Approfondimenti
16 / 62 |
IL
SI DI MARIA NELL’ ANNUNCIAZIONE
(Lc 1, 26-38)
Riflessioni per il mese di Maggio
0. Introduzione: contesto ambientale e religioso
“Nel sesto mese, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea,
chiamata Nazaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide,
chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria”.
Con queste righe Luca non fa altro che ambientare il racconto, informando i
lettori sulle circostanze di tempo, di luogo e insieme sui protagonisti della
vicenda che sta per narrare. Quello che sorprende è la sobrietà, un certo senso
di essenzialità e di semplicità con cui introduce l’evento che sta per accadere.
Il contrario della descrizione fatta nel racconto dell’annuncio a Zaccaria.
Questo è avvenuto a Gerusalemme, nel luogo sacro del Tempio, durante lo
svolgimento delle solenni funzioni sacerdotali, rivolto proprio al sommo
sacerdote, futuro padre del precursore. Ora invece tutto si svolge in una povera
abitazione di un ignoto villaggio della Galilea, terra semipagana e disprezzata,
a Nazaret, da cui non può venire nulla di buono (cf. Gv 1, 46. 7, 41).
Nell’annuncio a Zaccaria tutti i particolari sono stati sottolineati per
conferire all’avvenimento e al racconto una tinta maestosa e grave.
Nell’annuncio a Maria vengono omessi simili dettagli, creando un’atmosfera di
assoluta semplicità e modestia seppure di maggiore interiorità e spiritualità.
La persona a cui l’angelo è inviato non è un sacerdote mentre svolge i suo ruolo
di altissimo valore rituale, ma una giovane donna, di cui non si conosce né il
suo casato né la sua attività lavorativa né la sua posizione sociale. Ciò
sorprende tanto più se si tiene conto di quanta cura usi l’evangelista
nell’indicare le prerogative degli altri personaggi. Di Zaccaria dice che
appartiene alla classe sacerdotale di Abdia; Elisabetta anch’ella discende da
una famiglia di sacerdoti; e perfino di Giuseppe dice che è inserito nella
regale discendenza davidica. Di più ancora. Mentre non è fatto alcun encomio
delle virtù di Maria, al contrario di Zaccaria e di Elisabetta viene rivelato
che “erano giusti al cospetto di Dio. osservavano irreprensibili tutte le leggi
e le prescrizioni del Signore” (Lc 1, 6).
La vergine di Nazaret apparentemente non presenta alcun particolare rilievo, non
ha a suo merito qualche pregio personale o una sua disposizione interiore per
accogliere le grazie divine che le saranno e le sono già state accordate. Ci si
chiede quale sia il senso di tale evidente atteggiamento silenzioso e dimesso
nei confronti di Maria. Tutto quello che l’evangelista conosce di lei è
propriamente che porta il nome di Maria, è una vergine e, ciò nonostante,
legalmente promessa sposa di Giuseppe. Il suo nome è un consueto appellativo
ebraico che non contiene alcun significato misterioso; certamente la
connotazione della sua verginità manifesta una condizione eccezionale,
soprattutto se rapportata alla notizia del suo legame matrimoniale con Giuseppe.
Tuttavia il racconto lascia trapelare qualcosa della sua nobiltà d’animo. Spetta
all’angelo Gabriele offrirne alcune pennellate espressive attraverso il suo modo
di comportarsi di fronte alla giovane. Egli si atteggia molto diversamente da
quando “sei mesi addietro” si era presentato a Zaccaria, mostrandosi quale
messaggero severo e autorevole, che esige corrispondenza, minaccia il mutismo e
lo effettua. Con la vergine si mostra rispettoso ed ossequioso. Nel tempio al
sacerdote l’angelo appare “ritto alla destra dell’altare dell’incenso” come un
personaggio elevato e maestoso, mentre a Nazaret è lui che, “entrando da lei”,
viene ammesso alla presenza della giovane e le rivolge il saluto come fosse la
sua signora o regina. Queste preziose pennellate fanno intravedere alcuni tratti
della peculiare grandezza di questa discreta e semplice donna, prima ancora che
le parole dell’angelo ne manifestino lo splendore inaudito.
L’annuncio che Gabriele dovrà rivolgerle è così strabiliante e sorprendente che
non può essere espresso solo in una volta, ma necessita di essere rivelato a più
riprese. In tre momenti successivi egli potrà esporlo in tutta la sua ricchezza
e complessità, affinché sia accolto nel suo valore pieno e meraviglioso. Maria
mostra di volerlo ascoltare e per questo si fa attenta interlocutrice, esponendo
anch’ella le sue proprie ragioni in uno stupendo intreccio colloquiante tra
l’angelo che le dispiega il messaggio divino e lei che ne vuole intendere e
assaporare tutti i risvolti misteriosi che esso comporta per darne la sua totale
e responsabile adesione.
1. Primo annuncio dell’angelo e reazione di Maria
“Entrato da lei l’angelo le
disse: Esulta, o piena di grazia, il Signore è con te”. Sono le parole della
prima parte dell’annuncio angelico, cui fa seguito un
intimo sentimento di Maria.
Ogni parola di questo messaggio va visualizzata nel suo mirabile significato,
che occorre conoscere. Anzitutto il saluto: “esulta (chaire)”. Comunemente
questo verbo all’imperativo viene inteso come una parola di convenienza e di
normale approccio ad una persona. Esso invece ha un intenso valore teologico e
va inquadrato nel contesto biblico. Infatti tutte le volte che esso compare
nella Bibbia greca dei Settanta ha quasi sempre un preciso senso quale invito a
rallegrarsi in vista della futura epoca e gioia messianica (cfr. in particolare
Sof 3, 14-16; Gioe 2, 21-27; Zac 9, 9. 2, 15): “Gioisci, esulta, figlia di Sion,
perché ecco io vengo ad abitare in mezzo a te”). Pertanto la parola dell’angelo
annunzia il compimento delle antiche profezie che preparano e aprono l’animo di
Maria ad accogliere gli eventi salvifici che dovranno presto attuarsi,
rivelandole che lei è stata prescelta quale creatura umana oggetto particolare
della benevolenza divina e ricolmata della sua grazia: “o piena di grazia
(charis)”.
Prima ancora di esporre a lei la ragione della sua visita e manifestarle il
contenuto altissimo del sua messaggio, l’angelo la esorta a gioire e la chiama
esplicitamente piena di grazia. A motivo proprio di questa sua pienezza di
santità, in lei potranno compiersi i misteri del divino volere che egli sta per
comunicarle. La forma verbale usata al tempo perfetto (kecharitomène) indica
bene e sottolinea con certezza che si tratta di una “gratificazione” già
effettuata e i cui benefici effetti perdurano anche nel presente. Se Maria è “la
piena di grazia”, ciò comporta che ella ha ricevuto la grazia da Dio in modo
totale e dal tempo in cui ha iniziato la sua esistenza fino al momento attuale.
Pertanto la grazia ricevuta in piena abbondanza non costituisce un dato
estrinseco o transitorio del suo essere, ma rivela un dono permanente e
totalizzante, che santifica, abbellisce e nobilita soprannaturalmente la sua
persona, rendendola degna delle compiacenza e delle aspettative divine. Si può
dire che Maria viene configurata dall’angelo come un soggetto umano totalmente
avvolto e colmo della grazia santificante che la rende partecipe della stessa
santità divina.
Tale angelica rivelazione spalanca davanti al lettore un luce folgorante sulla
umile giovane di Nazaret, mostrando la sua eccellente dignità e la sua
perfezione spirituale, su cui Dio stesso ha posato il suo amore e l’ha prescelta
quale strumento per l’attuazione dei suoi progetti messianici.
Poi l’angelo soggiunge: “Il Signore è con te”. Se la “pienezza di grazia” è il
dono che si riferisce al suo passato e al presente, la “presenza del Signore” si
spinge invece al futuro, all’assistenza che Dio le assicura per lo svolgimento
della sua missione. Il Signore sarà d’ora in poi con lei in modo continuo e
profondo, accompagnandola, sorreggendola, illuminandola, affiancandola in ogni
momento del suo cammino anche negli eventi più impegnativi e faticosi. Sarà con
lei in misura della grazia di cui l’ha ricolmata e in vista soprattutto di
quanto ella dovrà compiere in conformità al celeste volere. Qualcosa di
avvolgente e coinvolgente tanto da far intendere che non solo il Signore sarà a
fianco di lei, dall’esterno del suo essere, ma più propriamente sarà “in lei” o
“dentro il suo stesso essere”, nell’interiorità del suo seno, come suo Figlio.
Infatti il punto culminante del messaggio angelico sarà la divina maternità di
Maria, a cui Gabriele la introduce gradualmente.
La reazione della Vergine a questo primo annuncio sgorga dal suo animo e resta
nell’intimo dei suoi sentimenti senza una esternazione verbale: “A queste parole
ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto”. Il
turbamento è causato dalle parole a lei rivolte più che dalla presenza
dell’angelo. Esse le hanno fatto capire che si trattava di una realtà di grande
valore, al di sopra delle sue situazioni e delle sue aspirazioni. L’annuncio
risuona troppo grande e inatteso, privo ancora di una precisa spiegazione,
avvolto in una certa oscurità, che le provoca un sentimento di timore e di
riverente rispetto più che di piena gioia. Per questo si chiedeva dentro il suo
cuore quale fosse il vero e pieno significato di quelle sorprendenti e
meravigliose espressioni rivoltele dall’angelo. È rimasta in un atteggiamento di
stupore e di sorpresa, totalmente intenta a capirne il senso adeguato.
2. Secondo annuncio dell’angelo e la domanda di Maria
“L’angelo le disse: Non
temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco
concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù”.
La prima volta le aveva detto “rallegrati”; ora le dice, riprendendo il
discorso: “non temere”. In antecedenza l’aveva chiamata “piena di grazia”,
adesso le dichiara: “hai trovato grazia”. Le parole, che avevano causato il
turbamento ed erano rimaste oscure: “il Signore è con te”, vengono ora spiegate
in modo chiaro e deciso. Gabriele le annuncia esplicitamente e con concreti
particolari che è stata scelta per divenire la madre del Messia salvatore, come
esprime bene il nome del bambino che le viene anticipato con estrema sicurezza.
Aggiunge anche altre precisazioni, riprese da testi veterotestamentari con
accenti palesemente messianici (2 Sam 7, 12-16; Is 7, 14; 9,6; Dan 7, 13): “Sarà
grande e chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di
Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non
avrà fine”. Queste parole non ammettono dubbi e dubbi non ne può avere neanche
Maria. Ma esse urtano con una difficoltà insormontabile: ella non potrà essere
la madre del Messia, poiché non potrà essere madre in modo assoluto.
Da qui la domanda inquietante di Maria davanti alla proposta avanzata così
fermamente dal celeste messaggero: “Allora Maria disse all’angelo: Come è
possibile? Non conosco uomo”. L’intervento della giovane interpellata abbraccia
due parti: nella prima parte ella fa una richiesta di chiarimento sulla
possibile eventualità di un evento materno; nella seconda parte invece esprime
uno stato ben preciso della sua persona, affermando il suo proposito di non
conoscere uomo, cioè di non dare spazio nella sua vita e nel suo cuore ad alcuno
rapporto carnale quale strumento umanamente necessario per avere una maternità.
Due aspetti che appaiono chiaramente contraddittori: se esiste l’uno, cioè la
maternità, non può sussistere l’altro, cioè la verginità. Come poter associare
le due cose?
La questione suona di una profonda gravità. Non si tratta soltanto di una
difficoltà umana di coniugare i due aspetti, per sé inconciliabili, ma anche e
soprattutto di una inquietudine spirituale, che esige una delucidazione per la
sensibilità del suo animo ricolmo della grazia divina: da un verso si denota la
sua intenzione di rimanere vergine non tanto per una sua personale iniziativa ma
più profondamente per una ispirazione proveniente da Dio, dall’altro lato ora le
si chiede di rinunciare a tale volontaria sottomissione al divino volere per
divenire madre. Come è possibile che Dio si contraddica nella sua volontà,
chiedendo prima l’oblazione della verginità e dopo l’accettazione della
maternità? Può andare Dio contro Dio? Si capisce il dubbio di Maria e la sua
richiesta, per voler sapere e accertarsi giustamente se quella proposta
dell’angelo venisse veramente dal cielo oppure fosse un inganno di un altro
spirito contrapposto a quello di Dio. In fondo scaturisce in lei un legittimo
senso del discernimento spirituale.
Le sue parole, prese nel significato ovvio, dimostrano il suo voto o proposito
verginale. Esse lasciano intendere che ella pensa ad un Messia nato secondo le
comuni vie della natura umana, dal rapporto di due creature, in concreto da lei
e dal suo sposo. Ella non ha alcuna intenzione di unirsi carnalmente all’uomo
promesso quando si attuerà il matrimonio, poiché afferma un dato ben determinato
e assoluto: “non conosco uomo”; il verbo al tempo presente indica una stabilità
di comportamento e di vita per sempre. Di fatto, se ella non avesse avuto una
tale decisione, la sua domanda non avrebbe senso, perché avrebbe potuto dire:
certo che diventerò madre quando mi unirò a mio marito. Invece la sua obiezione
manifesta con forza la determinazione della sua verginità totale e per sempre.
La frase: “non conosco uomo” non sottolinea soltanto un fatto passato (“non ho
conosciuto”) o prossimo (“ancora non conosco uomo”), ma rivela la sua decisione
incontrovertibile che esso non si verifichi mai. Il termine “uomo” senza
articolo determinativo esclude non solo il riferimento ad un individuo
particolare da tutti conosciuto, ma a qualsiasi persona di qualsiasi tempo e
luogo. In tal modo si comprende la domanda rivolta all’angelo: “come questo è
possibile?”.
Negli annunzi veterotestamentari la sterilità o la povertà sono situazioni per
mettere in luce l’azione divina; nell’annunzio della nascita del Messia invece
appare la verginità quale segno nuovo dei tempi nuovi ed è la virtù che
contraddistingue Maria per rispondere adeguatamente alla chiamata divina. Che le
madri dei protagonisti della salvezza (Sara, Rebecca, Rachele, Anna, Elisabetta,
ecc.) siano immancabilmente sterili può essere un dato storico e insieme un
rilievo teologico per evidenziare la divina potenza che conduce il cammino
salvifico; la verginità richiama soprattutto l’intervento dello Spirito di Dio
nell’attuazione del rinnovamento e della rigenerazione messianiche. In essa si
realizza un salto di qualità e una vera anticipazione degli eventi ultimi della
venuta del regno di Dio.
La verginità di Maria non riguarda un fatto semplicemente storico o umano; essa
assume un volto molto più luminoso ed elevato, in quanto rappresenta una grazia
e come tale ha origini ben più alte e misteriose. Dio stesso aveva progettato di
attrarre a sé e rendere tutta sua colei che aveva predestinato a diventare la
madre del suo Figlio. Era conveniente che per tempo l’avesse predisposta e
indirizzata a questa altissima missione, distaccando il suo cuore e il suo
corpo, tutto il suo essere, da ogni realtà e affetto terreni, affinché fosse
totalmente ed esclusivamente irrorata dall’amore divino e protesa verso i beni
celesti ed eterni. D’altra parte la natura umana di Maria doveva prestarsi ad
essere unita sostanzialmente alla natura divina del Verbo incarnato attraverso
la sua maternità divina e non poteva in alcun modo essere sfiorata da altri
sentimenti o inclinazioni che potessero anche minimamente distoglierla dalla sua
immersione in Dio. Da qui si capisce che la sua verginità non è altro che il
compimento della immacolata concezione nella prospettiva della sua funzione
materna. Un disegno meraviglioso di grazia e di santità in vista della economia
salvifica per la redenzione degli uomini. Maria si è trovata inaspettatamente in
mezzo a tale immensa realtà umana e divina.
Si sa inoltre che nella tradizione evangelica la verginità costituisce la
caratteristica di una esistenza nuova, rigenerata dalla grazia, il contrassegno
delle creature umane destinate alla partecipazione eterna del regno di Dio (cf.
Lc 20, 34-36). La dimensione verginale è una anticipazione e un preludio della
realtà celeste e gloriosa. Con la verginità di Gesù e della madre, la vita delle
altezze eterne fa la sua irruzione nel mondo terreno, trasformandolo e
rinnovandolo. Il cielo si cala sulla terra e la terra nella sua umanità di
polvere e fango è innalzata verso il cielo. Questo il senso radicale e
innovatore che porta con sé la verginità mariana.
D’altra parte se Dio è santo, cioè separato, trascendente il mondo terrestre,
quale essere immortale (a-ghios), anche colei, che è predestinata ad esserne la
madre e la sua essenziale cooperatrice, non può non partecipare della medesima
santità ed essere messa al di sopra della pura materia e della sfera ristretta
alla sensibilità. La verginità di Maria rivela e attua misteriosamente ma
realmente questa cooperazione indispensabile alla realizzazione del progetto
divino della salvezza. All’interno di tale disegno ella ha un posto a parte,
unico e irrepetibile, che proprio a lei è stato riservato e preconizzato per
appartenere unicamente a Dio. La sua verginità può essere considerata come il
roveto ardente in cui avviene l’intimo incontro di Maria con Dio con una
relazione ineffabile e infinitamente eccelsa; lei vergine e puramente unita a
Dio potrà accogliere nel suo grembo immacolato il Verbo che si fa carne senza
alcun intermediario umano. D’altra parte il Verbo non può nascere “dal sangue”
né “da volere di carne né da volere di uomo”, da affetto e da umano desiderio,
ma solo da Dio può essere generato (cf. Gv 1, 13). Egli nasce propriamente da
Maria vergine che vive, ama e pensa con Dio nella medesima sfera superiore.
Solamente Dio e la Vergine possono operare e consentire l’incarnazione del
Verbo. Essi solo attestano che la sua origine e la sua appartenenza è dai cieli
e nei cieli: Dio con la sua trascendente santità e Maria con la sua trascendente
verginità.
Ne segue paradossalmente che Maria è madre perché vergine ed è vergine in vista
della sua maternità. Ella viene così definitivamente scolpita secondo la divina
sapienza: madre e vergine per soprannaturale costituzione e per sempre. Essere
madre del Signore la definisce in modo incisivo e perenne; al di fuori di questa
realtà sublime ella non è nulla, perde ogni sua consistenza e ogni suo
privilegio. La verginità, a sua volta, costituisce il suo distintivo, l’aureola
o l’anello del suo connubio divino, la forza spirituale della sua missione con
Cristo e verso gli uomini.
Infatti come vergine ella partecipa, fin da questa terra, dell’incorruttibilità
dello Spirito e della sua potenza creatrice e rigeneratrice. La natura della
salvezza non è conforme alle leggi della carne ma segue le vie misteriose dello
Spirito di cui l’uomo non vede la provenienza e di cui non può seguire il
percorso (Cf. Gal 4, 22; Gv 3, 8). La verginità libera dalle ristrettezze della
materia e della carne e conduce nella sfera dello Spirito; dispiega la creatura
ad aprirsi alle sue ispirazioni e commisura le sue movenze a quelle della
persona umana. Ora in Maria si attua tale stretto rapporto tra lei e lo Spirito
in forza precisamente della sua verginità e della sua pienezza di grazia. Nessun
essere umano è così intimamente unito allo Spirito come Maria. Per questa
ragione può ricevere lo Spirito (cf. Mt 1, 18; Lc 1, 35) ed essere soggetta
totalmente alle sue azioni interiori fino a lasciarsi pienamente avvolgere dalla
sua presenza per essere sempre pronta a cooperare con lui. La verginità indica
la permanente disposizione in Maria ad essere avvinta a Dio e non perdere mai la
sua unione neanche nel dare alla luce il Figlio.
3. Terzo annuncio dell’angelo e disponibilità di Maria
Si è giunti alla conclusione dell’importante annuncio angelico, che dovrà fare
piena luce sulla particolare maternità di Maria. Le parole suonano con una
tonalità di altissimo livello e appaiono oltremodo profonde, provenienti
dall’infinito mistero di Dio: “Lo spirito Santo scenderà su di te, su te
stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque
santo e chiamato Figlio di Dio”.
Il succo finale del discorso cade su quell’ incisivo termine “Figlio di Dio”,
conseguente al verbo “adombrare”. Occorre perciò soffermare l’attenzione su
quest’ultimo per capire precisamente l’altro. In questo caso “adombrare” designa
l’azione della nube che “copre con la sua ombra” un determinato luogo. Infatti
in Es 40, 43-35, si legge che “la nube coprì la tenda dell’assemblea e la gloria
del Signore riempì la dimora”. In questi versetti si descrive all’esterno
l’azione della nube che ricopre la tenda, mentre all’interno la gloria del
Signore invade tutta la tenda, stabilendovi la sua dimora. Non sono due eventi
distinti, piuttosto due aspetti complementari della medesima manifestazione
divina, l’uno visibile dal di fuori (la nube adombrante) e l’altro invisibile
nel di dentro (la presenza della gloria del Signore). Similmente si può dire
delle altre occasioni in cui nell’AT si ripresenta la stessa situazione della
nube che si posa nella tenda (cf. Num 9, 18-22; Es 16,10; 19, 9; 34, 5) e poi
nella terra di Canaan ricopre e riempie il Santuario in Gerusalemme (cf. 1 Re 8,
10-11; 2 Cron 5, 13-14; 6,1); anche i profeti vedono Dio avvolto di gloria nella
nube (cf. Is 1, 1-4; Ez 10, 3-4; 43, 1-4). La “nube” pertanto indica la presenza
misteriosa di Dio in mezzo al suo popolo nel segreto della tenda o del Tempio.
In tale contesto l’annuncio dell’angelo trova la sua adeguata ambientazione e
spiegazione. Egli fa capire alla Vergine che la medesima gloriosa divina
Presenza, che adombrava e riempiva il tabernacolo il Santuario di Gerusalemme,
nel Santo dei Santi, ora sta per scendere su di lei, trasformandola in un nuovo
Santuario, un Santo dei Santi vivente. Lo stesso Signore la avvolge del suo
Santo Spirito e la ricolma di sé, innestando in lei il suo essere infinito. Quel
Dio che ella fin dall’infanzia ha imparato ad adorare e glorificare nel
Santuario, ora lo ritrova realmente e personalmente in se stessa dove egli ha
posto la sua dimora e ha unito a sé la sua carne immacolata per essere presente
tra gli uomini.
Precisamente in ragione di questa “adombrazione” il bambino che nascerà sarà
chiamato Figlio di Dio, sarà cioè il Santo stesso , lo stesso Dio. Si tratta di
una esplicita dichiarazione che sta per “incarnarsi” in lei e che, in virtù di
questo misterioso e potente intervento, suo Figlio poteva essere chiamato santo
e divino. Con queste aggiunte si capisce la novità e il superamento dell’azione
divina in Maria rispetto a quella della nube dell’AT. Non è più una semplice
generica presenza di Dio e della sua gloria, ma molto più fortemente e
misteriosamente è Dio che nella sua infinita potenza farà germogliare dal corpo
purissimo di Maria il frutto verginale di suo Figlio che è lo stesso Figlio di
Dio. Pertanto la parola “adombrare” esprimeva chiaramente nella mente della
Vergine l’atto dell’incarnazione di Dio. Ella lo ha capito appieno, ne è stata
totalmente illuminata senza malintesi o incertezze d’intendimento. La sua
legittima richiesta è stata finalmente appagata e ha fatto irruzione nel suo
cuore. Suo Figlio nascerà da lei e sarà detto Figlio di Dio non perché non ha un
padre terreno, ma perché egli sarà in persona lo stesso Dio fatto presente o
incarnato in lei. Mirabile rivelazione del mistero della divina maternità di
Maria!
Tuttavia c’è da fare ancora una precisazione, perché si tratta di mettere
assieme due realtà umanamente inconciliabili: la maternità e la verginità. Per
questo l’angelo prosegue nella delucidazione con una affermazione perentoria
quale suggello finale della veridicità delle sue parole: “Nulla è impossibile a
Dio”. A questo punto tornano i conti a tutto tondo, nel senso che ogni
difficoltà mossa dalla limitata intelligenza umana si disperde come nebbia al
sole di fronte alla superiore ineffabile e onnipotente opera di Dio. E tale
intervento divino non rimane sospeso nella sfera dell’astrazione o
dell’indeterminatezza, ma viene puntualmente confermato e attestato da un fatto
reale e concreto che tutti possono constatare direttamente. Infatti su di esso
l’angelo richiama l’attenzione: “Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua
vecchiaia, ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti
dicevano sterile”. Ancora un miracolo sorprendente della grazia di Dio. Tutto
ormai è stato delucidato con ammirevole concatenazione logica. Non c’è altro
d’attendere da parte dell’angelo, ha compiuto molto bene il suo dovere di
messaggero. Adesso spetta a Maria dare l’ultimo tocco affinché l’evento giunga
al suo felice compimento.
Quale la sua corrispondenza? Ella, la piena di grazia, la vergine dedicata al
Signore, certamente non aveva mai dubitato dell’onnipotenza, della bontà e
misericordia divine. Non le restava altro che piegarsi deliberatamente al
supremo volere di Dio e rimettersi fiduciosa alle sue disposizioni. Questa era
la sua nobile vocazione, questa l’apertura del suo animo spiritualmente attento
e generoso. In quel momento si è verificato in lei quel mirabile connubio tra il
progetto salvifico del Padre e la sua totale sottomissione nella fede, in modo
che i due intenti si congiungessero in un solo infinito abbraccio di amore puro
e concreto. Lo rivela la sua ultima dichiarazione: “Ecco, sono la serva del
Signore; avvenga di me quello che hai detto”.
La “serva del Signore”! Questo è l’appellativo con cui ella di autodefinisce e
si riconosce nella più autentica consapevolezza. È il terzo nome che in questo
racconto viene attribuito alla Vergine. Il primo è quello conosciuto dal suo
ambiente familiare e sociale: Maria; il secondo le è stato rivolto dall’angelo
inviato da Dio: piena di grazia; il terzo lei stessa lo applica a sé: la serva
del Signore. Questo è il nome che lei preferisce e che si confà al suo modo di
riconoscersi nel suo essere, quale creatura totalmente e fiduciosamente
sottomessa a Dio non solo in quell’istante favorevole, ma da sempre e per
sempre, prima e dopo l’annuncio angelico. Un’adesione pienamente libera e senza
alcuna condizione delimitante, un disponibilità che l’accompagna e l’attraversa
costantemente lungo il percorso storico della sua esistenza. Da porre in rilievo
le sue ultime parole: “avvenga di me quello che hai detto”. Esse completano la
manifestazione del suo animo e denotano la risposta ardente e fervida. Il tempo
ottativo del verbo greco “avvenga di me” non indica una rassegnata accettazione.
Tutt’altro. Denota una gioiosa e impaziente aspettativa; una prontezza senza
limiti a prestare qualsiasi collaborazione fosse stata richiesta alla sua povera
e umile persona.
Questo pieno e coinvolgente atto di fede costituisce la sublime conclusione del
colloquio tra l’angelo e Maria. Ella attende ora il compimento degli eventi
straordinari annunciati. Quando “l’angelo si partì da lei” si può supporre che
l’incarnazione del Verbo si sia compiuta. L’unica condizione che la teneva
ancora sospesa era il suo assenso. Ora che lei lo ha accordato, l’evento
miracoloso si deve ritenere realizzato; la salvezza ha fatto irruzione sulla
terra con la venuta del Figlio di Dio fatto uomo nel grembo purissimo di Maria.
Grazie alla sua disponibilità, al suo “eccomi” iniziano la rigenerazione
dell’umanità e il rinnovamento di tutte le cose nel nuovo corso che intraprende
la storia.
don Renzo Lavatori
16 / 62 |