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Approfondimenti

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IL SI DI MARIA NELL’ ANNUNCIAZIONE
(Lc 1, 26-38)
 

Riflessioni per il mese di Maggio
 


0. Introduzione: contesto ambientale e religioso


“Nel sesto mese, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria”.
Con queste righe Luca non fa altro che ambientare il racconto, informando i lettori sulle circostanze di tempo, di luogo e insieme sui protagonisti della vicenda che sta per narrare. Quello che sorprende è la sobrietà, un certo senso di essenzialità e di semplicità con cui introduce l’evento che sta per accadere. Il contrario della descrizione fatta nel racconto dell’annuncio a Zaccaria.
Questo è avvenuto a Gerusalemme, nel luogo sacro del Tempio, durante lo svolgimento delle solenni funzioni sacerdotali, rivolto proprio al sommo sacerdote, futuro padre del precursore. Ora invece tutto si svolge in una povera abitazione di un ignoto villaggio della Galilea, terra semipagana e disprezzata, a Nazaret, da cui non può venire nulla di buono (cf. Gv 1, 46. 7, 41).
Nell’annuncio a Zaccaria tutti i particolari sono stati sottolineati per conferire all’avvenimento e al racconto una tinta maestosa e grave. Nell’annuncio a Maria vengono omessi simili dettagli, creando un’atmosfera di assoluta semplicità e modestia seppure di maggiore interiorità e spiritualità. La persona a cui l’angelo è inviato non è un sacerdote mentre svolge i suo ruolo di altissimo valore rituale, ma una giovane donna, di cui non si conosce né il suo casato né la sua attività lavorativa né la sua posizione sociale. Ciò sorprende tanto più se si tiene conto di quanta cura usi l’evangelista nell’indicare le prerogative degli altri personaggi. Di Zaccaria dice che appartiene alla classe sacerdotale di Abdia; Elisabetta anch’ella discende da una famiglia di sacerdoti; e perfino di Giuseppe dice che è inserito nella regale discendenza davidica. Di più ancora. Mentre non è fatto alcun encomio delle virtù di Maria, al contrario di Zaccaria e di Elisabetta viene rivelato che “erano giusti al cospetto di Dio. osservavano irreprensibili tutte le leggi e le prescrizioni del Signore” (Lc 1, 6).
La vergine di Nazaret apparentemente non presenta alcun particolare rilievo, non ha a suo merito qualche pregio personale o una sua disposizione interiore per accogliere le grazie divine che le saranno e le sono già state accordate. Ci si chiede quale sia il senso di tale evidente atteggiamento silenzioso e dimesso nei confronti di Maria. Tutto quello che l’evangelista conosce di lei è propriamente che porta il nome di Maria, è una vergine e, ciò nonostante, legalmente promessa sposa di Giuseppe. Il suo nome è un consueto appellativo ebraico che non contiene alcun significato misterioso; certamente la connotazione della sua verginità manifesta una condizione eccezionale, soprattutto se rapportata alla notizia del suo legame matrimoniale con Giuseppe.
Tuttavia il racconto lascia trapelare qualcosa della sua nobiltà d’animo. Spetta all’angelo Gabriele offrirne alcune pennellate espressive attraverso il suo modo di comportarsi di fronte alla giovane. Egli si atteggia molto diversamente da quando “sei mesi addietro” si era presentato a Zaccaria, mostrandosi quale messaggero severo e autorevole, che esige corrispondenza, minaccia il mutismo e lo effettua. Con la vergine si mostra rispettoso ed ossequioso. Nel tempio al sacerdote l’angelo appare “ritto alla destra dell’altare dell’incenso” come un personaggio elevato e maestoso, mentre a Nazaret è lui che, “entrando da lei”, viene ammesso alla presenza della giovane e le rivolge il saluto come fosse la sua signora o regina. Queste preziose pennellate fanno intravedere alcuni tratti della peculiare grandezza di questa discreta e semplice donna, prima ancora che le parole dell’angelo ne manifestino lo splendore inaudito.
L’annuncio che Gabriele dovrà rivolgerle è così strabiliante e sorprendente che non può essere espresso solo in una volta, ma necessita di essere rivelato a più riprese. In tre momenti successivi egli potrà esporlo in tutta la sua ricchezza e complessità, affinché sia accolto nel suo valore pieno e meraviglioso. Maria mostra di volerlo ascoltare e per questo si fa attenta interlocutrice, esponendo anch’ella le sue proprie ragioni in uno stupendo intreccio colloquiante tra l’angelo che le dispiega il messaggio divino e lei che ne vuole intendere e assaporare tutti i risvolti misteriosi che esso comporta per darne la sua totale e responsabile adesione.

1. Primo annuncio dell’angelo e reazione di Maria

“Entrato da lei l’angelo le disse: Esulta, o piena di grazia, il Signore è con te”. Sono le parole della prima parte dell’annuncio angelico, cui fa seguito un
intimo sentimento di Maria.
Ogni parola di questo messaggio va visualizzata nel suo mirabile significato, che occorre conoscere. Anzitutto il saluto: “esulta (chaire)”. Comunemente questo verbo all’imperativo viene inteso come una parola di convenienza e di normale approccio ad una persona. Esso invece ha un intenso valore teologico e va inquadrato nel contesto biblico. Infatti tutte le volte che esso compare nella Bibbia greca dei Settanta ha quasi sempre un preciso senso quale invito a rallegrarsi in vista della futura epoca e gioia messianica (cfr. in particolare Sof 3, 14-16; Gioe 2, 21-27; Zac 9, 9. 2, 15): “Gioisci, esulta, figlia di Sion, perché ecco io vengo ad abitare in mezzo a te”). Pertanto la parola dell’angelo annunzia il compimento delle antiche profezie che preparano e aprono l’animo di Maria ad accogliere gli eventi salvifici che dovranno presto attuarsi, rivelandole che lei è stata prescelta quale creatura umana oggetto particolare della benevolenza divina e ricolmata della sua grazia: “o piena di grazia (charis)”.
Prima ancora di esporre a lei la ragione della sua visita e manifestarle il contenuto altissimo del sua messaggio, l’angelo la esorta a gioire e la chiama esplicitamente piena di grazia. A motivo proprio di questa sua pienezza di santità, in lei potranno compiersi i misteri del divino volere che egli sta per comunicarle. La forma verbale usata al tempo perfetto (kecharitomène) indica bene e sottolinea con certezza che si tratta di una “gratificazione” già effettuata e i cui benefici effetti perdurano anche nel presente. Se Maria è “la piena di grazia”, ciò comporta che ella ha ricevuto la grazia da Dio in modo totale e dal tempo in cui ha iniziato la sua esistenza fino al momento attuale. Pertanto la grazia ricevuta in piena abbondanza non costituisce un dato estrinseco o transitorio del suo essere, ma rivela un dono permanente e totalizzante, che santifica, abbellisce e nobilita soprannaturalmente la sua persona, rendendola degna delle compiacenza e delle aspettative divine. Si può dire che Maria viene configurata dall’angelo come un soggetto umano totalmente avvolto e colmo della grazia santificante che la rende partecipe della stessa santità divina.
Tale angelica rivelazione spalanca davanti al lettore un luce folgorante sulla umile giovane di Nazaret, mostrando la sua eccellente dignità e la sua perfezione spirituale, su cui Dio stesso ha posato il suo amore e l’ha prescelta quale strumento per l’attuazione dei suoi progetti messianici.
Poi l’angelo soggiunge: “Il Signore è con te”. Se la “pienezza di grazia” è il dono che si riferisce al suo passato e al presente, la “presenza del Signore” si spinge invece al futuro, all’assistenza che Dio le assicura per lo svolgimento della sua missione. Il Signore sarà d’ora in poi con lei in modo continuo e profondo, accompagnandola, sorreggendola, illuminandola, affiancandola in ogni momento del suo cammino anche negli eventi più impegnativi e faticosi. Sarà con lei in misura della grazia di cui l’ha ricolmata e in vista soprattutto di quanto ella dovrà compiere in conformità al celeste volere. Qualcosa di avvolgente e coinvolgente tanto da far intendere che non solo il Signore sarà a fianco di lei, dall’esterno del suo essere, ma più propriamente sarà “in lei” o “dentro il suo stesso essere”, nell’interiorità del suo seno, come suo Figlio. Infatti il punto culminante del messaggio angelico sarà la divina maternità di Maria, a cui Gabriele la introduce gradualmente.
La reazione della Vergine a questo primo annuncio sgorga dal suo animo e resta nell’intimo dei suoi sentimenti senza una esternazione verbale: “A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto”. Il turbamento è causato dalle parole a lei rivolte più che dalla presenza dell’angelo. Esse le hanno fatto capire che si trattava di una realtà di grande valore, al di sopra delle sue situazioni e delle sue aspirazioni. L’annuncio risuona troppo grande e inatteso, privo ancora di una precisa spiegazione, avvolto in una certa oscurità, che le provoca un sentimento di timore e di riverente rispetto più che di piena gioia. Per questo si chiedeva dentro il suo cuore quale fosse il vero e pieno significato di quelle sorprendenti e meravigliose espressioni rivoltele dall’angelo. È rimasta in un atteggiamento di stupore e di sorpresa, totalmente intenta a capirne il senso adeguato.


2. Secondo annuncio dell’angelo e la domanda di Maria

“L’angelo le disse: Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco
concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù”.
La prima volta le aveva detto “rallegrati”; ora le dice, riprendendo il discorso: “non temere”. In antecedenza l’aveva chiamata “piena di grazia”, adesso le dichiara: “hai trovato grazia”. Le parole, che avevano causato il turbamento ed erano rimaste oscure: “il Signore è con te”, vengono ora spiegate in modo chiaro e deciso. Gabriele le annuncia esplicitamente e con concreti particolari che è stata scelta per divenire la madre del Messia salvatore, come esprime bene il nome del bambino che le viene anticipato con estrema sicurezza. Aggiunge anche altre precisazioni, riprese da testi veterotestamentari con accenti palesemente messianici (2 Sam 7, 12-16; Is 7, 14; 9,6; Dan 7, 13): “Sarà grande e chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine”. Queste parole non ammettono dubbi e dubbi non ne può avere neanche Maria. Ma esse urtano con una difficoltà insormontabile: ella non potrà essere la madre del Messia, poiché non potrà essere madre in modo assoluto.
Da qui la domanda inquietante di Maria davanti alla proposta avanzata così fermamente dal celeste messaggero: “Allora Maria disse all’angelo: Come è possibile? Non conosco uomo”. L’intervento della giovane interpellata abbraccia due parti: nella prima parte ella fa una richiesta di chiarimento sulla possibile eventualità di un evento materno; nella seconda parte invece esprime uno stato ben preciso della sua persona, affermando il suo proposito di non conoscere uomo, cioè di non dare spazio nella sua vita e nel suo cuore ad alcuno rapporto carnale quale strumento umanamente necessario per avere una maternità. Due aspetti che appaiono chiaramente contraddittori: se esiste l’uno, cioè la maternità, non può sussistere l’altro, cioè la verginità. Come poter associare le due cose?
La questione suona di una profonda gravità. Non si tratta soltanto di una difficoltà umana di coniugare i due aspetti, per sé inconciliabili, ma anche e soprattutto di una inquietudine spirituale, che esige una delucidazione per la sensibilità del suo animo ricolmo della grazia divina: da un verso si denota la sua intenzione di rimanere vergine non tanto per una sua personale iniziativa ma più profondamente per una ispirazione proveniente da Dio, dall’altro lato ora le si chiede di rinunciare a tale volontaria sottomissione al divino volere per divenire madre. Come è possibile che Dio si contraddica nella sua volontà, chiedendo prima l’oblazione della verginità e dopo l’accettazione della maternità? Può andare Dio contro Dio? Si capisce il dubbio di Maria e la sua richiesta, per voler sapere e accertarsi giustamente se quella proposta dell’angelo venisse veramente dal cielo oppure fosse un inganno di un altro spirito contrapposto a quello di Dio. In fondo scaturisce in lei un legittimo senso del discernimento spirituale.
Le sue parole, prese nel significato ovvio, dimostrano il suo voto o proposito verginale. Esse lasciano intendere che ella pensa ad un Messia nato secondo le comuni vie della natura umana, dal rapporto di due creature, in concreto da lei e dal suo sposo. Ella non ha alcuna intenzione di unirsi carnalmente all’uomo promesso quando si attuerà il matrimonio, poiché afferma un dato ben determinato e assoluto: “non conosco uomo”; il verbo al tempo presente indica una stabilità di comportamento e di vita per sempre. Di fatto, se ella non avesse avuto una tale decisione, la sua domanda non avrebbe senso, perché avrebbe potuto dire: certo che diventerò madre quando mi unirò a mio marito. Invece la sua obiezione manifesta con forza la determinazione della sua verginità totale e per sempre. La frase: “non conosco uomo” non sottolinea soltanto un fatto passato (“non ho conosciuto”) o prossimo (“ancora non conosco uomo”), ma rivela la sua decisione incontrovertibile che esso non si verifichi mai. Il termine “uomo” senza articolo determinativo esclude non solo il riferimento ad un individuo particolare da tutti conosciuto, ma a qualsiasi persona di qualsiasi tempo e luogo. In tal modo si comprende la domanda rivolta all’angelo: “come questo è possibile?”.
Negli annunzi veterotestamentari la sterilità o la povertà sono situazioni per mettere in luce l’azione divina; nell’annunzio della nascita del Messia invece appare la verginità quale segno nuovo dei tempi nuovi ed è la virtù che contraddistingue Maria per rispondere adeguatamente alla chiamata divina. Che le madri dei protagonisti della salvezza (Sara, Rebecca, Rachele, Anna, Elisabetta, ecc.) siano immancabilmente sterili può essere un dato storico e insieme un rilievo teologico per evidenziare la divina potenza che conduce il cammino salvifico; la verginità richiama soprattutto l’intervento dello Spirito di Dio nell’attuazione del rinnovamento e della rigenerazione messianiche. In essa si realizza un salto di qualità e una vera anticipazione degli eventi ultimi della venuta del regno di Dio.
La verginità di Maria non riguarda un fatto semplicemente storico o umano; essa assume un volto molto più luminoso ed elevato, in quanto rappresenta una grazia e come tale ha origini ben più alte e misteriose. Dio stesso aveva progettato di attrarre a sé e rendere tutta sua colei che aveva predestinato a diventare la madre del suo Figlio. Era conveniente che per tempo l’avesse predisposta e indirizzata a questa altissima missione, distaccando il suo cuore e il suo corpo, tutto il suo essere, da ogni realtà e affetto terreni, affinché fosse totalmente ed esclusivamente irrorata dall’amore divino e protesa verso i beni celesti ed eterni. D’altra parte la natura umana di Maria doveva prestarsi ad essere unita sostanzialmente alla natura divina del Verbo incarnato attraverso la sua maternità divina e non poteva in alcun modo essere sfiorata da altri sentimenti o inclinazioni che potessero anche minimamente distoglierla dalla sua immersione in Dio. Da qui si capisce che la sua verginità non è altro che il compimento della immacolata concezione nella prospettiva della sua funzione materna. Un disegno meraviglioso di grazia e di santità in vista della economia salvifica per la redenzione degli uomini. Maria si è trovata inaspettatamente in mezzo a tale immensa realtà umana e divina.
Si sa inoltre che nella tradizione evangelica la verginità costituisce la caratteristica di una esistenza nuova, rigenerata dalla grazia, il contrassegno delle creature umane destinate alla partecipazione eterna del regno di Dio (cf. Lc 20, 34-36). La dimensione verginale è una anticipazione e un preludio della realtà celeste e gloriosa. Con la verginità di Gesù e della madre, la vita delle altezze eterne fa la sua irruzione nel mondo terreno, trasformandolo e rinnovandolo. Il cielo si cala sulla terra e la terra nella sua umanità di polvere e fango è innalzata verso il cielo. Questo il senso radicale e innovatore che porta con sé la verginità mariana.
D’altra parte se Dio è santo, cioè separato, trascendente il mondo terrestre, quale essere immortale (a-ghios), anche colei, che è predestinata ad esserne la madre e la sua essenziale cooperatrice, non può non partecipare della medesima santità ed essere messa al di sopra della pura materia e della sfera ristretta alla sensibilità. La verginità di Maria rivela e attua misteriosamente ma realmente questa cooperazione indispensabile alla realizzazione del progetto divino della salvezza. All’interno di tale disegno ella ha un posto a parte, unico e irrepetibile, che proprio a lei è stato riservato e preconizzato per appartenere unicamente a Dio. La sua verginità può essere considerata come il roveto ardente in cui avviene l’intimo incontro di Maria con Dio con una relazione ineffabile e infinitamente eccelsa; lei vergine e puramente unita a Dio potrà accogliere nel suo grembo immacolato il Verbo che si fa carne senza alcun intermediario umano. D’altra parte il Verbo non può nascere “dal sangue” né “da volere di carne né da volere di uomo”, da affetto e da umano desiderio, ma solo da Dio può essere generato (cf. Gv 1, 13). Egli nasce propriamente da Maria vergine che vive, ama e pensa con Dio nella medesima sfera superiore. Solamente Dio e la Vergine possono operare e consentire l’incarnazione del Verbo. Essi solo attestano che la sua origine e la sua appartenenza è dai cieli e nei cieli: Dio con la sua trascendente santità e Maria con la sua trascendente verginità.
Ne segue paradossalmente che Maria è madre perché vergine ed è vergine in vista della sua maternità. Ella viene così definitivamente scolpita secondo la divina sapienza: madre e vergine per soprannaturale costituzione e per sempre. Essere madre del Signore la definisce in modo incisivo e perenne; al di fuori di questa realtà sublime ella non è nulla, perde ogni sua consistenza e ogni suo privilegio. La verginità, a sua volta, costituisce il suo distintivo, l’aureola o l’anello del suo connubio divino, la forza spirituale della sua missione con Cristo e verso gli uomini.
Infatti come vergine ella partecipa, fin da questa terra, dell’incorruttibilità dello Spirito e della sua potenza creatrice e rigeneratrice. La natura della salvezza non è conforme alle leggi della carne ma segue le vie misteriose dello Spirito di cui l’uomo non vede la provenienza e di cui non può seguire il percorso (Cf. Gal 4, 22; Gv 3, 8). La verginità libera dalle ristrettezze della materia e della carne e conduce nella sfera dello Spirito; dispiega la creatura ad aprirsi alle sue ispirazioni e commisura le sue movenze a quelle della persona umana. Ora in Maria si attua tale stretto rapporto tra lei e lo Spirito in forza precisamente della sua verginità e della sua pienezza di grazia. Nessun essere umano è così intimamente unito allo Spirito come Maria. Per questa ragione può ricevere lo Spirito (cf. Mt 1, 18; Lc 1, 35) ed essere soggetta totalmente alle sue azioni interiori fino a lasciarsi pienamente avvolgere dalla sua presenza per essere sempre pronta a cooperare con lui. La verginità indica la permanente disposizione in Maria ad essere avvinta a Dio e non perdere mai la sua unione neanche nel dare alla luce il Figlio.
 



3. Terzo annuncio dell’angelo e disponibilità di Maria

Si è giunti alla conclusione dell’importante annuncio angelico, che dovrà fare piena luce sulla particolare maternità di Maria. Le parole suonano con una tonalità di altissimo livello e appaiono oltremodo profonde, provenienti dall’infinito mistero di Dio: “Lo spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio”.
Il succo finale del discorso cade su quell’ incisivo termine “Figlio di Dio”, conseguente al verbo “adombrare”. Occorre perciò soffermare l’attenzione su quest’ultimo per capire precisamente l’altro. In questo caso “adombrare” designa l’azione della nube che “copre con la sua ombra” un determinato luogo. Infatti in Es 40, 43-35, si legge che “la nube coprì la tenda dell’assemblea e la gloria del Signore riempì la dimora”. In questi versetti si descrive all’esterno l’azione della nube che ricopre la tenda, mentre all’interno la gloria del Signore invade tutta la tenda, stabilendovi la sua dimora. Non sono due eventi distinti, piuttosto due aspetti complementari della medesima manifestazione divina, l’uno visibile dal di fuori (la nube adombrante) e l’altro invisibile nel di dentro (la presenza della gloria del Signore). Similmente si può dire delle altre occasioni in cui nell’AT si ripresenta la stessa situazione della nube che si posa nella tenda (cf. Num 9, 18-22; Es 16,10; 19, 9; 34, 5) e poi nella terra di Canaan ricopre e riempie il Santuario in Gerusalemme (cf. 1 Re 8, 10-11; 2 Cron 5, 13-14; 6,1); anche i profeti vedono Dio avvolto di gloria nella nube (cf. Is 1, 1-4; Ez 10, 3-4; 43, 1-4). La “nube” pertanto indica la presenza misteriosa di Dio in mezzo al suo popolo nel segreto della tenda o del Tempio.
In tale contesto l’annuncio dell’angelo trova la sua adeguata ambientazione e spiegazione. Egli fa capire alla Vergine che la medesima gloriosa divina Presenza, che adombrava e riempiva il tabernacolo il Santuario di Gerusalemme, nel Santo dei Santi, ora sta per scendere su di lei, trasformandola in un nuovo Santuario, un Santo dei Santi vivente. Lo stesso Signore la avvolge del suo Santo Spirito e la ricolma di sé, innestando in lei il suo essere infinito. Quel Dio che ella fin dall’infanzia ha imparato ad adorare e glorificare nel Santuario, ora lo ritrova realmente e personalmente in se stessa dove egli ha posto la sua dimora e ha unito a sé la sua carne immacolata per essere presente tra gli uomini.
Precisamente in ragione di questa “adombrazione” il bambino che nascerà sarà chiamato Figlio di Dio, sarà cioè il Santo stesso , lo stesso Dio. Si tratta di una esplicita dichiarazione che sta per “incarnarsi” in lei e che, in virtù di questo misterioso e potente intervento, suo Figlio poteva essere chiamato santo e divino. Con queste aggiunte si capisce la novità e il superamento dell’azione divina in Maria rispetto a quella della nube dell’AT. Non è più una semplice generica presenza di Dio e della sua gloria, ma molto più fortemente e misteriosamente è Dio che nella sua infinita potenza farà germogliare dal corpo purissimo di Maria il frutto verginale di suo Figlio che è lo stesso Figlio di Dio. Pertanto la parola “adombrare” esprimeva chiaramente nella mente della Vergine l’atto dell’incarnazione di Dio. Ella lo ha capito appieno, ne è stata totalmente illuminata senza malintesi o incertezze d’intendimento. La sua legittima richiesta è stata finalmente appagata e ha fatto irruzione nel suo cuore. Suo Figlio nascerà da lei e sarà detto Figlio di Dio non perché non ha un padre terreno, ma perché egli sarà in persona lo stesso Dio fatto presente o incarnato in lei. Mirabile rivelazione del mistero della divina maternità di Maria!
Tuttavia c’è da fare ancora una precisazione, perché si tratta di mettere assieme due realtà umanamente inconciliabili: la maternità e la verginità. Per questo l’angelo prosegue nella delucidazione con una affermazione perentoria quale suggello finale della veridicità delle sue parole: “Nulla è impossibile a Dio”. A questo punto tornano i conti a tutto tondo, nel senso che ogni difficoltà mossa dalla limitata intelligenza umana si disperde come nebbia al sole di fronte alla superiore ineffabile e onnipotente opera di Dio. E tale intervento divino non rimane sospeso nella sfera dell’astrazione o dell’indeterminatezza, ma viene puntualmente confermato e attestato da un fatto reale e concreto che tutti possono constatare direttamente. Infatti su di esso l’angelo richiama l’attenzione: “Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile”. Ancora un miracolo sorprendente della grazia di Dio. Tutto ormai è stato delucidato con ammirevole concatenazione logica. Non c’è altro d’attendere da parte dell’angelo, ha compiuto molto bene il suo dovere di messaggero. Adesso spetta a Maria dare l’ultimo tocco affinché l’evento giunga al suo felice compimento.
Quale la sua corrispondenza? Ella, la piena di grazia, la vergine dedicata al Signore, certamente non aveva mai dubitato dell’onnipotenza, della bontà e misericordia divine. Non le restava altro che piegarsi deliberatamente al supremo volere di Dio e rimettersi fiduciosa alle sue disposizioni. Questa era la sua nobile vocazione, questa l’apertura del suo animo spiritualmente attento e generoso. In quel momento si è verificato in lei quel mirabile connubio tra il progetto salvifico del Padre e la sua totale sottomissione nella fede, in modo che i due intenti si congiungessero in un solo infinito abbraccio di amore puro e concreto. Lo rivela la sua ultima dichiarazione: “Ecco, sono la serva del Signore; avvenga di me quello che hai detto”.
La “serva del Signore”! Questo è l’appellativo con cui ella di autodefinisce e si riconosce nella più autentica consapevolezza. È il terzo nome che in questo racconto viene attribuito alla Vergine. Il primo è quello conosciuto dal suo ambiente familiare e sociale: Maria; il secondo le è stato rivolto dall’angelo inviato da Dio: piena di grazia; il terzo lei stessa lo applica a sé: la serva del Signore. Questo è il nome che lei preferisce e che si confà al suo modo di riconoscersi nel suo essere, quale creatura totalmente e fiduciosamente sottomessa a Dio non solo in quell’istante favorevole, ma da sempre e per sempre, prima e dopo l’annuncio angelico. Un’adesione pienamente libera e senza alcuna condizione delimitante, un disponibilità che l’accompagna e l’attraversa costantemente lungo il percorso storico della sua esistenza. Da porre in rilievo le sue ultime parole: “avvenga di me quello che hai detto”. Esse completano la manifestazione del suo animo e denotano la risposta ardente e fervida. Il tempo ottativo del verbo greco “avvenga di me” non indica una rassegnata accettazione. Tutt’altro. Denota una gioiosa e impaziente aspettativa; una prontezza senza limiti a prestare qualsiasi collaborazione fosse stata richiesta alla sua povera e umile persona.
Questo pieno e coinvolgente atto di fede costituisce la sublime conclusione del colloquio tra l’angelo e Maria. Ella attende ora il compimento degli eventi straordinari annunciati. Quando “l’angelo si partì da lei” si può supporre che l’incarnazione del Verbo si sia compiuta. L’unica condizione che la teneva ancora sospesa era il suo assenso. Ora che lei lo ha accordato, l’evento miracoloso si deve ritenere realizzato; la salvezza ha fatto irruzione sulla terra con la venuta del Figlio di Dio fatto uomo nel grembo purissimo di Maria. Grazie alla sua disponibilità, al suo “eccomi” iniziano la rigenerazione dell’umanità e il rinnovamento di tutte le cose nel nuovo corso che intraprende la storia.

don Renzo Lavatori
 

 

 

 

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