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ARGOMENTI

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 L’inizio della missione di Gesù: l’annuncio della venuta del Regno di Dio (Mc 1,14-15)


14Dopo che Giovanni fu consegnato, Gesù andò nella Galilea,
proclamando l’evangelo di Dio
15e dicendo:
“È compiuto il tempo e il regno di Dio si è fatto vicino;
convertitevi e credete nell’evangelo”.



Presentazione
Con questi versetti il Vangelo affronta l’inizio della missione di Gesù in Galilea. Prima di addentrarsi nei particolari della sua vita pubblica, nelle determinate e circoscritte azioni del suo ministero, nei suoi interventi salvifici e liberatori, Marco presenta un sommario alquanto succinto.
È chiaro il carattere sintetico del brano, il suo aspetto introduttivo, come uno sguardo generale d’insieme. Posto all’inizio del Vangelo, esso possiede una configurazione programmatica e inaugurale. Da qui il suo significato pregnante. Quanto Gesù autorevolmente proclama non è subito recepibile, ma necessita di essere dipanato ed esplicitato lungo il percorso delle sue varie attività. D’altra parte la pericope getta luce su tutto il seguito del libro, mettendo fin d’ora le basi sicure affinché se ne raccolgano il senso e i frutti adeguatamente.

La notizia sconvolgente
Dopo il battesimo al Giordano e la permanenza nel deserto, Gesù torna in Galilea, nella regione di provenienza, e lì dà il via alla sua opera, mettendosi al nord, ai confini con il mondo pagano. Quella terra era allora densamente abitata da gente di ogni razza, prevalentemente idolatra, per questo era chiamata Galilea delle genti o dei gentili. Oltre al significato storico e geografico, essa è per Marco il luogo dove risuona la buona novella, dove Gesù opera e si manifesta. Dopo la risurrezione precederà i discepoli in Galilea. Ancora di più, rappresenta uno spazio senza frontiere, indicando particolarmente il limite tra il mondo giudaico e il paganesimo. Proprio là, in un contesto religiosamente più lontano, Marco inserisce l’annuncio di Gesù e il suo operato instancabile. Ci si chiede il motivo. Per ora è sufficiente la sua segnalazione.
Gesù si mostra come un banditore, un araldo, un annunciatore della buona notizia, per diffondere la quale percorre in lungo e in largo la Galilea. Nell’antichità erano molti i banditori che erano mandati dai sovrani e passavano di luogo in luogo a notificare ordini, avvisi, eventi significativi. Anche Gesù ha una notizia da dire, che non proviene da un’autorità umana, ma da Dio, in quanto proclama la venuta del suo regno. Egli quindi si presenta come l’inviato da Dio, in modo che alza la voce per far risuonare il messaggio che Dio vuol comunicare o, meglio, quello che sta per fare e quello che desidera che gli uomini facciano.
La notizia che Gesù viene a portare è diversa da quella di Giovanni; costui invitava a un battesimo di conversione per il perdono dei peccati, mentre Gesù proclama che il regno di Dio si è fatto vicino. L’espressione “si è fatto vicino” non significa soltanto che è imminente, vuole piuttosto alludere alla presenza effettiva di Dio, sebbene in modo misterioso e ineffabile. Se si trattasse di una realtà visibile a tutti, ben identificabile, non avrebbe senso l’intervento dell’inviato e del promulgatore. Questi diventa il segno e lo strumento per indicare l’irruzione del regno di Dio e invitare gli uomini a scoprirlo nella fede. Ne consegue uno stretto e vitale legame tra l’annunciatore e la realtà annunciata.
Inoltre il “regno di Dio” non designa alcun territorio, neanche con confini universali. Piuttosto riguarda l’avvento del governo di Dio sul mondo e sugli uomini, allude al fatto che Dio viene a regnare in maniera definitiva e che ha deciso di stabilire il suo potere in pienezza. Tuttavia il suo regno per ora è vicino. Occorre un atteggiamento di attesa e di fiduciosa speranza, con la certezza che finalmente Dio opera, distruggendo i regni, i signori, le potenze a lui contrarie e che tengono legati e schiavi gli uomini. Ma quando e come la sua effettiva realizzazione? Quali le forze contrarie che gli si oppongono? Quali le condizioni per poterlo afferrare e farvi parte?

Il compimento del tempo
Gesù dichiara che “è compiuto il tempo”. Un’affermazione densa di portata salvifica e insieme decisamente vincolante. Non c’è da indugiare o da tentennare: il tempo è giunto al suo traguardo, oltre o fuori del quale non esiste altra eventualità. Con questa dichiarazione l’araldo assume un tono autorevole e mostra di svolgere un ruolo determinante, in quanto è proprio lui che segnala un evento di assoluta determinatezza. Non usa allegorie astratte, né termini ambigui o indefiniti. Fa un’asserzione che sembra essere posta lì come una realtà inoppugnabile, che non è lecito contraddire, né mettere in forse. Chi gli dà questa sicurezza e questa lucidità perentoria? Si ha l’impressione che la proclamazione di un tale evento lo ponga ad una elevata statura, che supera i limiti di un semplice ambasciatore. Sembra che lo faccia non solo consapevole di ciò che dice, ma gli doni uno spessore di superiorità e di forza trascendente, quasi fosse a contatto diretto e personale con Colui che lo ha inviato. Nasce così la domanda per riconoscere il rapporto che sussiste tra la venuta di Gesù e l’imminenza del regno.
Con quelle parole, se ben si esamina, Gesù avverte che la data decisiva, fissata da Dio, è definitivamente arrivata. In adempimento alle promesse ripetute lungo le vicende dell’AT, ora è giunto il momento cruciale, gravido di grazia, dal quale scaturisce la vera e totale salvezza per l’uomo. Ciò che Dio aveva garantito per il passato, diventa adesso realtà; con l’annuncio e l’opera di Gesù la storia raggiunge il compimento, la pienezza ultima. Pertanto il tempo, di cui Gesù si fa araldo, non resta prigioniero di una temporalità puramente successiva, ma acquista il valore dell’agire speciale e benevolo di Dio, del suo intervento liberatore totale e insuperabile.
Se da una parte il messaggio procura gioia, dall’altra offre un ammonimento a non lasciare sfuggire questo tempo, a riconoscerlo nel suo significato vitale e ad accoglierlo nel modo conveniente, altrimenti si cambia in giudizio e in condanna definitiva. Per questo esso si fa insieme annuncio e chiamata. Rivela l’intervento decisivo di Dio, ma anche il momento favorevole in cui l’uomo deve porre le sue scelte radicali. Proprio in ragione della comparsa del regno di Dio proclamato da Cristo, un segmento del tempo che scorre, che fluisce orizzontalmente, si può trasformare in un tempo di grazia, di origine verticale, in cui l’uomo credendo cambia orientamento di vita. Con l’avvento del Cristo il tempo perde la sua caratteristica amorfa, ripetitiva, puramente storica, quale contenitore di eventi che si susseguono, ma si fa giorno di salvezza e di conquista eterna.

L’invito alla fede
Dopo aver affermato con l’indicativo presente che il tempo è compiuto e che il regno di Dio è vicino, Gesù si rivolge agli ascoltatori in forma imperativa: “Convertitevi e credete nell’evangelo”. Dall’indicativo, che evidenzia l’azione onnipotente di Dio, passa all’imperativo, riferito all’agire corrispettivo degli uomini. Ciò significa che l’intervento divino è dato per certo e assodato; da lui in effetti scaturisce l’economia salvifica e il suo compimento. Mentre all’uomo spetta di accogliere l’azione divina ed è indicato imperativamente quale atteggiamento debba assumere in rapporto al tempo di grazia, per evitare che se ne disfaccia; deve inoltre riconoscere che la signoria di Dio si fa ormai presente.
A tale scopo Gesù chiede la conversione, la quale non assume il senso penitenziale di abbandonare una vita di peccato, come nella predicazione del Battista. Essa comporta un cambiamento radicale di mentalità, in riferimento ai desideri, ai progetti, ai modi di pensare e di sentire puramente umani e terreni. Occorre tagliare corto con il precedente modo di vedere il mondo e ri-orientare tutta la propria esistenza in direzione del regno che viene ed è in atto. È questione di un vero capovolgimento della propria direttiva esistenziale.
Gesù ne fa un comandamento irremovibile (“convertitevi”), per segnalare che non è in ballo una decisione facoltativa, ma occorre prendere sul serio la risoluzione piena e totalizzante del ritorno a Dio, che si fa vicino con il suo dominio salvifico. È evidente che la notizia evangelica non lascia l’uomo nella quiete interiore, su cui si è stabilmente posizionato, né lo conferma semplicemente su un modo di vivere che nasce dalle sue aspirazioni spontanee e naturali, ma esercita una funzione critica e fortemente stimolante, al fine di farlo decidere di cambiare pensiero e vita. In altre parole, provoca disagi e turbamenti, interrogativi e ricerche, chiarificazioni e approfondimenti. È una crisi benefica e provvidenziale, se sfocia nella deliberazione consapevole e gioiosa di seguire l’evangelo e di assecondare la volontà di Dio.
Gesù aggiunge ancora un invito: “Credete nell’evangelo”, richiamando gli uomini alla disponibilità ad accogliere ciò che lui dice, a fidarsi di quanto Dio sta per fare per mezzo di lui. Credere significa riconoscere come vere e valide le realtà da lui annunciate, per costruire su di esse la nuova vita.
Il fatto che Gesù invita a credere fa capire che la prossimità del regno di Dio non è percepibile con gli occhi e afferrabile con le mani. La sovranità divina si è resa vicina, ma non è ancora presente nella sua pienezza, non è percepibile nella sua perfezione, ma convive nella mutevolezza della storia e nella debolezza degli uomini. Tuttavia Dio non è assente e lontano, non resta passivo, ma lui, il Signore e re potente, è accanto all’umanità, si pone al suo fianco, impegnando tutta la sua potenza. Bisogna crederlo, soprattutto dopo che il Cristo lo ha proclamato con tanta autorevolezza e perentorietà.


Don Renzo Lavatori

 

 

 

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