanti, Milano 1990, p. 99).
Prof. RENZO LAVATORI
1 Da ciò l'impossibilità di attribuire a Satana la categoria di «simbolo», con cui si affermerebbe esattamente il contrario di quanto si vuole intendere chiamandolo «diavolo». Il diavolo, anche da un punto di vista semantico, significa separare, dividere (dia-ballo), mentre con il termine simbolo si intende l'unione o il collegamento di diverse realtà (sym-ballo). Ora non può darsi che una medesima entità svolga il ruolo di essere contemporaneamente principio di divisione e segno di unificazione. Dicendo che il demonio è semplicemente un simbolo, si propone una cosa contraddittoria.
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