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CONOSCERE GESU' NELLA PROFONDITA' DEL SUO ANIMO
2. Nella sua adolescenza
Nel racconto dello smarrimento al tempio (Lc 2,41-52) si possono cogliere alcuni
elementi dell’animo di Gesù adolescente.
Ogni anno, dice Luca, i genitori si recavano per la pasqua a Gerusalemme, la
festa principale della religione ebraica. I pellegrini si fermavano nella città
per una settimana, durante la quale si svolgevano i solenni festeggiamenti che
ricordavano l’esodo, il passaggio dalla schiavitù egiziana alla liberazione.
Per ogni ragazzo, che fa un’esperienza simile, si attua qualche cosa di
particolarmente notevole, che risuona nell’animo. Infatti Gesù era abituato a
vivere in un paesetto, come Nazaret, piccolo e sconosciuto. Costituiva pertanto
un avvenimento significativo trasferirsi in una città bellissima come
Gerusalemme. La città doveva assumere in quei giorni, al di fuori del tempio, un
aspetto di festa e di mercato perché vi confluiva tanta gente; senz’altro i
commercianti ne approfittavano per esporre la propria merce. Il bambino si
trovava davanti a persone, a oggetti, a realtà che normalmente non erano
presenti nella vita quotidiana del piccolo villaggio di Nazaret. Per Gesù deve
essere stata una stupenda esperienza umana e sociale. Incontrava innanzitutto
ragazzi della sua età con i quali poteva più liberamente parlare, scherzare,
giocare. Trovava cose che attiravano il suo cuore e il suo sguardo. Tutto ciò lo
sensibilizzava, lo maturava, lo faceva crescere sotto molteplici aspetti.
Un fatto sconcertante e angoscioso
All’età di dodici anni
accade un fatto particolare. È quello un periodo, dal punto di vista
psicologico, molto incisivo per ogni creatura umana. Si passa da una situazione
infantile, ancora semplice e innocente, a una dimensione adolescenziale. Anche
il corpo si trasforma, perdendo le caratteristiche di un bambino, per diventare
il corpo di un uomo con tutti i fenomeni che si accompagnano alla crescita e che
determinano appunto il passaggio dall’infanzia all’adolescenza e poi alla
maturità. Gesù come uomo, a dodici anni, ha sentito questa realtà nuova che
irrompeva in lui, anche nel proprio corpo.
Nell’aspetto affettivo a dodici anni succede qualcosa d’insolito e di
sorprendente. Prima di allora il ragazzo guarda ai genitori come all’unico
oggetto dell’affetto: essi sono tutto per lui. Il bambino si apre a loro, gioca
con loro, si intrattiene con loro, ma a dodici anni non è più così. Il ragazzo
sente il bisogno di una amicizia al di fuori della famiglia e allaccia i
rapporti con i suoi coetanei, inizia a stare più fuori che dentro casa, comincia
a divertirsi in piazza, a guardare le altre persone con una curiosità maggiore,
con un interesse diverso.
A dodici anni Gesù, come per il passato, va a Gerusalemme con i parenti, ma fa
un gesto particolare: dopo che le feste sono terminate, anziché tornare a casa
con la carovana come al solito, si ferma in città, senza avvertire i genitori.
Si comprende l’ansia di Maria e di Giuseppe che lo cercano dappertutto, come
ogni genitore avrebbe fatto con un figlio dodicenne smarrito.
Maria, e anche Giuseppe, con la loro sensibilità, si erano accorti che qualcosa
stava cambiando nel loro figlio. Per i genitori costituisce un problema, poiché
si accorgono che il figliolo non è più strettamente unito a loro; man mano egli
sfugge alla loro sorveglianza. D’altronde ciò forma una legge naturale, secondo
cui il figlio deve fare il proprio cammino progressivo di maturità, che lo
porterà a distaccarsi dai genitori per formare una propria famiglia e svolgere
una propria professione.
Gli animi attenti di Maria e Giuseppe percepivano che qualcosa cambiava in Gesù.
Non solo fisicamente, in quanto cresceva e diventava un uomo, ma anche
spiritualmente e psicologicamente. Quindi il fatto che non lo abbiano trovato
nella carovana di rientro a Nazaret, li ha maggiormente preoccupati: “Che cosa
sarà successo a nostro figlio?”. Pensavano a una disavventura, forse a un
incidente, ma non solo; erano preoccupati poiché ormai questo figlio cominciava
a fare la sua strada.
Il ritrovamento di Gesù nel Tempio
Quando finalmente Maria e Giuseppe lo ritrovano, Gesù dimostra di non essere più
un fanciullo, anzi manifesta una maturazione maggiore dell’età di dodici anni,
perché si era messo insieme ai dottori e ai sapienti del tempio, per discutere
con loro, parlare, chiarire, chiedere, rispondere. Mostrava una capacità
intellettuale di comprensione e spiegazione della Scrittura superiore ai suoi
coetanei. Era un Gesù diverso e non solo perché discuteva della Scrittura.
Trovandosi in mezzo ai dottori e sacerdoti, probabilmente ha sentito dentro di
sé qualche cosa di profondo, d’intimo. Si apriva ormai per lui una visuale
nuova. Anch’egli un giorno sarebbe diventato un rabbino, avrebbe annunciato al
popolo d’Israele la parola di Dio, sarebbe stato un grande profeta. È logico che
nel suo animo cominciava ad assumere linee sempre più chiare la prospettiva
intorno alla sua missione ed è probabile che, proprio in questa circostanza, la
vocazione profetica in lui si sia rafforzata, vivacizzata.
Infatti quando i genitori lo ritrovano, la madre, nei suoi legittimi doveri, lo
rimprovera dolcemente: “Perché ci hai fatto questo? Tuo padre ed io, angosciati,
ti cercavamo”. Bellissima espressione: angosciati. Sì, erano seriamente
preoccupati; avrebbe potuto almeno avvertirli che si sarebbe fermato; invece
Gesù ha agito di totale iniziativa personale. Maria esterna la sua realtà di
madre che ha il compito di sorveglianza sul proprio figlio e questo diritto
giustamente non vuole perderlo.
Gesù dà una risposta in cui tale aspetto viene superato: “Perché mi cercavate?
Non sapevate che devo occuparmi delle cose del Padre mio?”. Da queste parole la
figura di Gesù assume dimensioni elevate. Non è la risposta di un bambino, ma di
qualcuno che è cosciente della missione che lo attende.
Davanti ai genitori quel ragazzo, che fino ad ora era disponibile nelle loro
mani, diventa ormai un giovane che ha una propria responsabilità, che ha una
scelta da proporre, un progetto da eseguire. Egli dimostra che ha una missione
da compiere che va al di là dei rapporti con i genitori e dei legami umani con i
suoi parenti e congiunti. Sarà una vocazione profetica universale a cui lo
chiama il Padre celeste. Vuol far capire ai suoi genitori che se è vero che è
loro figlio, è altrettanto vero che questo vincolo di figliolanza non è
assoluto, perché al di sopra di esso è stabilito una dipendenza superiore e più
forte che lo lega alla volontà del Padre.
Un risposta forte e inattesa, ma espressiva e illuminate.
È interessante sottolineare che Gesù non ha formulato la frase per una semplice
contestazione o ribellione umana, come tanti figli fanno nei confronti dei loro
genitori. Non ha seguito il proprio istinto di indipendenza, ma ha accondisceso
al piano preciso del Padre. Ecco la ragione in forza della quale egli si è
imposto ai genitori. Non quindi un motivo semplicemente umano, di comodo, ma la
giustificazione che ha portato Cristo a mettersi davanti ai genitori, con
responsabilità, si trova solamente nella sua disponibilità al volere del Padre,
cioè nella coscienza di una vocazione soprannaturale. Non solo, ma l’uso
dell’aggettivo possessivo “Padre mio” fa intendere che sussiste tra lui e Dio
una unione unica e totale, nella quale si intravede la filiazione divina di Gesù
e di cui dà prova di esserne cosciente.
Scopriamo perciò in Gesù una personalità ricca e profonda, che esprime una
propria autonomia, ma insieme sa adattarsi a condividere la vita quotidiana
senza fare tante storie. È umile e forte insieme; è giovane cosciente di sé, ma
anche pronto a tenersi vicino agli altri, senza credersi un essere straordinario
e particolare, disposto a vivere nella semplicità dell’umile vita di Nazaret.
Don Renzo Lavatori
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