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Attualizzazioni

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Prima domenica di Quaresima: Adamo e Cristo...

Seconda domenica di Quaresima: Nel cuore del Vangelo...

Terza domenica di Quaresima: La rivelazione di Gesù...

Quarta domenica di Quaresima: Cristo pienezza della luce...

Quinta domenica di Quaresima: Gesù vincitore della morte...

Domenica delle Palme: Il giorno dell'ingresso del Signore...

Giovedì Santo: Li amò fino alla fine...

Venerdì Santo: Gesù sulla croce e la madre sua...

Sabato Santo: In attesa della Risurrezione...

PASQUA: La manifestazione del Risorto alla Maddalena...

Lunedì di PASQUA: Cristo Risorto nella splendore della...

 

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I QUARANTA GIORNI DELLA QUARESIMA


Le sei settimane di Quaresima preparano alla Pasqua, che costituisce il centro e il fulcro dell'anno liturgico e l'essenza dei misteri della salvezza cristiana. Questi quaranta giorni sono segnati anzitutto dal ricordo dei quaranta giorni di Gesù vissuti nel deserto, dalla sua lotta con il demonio e dalla sua vittoria sul tentatore. Nel deserto Gesù è nutrito dalla parola di Dio e così supera ogni suggestione diabolica che vorrebbe allontanarlo dalla volontà di suo Padre. Egli si sottopone al cammino assegnatogli, molto impegnativo e faticoso: operare la redenzione degli uomini con l'umiltà e il sacrificio totale di sé sulla croce piuttosto che ricercare l'onore e i piaceri del mondo. Un vero capovolgimento di vedute che Gesù ha accolto con tutta la sua generosa disponibilità e il suo grande amore diventando per noi il Salvatore. Durante questo tempo, nell'ascolto attento e perspicace della Parola di Dio, che indica la strada giusta da percorrere, anche noi ci poniamo al seguito del Cristo seguendo la sua traiettoria in conformità alla volontà del Padre e non assecondando i nostri egoismi e le nostre aspirazioni terrene e materialistiche, né lasciandoci condizionare da quella mentalità seducente e menzognera che proviene dal principe di questo mondo. A tale scopo occorre una forza interiore e soprattutto una chiara decisione di cambiare rotta, che significa fare una autentica "conversione".
I quaranta giorni ci ricordano anche i quaranta anni trascorsi dal popolo d'Israele nel deserto con un cammino lungo e tormentato che lo ha condotto dalla liberazione della schiavitù del faraone alla conquista della terra promessa. Fu un tempo quello anche di miracoli e di prodigiosi interventi divini per sovvenire alle necessità degli israeliti. Anche per noi si attuano le medesime condizioni nel tempo quaresimale: da parte nostra sorge il dovere di un maggior affidamento al Signore superando le tentazioni dell'attaccamento al nostro orgoglio e ai nostri peccati, mentre da parte di Dio si verifica un'abbondanza di grazia, di amore e di doni grandi e sorprendenti, di veri miracoli. Anche a noi viene elargita la manna, molto più preziosa dell'antica manna del deserto, perché si tratta del cibo disceso dal Cielo, cioè del corpo e del sangue di Gesù nella santa Eucaristia. Anche per noi sgorga l'acqua viva dalla roccia, un'acqua che disseta il nostro cuore e ci purifica dalle nostre miserie, mentre ci irrora dell'amore e della santità divine. Quest'acqua zampillante per la vita eterna è propriamente lo Spirito Santo che sgorga dal Cristo innalzato e trafitto sulla croce. La luce luminosa che ci guida non è più la nube o il fuoco degli israeliti nel deserto, ma la Verità, la Luce nella persona stessa di Gesù. Ci viene data anche una legge nuova contenuta nel Vangelo che dobbiamo accogliere e vivere quotidianamente.
Di fronte alla bontà divina mostrata in così sorprendenti doni, più acuta si fa in noi la consapevolezza del nostro peccato e della nostra infedeltà; consideriamo con amarezza quanto debole sia la nostra carne, quante ferite portiamo nel nostro animo. La coscienza della nostra condizione di peccatori non deve condurci all'avvilimento o alla depressione, piuttosto deve suscitare il desiderio della riconciliazione con Dio e la fiducia nella sua misericordia, nella certezza del suo perdono se egli trova in noi un serio pentimento e un valido proposito di rinnovare il nostro stile di vita. Da qui il ricupero della pratica sacramentale della penitenza o confessione, della frequenza alla S. Messa e alle pie pratiche soprattutto all'esercizio molto efficace della Via Crucis..
Il brano evangelico (Mt 6, 1-6. 16-18) che ascoltiamo il mercoledì delle ceneri, giorno iniziale della Quaresima, offre con semplicità e chiarezza i mezzi che ci aiutano a camminare operosamente verso la Pasqua. Il primo mezzo è dato dall'elemosina, con cui si presta aiuto al nostro prossimo più bisognoso con gesti di sincera carità e di benevolenza sia a livello materiale sia nella sfera affettiva, sociale e spirituale. Il secondo mezzo consiste nel digiuno, nel senso di mettere ordine nella sfera corporale e psichica della nostra persona, allontanando azioni o sentimenti o attaccamenti che possono ostruire la purificazione e la crescita nella vita cristiana. Il terzo mezzo è concentrato sulla preghiera quale momento privilegiato del nostro incontro con Dio nostro Padre amorevole. Come si vede, la liturgia, seguendo l'insegnamento di Cristo, pone l'accento su tre fattori di estremo valore umano e spirituale: il primo, quello dell'elemosina, riguarda il rapporto con gli altri, in modo da saperci relazionare con spirito di vero amore e di altruismo, vincendo il nostro egoismo e la nostra sete di possesso; il secondo, quello della mortificazione o digiuno, concerne la nostra persona, in modo da saper riconoscere umilmente le nostre miserie e ritrovare un equilibrato ordinamento tra le diverse facoltà del corpo e dell'anima per ottenere una giusta maturazione di se stessi; infine il terzo, quello della preghiera viva e profonda, mette in evidenza il nostro rapporto con Dio, in modo da restaurare con Lui un atteggiamento di totale fiducia filiale e di abbandono alla sua superiore e santa volontà, rendendoci consapevoli che il Signore deve avere il primo posto nella nostra vita.
Su questo mirabile tracciato il cammino quaresimale verso la Pasqua acquista il suo splendido volto di un progressivo avvicinarci ai meravigliosi eventi della nostra salvezza operata da Cristo con la sua passione, morte e risurrezione. Allora qualcosa di nuovo avviene in noi: si nobilitano i pensieri, si purificano i desideri, migliorano le azioni. Vuol dire che il mistero della Pasqua agisce e che insieme con Cristo la nostra anima risorge a nuova vita.

don Renzo Lavatori

 

ADAMO E CRISTO: DIVERGENZA E SUPERAMENTO


Prima Domenica di Quaresima (13.03.2011)


Il racconto biblico del paradiso terrestre e della caduta dell'uomo (Gn 2, 7-3,7), attraverso immagini simboliche, intende descrivere, da una parte, la realtà di una speciale manifestazione di Dio all'uomo fin dalle origini e, dall'altra parte, la reazione dell'uomo nel rifiuto e nella disobbedienza.
L'esperienza della colpa e della fatica, del dolore e della morte dopo il peccato originale, fa riflettere sul senso dell'esistenza umana, soprattutto se si pensa che Dio è perfetto e crea buone tutte le cose. Da qui sorge la domanda: com'è possibile mettere insieme la realtà di peccato e di male con la potenza e la bontà di Dio? Occorre affermare che all'inizio non doveva essere così. L'uomo originario viveva in un rapporto di amicizia e di familiarità con Dio, partecipando alla vera vita. Solo a causa della propria colpa l'uomo si ritrova lontano da Dio e soggetto alla miseria e alla morte. Il racconto del paradiso terrestre sottolinea la gravità del peccato, che ha distrutto la meravigliosa condizione dell'uomo nel suo rapporto con Dio e con le cose.
L'uomo è composto da una principio materiale, derivato dalla terra, e da un principio spirituale vivificante, causato in lui dal soffio divino, formando in sé una profonda unità, un solo soggetto esistente. Ciò sta a indicare il suo essere effimero, in quanto non possiede la vita per se stesso, ma per il dono di Dio, in virtù dell'alito vitale divino, che non è affatto inerente al suo corpo: basterebbe il rigetto di questo dono superiore per far ripiombare l'uomo nella sua morta materialità. Inoltre l'uomo viene ricolmato di altri doni grandi e vistosi; viene circondato da un amore particolare e premuroso da parte di Dio. Questo amore gratuito e generoso viene espresso attraverso diverse immagini: il giardino con l'abbondanza dell'acqua, degli alberi e dei frutti. Tutto ciò descrive la pienezza di vita e di bene; l'eden è il giardino di Dio, il luogo in cui egli si fa presente e il monte dove risiede, inaccessibile alla creatura, se non per un dono particolare di Dio stesso. E' il luogo in cui si manifesta e comunica la sua grazia nell'abbondanza dei suoi doni. L'uomo viene presentato nudo, cioè povero, indifeso e impotente davanti a Dio, ma non deve vergognarsene, perché Dio lo riveste del suo amore e lo adorna dei suoi gioielli.
Dio perciò ha chiamato l'uomo, un essere limitato e inferiore a lui, a vivere alla sua pari. C'è solo una condizione: l'accoglienza da parte dell'uomo di questo invito divino; egli deve accettare liberamente la vera vita, di cui solo Dio è datore e arbitro. In questo dovere di disponibilità e di obbedienza sta il significato culminante del racconto del paradiso terrestre e costituisce la base di tutta la storia della salvezza. E' il punto delicato e profondissimo del rapporto che Dio vuole stabilire con l'uomo, nel rispetto della libertà, ma con l'esigenza di una fedeltà e di una sottomissione radicate nell'amore. Purtroppo la creatura umana è venuta meno al suo impegno di corrispondenza sotto l'istigazione del serpente e ha commesso il peccato di insubordinazione e di orgoglio volendosi mettere al posto di Dio. Da qui la rottura tremenda tra il mondo divino e quello umano, dove l'uomo si è ritrovato solo e orfano, randagio alla ricerca disperata e angosciata di se stesso e della propria quiete. Ma Dio nel suo amore infinito non lo ha abbandonato. Anzi ha promesso subito, dopo la colpa, una salvezza futura (Gn 3, 15).
Nella lettera ai Romani (Rm 5, 12-19) Paolo rilegge la vicenda di Adamo in riferimento a Cristo il Salvatore. Adamo viene considerato il progenitore dell'umanità peccatrice, dominata dalla morte e dalla sofferenza, ed è contrapposto a Cristo, il quale riporta l'umanità allo stato primitivo di grazia e di comunione con Dio, Infatti, Cristo, mediante il suo sacrificio redentore nell'amore, riconcilia l'umanità con Dio, poiché il peccato aveva attuato uno stato di discordia e di inimicizia rispetto al disegno iniziale del Creatore. Cristo pertanto è il "secondo Adamo" o il "nuovo Adamo", il Figlio di Dio che, mediante la sua obbedienza e la vittoria sulle insidie sataniche (Mt 4, 1-11), compie il gesto di disponibilità a Dio, al quale non seppe essere fedele il primo Adamo. Tuttavia il rapporto tra Adamo e Cristo non si pone sullo stesso pieno, ma secondo un senso di superamento, in quanto Cristo non è solo "anima vivente" e proveniente dalla terra, ma è "spirito vivificante" e derivante dal cielo (1Cor 15, 45. 47). Cristo perciò è il prototipo al quale Adamo si riferisce come pallida immagine o "figura di colui che deve venire" (Rm 5, 14). Per tale ragione la grazia originale è un primo stadio rispetto alla meravigliosa comunicazione divina realizzata da Cristo, che non solo ci ha ricattati dal peccato e dalla morte, ma ci ha conferito il dono di diventare partecipi della sua stessa filiazione divina per essere coeredi con lui del regno di Dio.
Il cammino quaresimale consiste precisamente nel passaggio (la pasqua) dal primo Adamo al secondo Adamo, cioè dal peccato alla vita di grazia, dalla morte spirituale alla vita nuova in Cristo per giungere alla adesione a Dio e alla comunione totale con Dio.

don Renzo Lavatori

 

 

NEL CUORE DEL VANGELO: LA TRASFIGURAZIONE


II Domenica di Quaresima (20.03.2011)

 

Dopo la dichiarazione messianica fatta da Pietro a Cesarea, inizia un nuovo e ultimo periodo del ministero di Gesù. Ormai la maggioranza dei giudei rifiuta di riconoscere in lui il Messia atteso, mentre alcuni discepoli, insieme a Pietro, sono convinti che egli sia il Cristo. A essi Gesù farà conoscere progressivamente il mistero della sua missione che lo condurrà a Gerusalemme per essere consegnato nelle mani dei sommi sacerdoti e condannato a morte, per poi risorgere. A questo punto iniziano gli annunci della passione e della risurrezione (Mt 16, 21ss.; Mc 8, 41ss.; Lc 9, 22ss.). Il discorso viene accolto con difficoltà anche dai discepoli, in particolare da Pietro, che reagiscono in senso contrario (Mt 16, 22-23), in quanto sono incapaci di accettare il piano divino così lontano dalla loro mentalità. Per superare tale scandalo e aprire i loro occhi alla fede nella missione del Messia sofferente, Gesù si manifesta nella gloria della sua divinità con la trasfigurazione (Mt 17, 1-9).
Gli elementi che entrano a comporre l'evento della trasfigurazione confermano tale significato di fondamentale importanza. Il primo elemento è la montagna: "Li condusse sopra un'alta montagna, in disparte". Non è solo il bisogno di solitudine e di preghiera che viene qui indicato, ma il monte è il luogo santo, il trono in cui risiede e si manifesta Jahvé (Es 19, 20). Sul monte Sinai Mosè vede Dio e riceve le tavole della Legge (Es 24, 12.15-17) ed Elia vi sale per contemplare la potenza divina (1Re 19, 8). La montagna in cui Dio scende a parlare al Figlio suo trasfigurato costituisce il nuovo Sinai, la nuova Sion.
Il secondo elemento è dato dalla gloria che risplende in Gesù, nel quale si manifesta ormai in modo definitivo e pieno la presenza della gloria e della santità divine. La gloria che Gesù aveva annunciato per la fine dei tempi, quando "il Figlio dell'uomo verrà con gli angeli suoi nella gloria del Padre suo" (Mt 16, 27), è ora anticipata ed è realmente vista dai tre apostoli (Lc 9, 32). La gloria appartiene solo a Dio e costituisce il suo essere proprio, la sua trascendenza, perché lui solo è "il tre volte Santo".Questa gloria ora risplende sul volto di Gesù, in modo talmente forte che lo avvolge tutto e lo trasfigura come lo splendore che rivela il suo stesso essere, la sua persona, la sua divinità.
La presenza di Mosè e di Elia costituisce il terzo elemento, che vuole significare che su questa montagna, nuovo Sinai, in virtù di Gesù si sta compiendo la salvezza definitiva. La legge e i profeti, da essi rappresentati, confermano l'attuazione in Cristo del piano divino; in lui tutta la storia e le istituzioni di Israele trovano il loro compimento; in Cristo si realizza il nuovo esodo, la nuova definitiva pasqua. Una pasqua molto più significativa e incisiva dell' antica pasqua israelitica, perché non si tratta tanto di una liberazione sociale dalla schiavitù egiziana pur dolorosa, ma più profondamente essa libera in modo radicale e totale l'umanità dalla soggezione alla morte e al potere del diavolo per trasferirla nella libertà dei figli di Dio possessori del suo regno di amore e di pace.
Infine la nube, il quarto elemento, avvolge i tre personaggi, li ricopre e li adombra. Nella mentalità biblica la nube è un segno divino che accompagna le manifestazioni celesti. Al tempo dell'esodo la nube aveva ricoperto la tenda del convegno e la gloria di Dio aveva riempito la dimora, per indicare la presenza continua e vigilante di Javhé in mezzo al suo popolo (Es 40, 34-35); il suntuoso tempio, costruito da Salomone, era stato avvolto dalla nube e ricolmato della gloria ( 1Re 8, 10-12); così avviene nella pienezza dei tempi (Ez 10, 3-4). Su questa montagna, in cui è Cristo, discende la nube, segno della presenza di Dio in mezzo agli uomini, della sua permanenza con essi ormai per sempre, dopo che la stessa potenza dell'Altissimo aveva adombrato la vergine Maria ricolmandola dello Spirito Santo(Lc 1, 35) nel mistero dell'incarnazione del Figlio di Dio. Essa ora non ricopre soltanto i tre personaggi, ma anche i tre discepoli. Ciò dimostra che costoro non sono semplici spettatori, ma vengono coinvolti in questo avvenimento; essi stessi parteciperanno alla gloria divina che li ricoprirà, li trasformerà in creature nuove colme dello Spirito Santo. L'evento della trasfigurazione di Gesù costituisce l'inizio della trasfigurazione dei credenti, i quali, seguendo il Maestro sulla via della croce, lo raggiungeranno nella gloria della risurrezione. Il destino di Gesù diventa il destino dei suoi seguaci; la sua pasqua diventa la loro pasqua. Gesù e i discepoli formano ormai una sola realtà, la sua Chiesa, il nuovo popolo dei redenti.
La trasfigurazione raccoglie in sintesi tutto il vangelo e pertanto si pone come punto centrale del mistero di Cristo e della vita cristiana: in essa si unifica la storia della salvezza passando dall'antica alla nuova alleanza; in essa converge la vita di Gesù quale momento focale della sua vita che lo immette verso il compimento totale della sua missione attraverso la passione e la morte con la conseguente risurrezione; essa segna il passaggio da questo mondo al Padre; in essa si manifesta l'essere di Gesù quale unione della gloria divina con la realtà umana; essa rivela la luce che si fa profezia e insegnamento per ogni cristiano che deve seguire quella medesima traiettoria del Maestro come l'unica valida per la salvezza: "ascoltatelo".
Queste parole celesti formano la giusta conclusione: esse devono risuonare profondamente nel nostro cuore e farlo vibrare di fede viva e di ardente amore, per attingere la forza e la speranza di assecondare la divina volontà come ha fatto Gesù, nella consapevolezza che solo accettando e offrendo ogni nostra sofferenza in sintonia con la sua passione potremo acquistare la gioia e la vitalità della sua risurrezione. Così giungeremo anche noi alla trasfigurazione pasquale per intraprendere un vita nuova non più soggetta al peccato ma vivente nella grazia e nell'amore scaturenti dal Cristo risorto.

don Renzo Lavatori
 

LA RIVELAZIONE DI GESU' E L'ACCOGLIENZA DEL SUO SPIRITO


III Domenica di Quaresima (27.03.2011)

 

A Sicar, presso il pozzo di Giacobbe, verso mezzogiorno, si incontrano Gesù e la samaritana (Gv 4,5-42).
Durante il colloquio, Gesù si rivolge alla donna dicendole: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice "dammi da bere", tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva» (Gv 4,10). Dalla struttura della frase risulta che il dono di Dio è l'acqua viva. Quest'acqua viva viene «data» da Gesù.
Da tutto il contesto del racconto, imperniato sull'automanifestazione progressiva di Gesù, sembra che l'acqua viva data da Gesù sia proprio il suo rivelarsi. E' questo il filo conduttore di tutto il brano: infatti Gesù si presenta più grande di Giacobbe (vv. 12-13), che ha dato il pozzo presso Sicar, mentre Gesù donerà non acqua, ma acqua viva che dis seta per sempre; Gesù è inoltre un profeta (v. 19), che riesce a leggere nella vita privata della donna; ancor più si presenta alla donna come il Messia (v. 26): «Sono io che ti parlo»; alla fine del racconto è proclamato il salvatore del mondo (v. 42) dagli stessi samaritani.
E' questa l'acqua viva che Gesù vuol donare. Infatti la donna, appena appreso che Gesù è il Messia, lascia la brocca e va in città. Ormai non le serve più l'acqua del pozzo, ha trovato un'altra acqua, molto più fresca e dissetante: è Gesù, il Messia, che le si è manifestato.
L'attuale manifestazione di Gesù ai samaritani avrà la pienezza nel futuro, quando Gesù potrà dare in abbondanza acqua viva a «chiunque vorrà berla» (v. 13). Ciò avverrà dopo la sua esaltazione, quando con la morte e la risurrezione otterrà la gloria che aveva presso il Padre (Gv 7,37-39). Da questo momento il dono di Dio sarà pienamente effuso sui credenti ed essi potranno riconoscere in Cristo il Figlio di Dio e ottenere la vita. Ora dal Vangelo di Giovanni si ricava che sarà proprio lo Spirito di verità a far sì che la verità di Gesù, cioè il suo rivelarsi come Figlio di Dio, venga accolta nel cuore dei discepoli per essere interiorizzata, attualizzata, approfondita, nel tempo della Chiesa (cc. 13...17). Da tale accoglienza dello Spirito nasce un culto nuovo, fatto «in Spirito e verità» non più legato solo ai gesti esteriori, ma irrorato dall'amore e dalla fede sgorganti dall'animo dei credenti in Cristo; amore e fede quali doni del suo Santo Spirito.
«Se tu conoscessi...». Il verbo «conoscere, sa pere» nel Vangelo di Giovanni ricorre spesso per indicare l'atteggiamento dell'uomo che riconosce (o non riconosce) in Gesù il Messia, il Figlio di Dio, l'inviato dal Padre: «Noi sappiamo che è veramente lui il salvatore del mondo» (4,42). Tale conoscenza, che costituisce l'accoglienza del Cristo nel cuore del credente, è dovuta precisamente al l'azione dello Spirito. Giovanni Battista dice per due volte riguardo a Gesù: «Io non lo conoscevo» (1,31.33), ma solo quando lo Spirito scende su Gesù egli riconosce in lui il Figlio di Dio (1,34).
La funzione del dono è quella di far entrare nell'animo di colui che l'accoglie la persona del donatore, in modo che i lineamenti di questi, la sua figura appaiano in tutto il loro splendore e il loro fascino, la sua parola risuoni forte e soave, e tra i due si stabilisca una profonda comunione d'amore. Il dono consente di essere l'uno nell'altro come una sola cosa. Promettendo il dono del Paraclito, Gesù descrive la sua azione in questi termini: «In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre e voi in me e io in voi. Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi mi ama. Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anch'io lo amerò e mi manifesterò a lui» (Gv 14,20-21).
E' quello che attendiamo e per il quale ci impegnamo nel cammino quaresimale verso la Pasqua.

Don Renzo Lavatori

 

CRISTO PIENEZZA DELLA LUCE: VEDERE E CREDERE


IV Domenica di Quaresima (03.04.2011)


Il luminoso brano del Vangelo di oggi (Gv 9, 1-41) introduce, ancora una volta, alla contemplazione della figura di Gesù, per scoprirne gli aspetti sempre più belli e affascinanti. Ma non è facile "vederlo e credere in lui". Veniamo ai fatti.
Tutto ha inizio da un grosso miracolo da lui compiuto: il dono della vista a un uomo cieco fin dalla nascita. Gesù spiega subito che non si tratta di un essere umano ricolmo di peccati né suoi né dei genitori, piuttosto di un "segno" per manifestare le opere di Dio, in particolare individuare il grande spessore che si cela in Gesù e che lui rivela: "Io sono la luce del mondo".
Davanti al vistoso evento della guarigione del cieco, le opinioni degli astanti si dividono in due gruppi: l'uno rifiuta di ammettere un portento del genere, negando che il cieco sia la medesima persona del vedente; l'altro invece riconosce in lui l'azione miracolosa di Cristo. Il miracolato lo conferma dicendo che quell'uomo chiamato Gesù ha fatto del fango, lo ha spalmato sugli occhi e lo ha mandato a lavarsi alla fonte di Siloe; lui è andato, si è lavato e ha acquistato la vista. Di nuovo i Giudei lo interrogano sul fatto ed egli ripropone lo stesso racconto. Alla loro domanda: "Tu che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?", risponde francamente: "E' un profeta". Ancora accade il dissenso per riconoscere in Cristo un profeta e un inviato da Dio. I Giudei lo negano, anzi affermano il contrario dichiarandolo peccatore; ma il cieco-vedente ribadisce asserendo che se Gesù fosse un peccatore, non avrebbe mai potuto compiere un miracolo così strepitoso. Di fronte a tale lampante evidenza, il loro cuore si chiude con maggiore veemenza e non vogliono caparbiamente considerare la realtà né accettare la verità che Gesù possieda una potenza divina. Rimangono prigionieri nelle tenebre della loro mentalità chiudendo forzatamente gli occhi alla manifestazione eclatante dell'intervento di Dio. Strana contraddizione! Il cieco comincia a vedere sia fisicamente sia spiritualmente, mentre essi vedenti sono ciechi, perché non vogliono vedere né con gli occhi del corpo né con l'apertura del cuore. Le posizioni si rovesciano di sana pianta.
Alla fine spunta la vera luce, quando Gesù incontra il miracolato e gli si rivela nella sua più profonda verità di essere il Figlio dell'uomo, cioè il Messia inviato da Dio per la salvezza del suo popolo. Allora l'uomo guarito fa la sua professione di fede piena e sincera, prostrandosi davanti a Gesù. In quel momento i suoi occhi hanno ritrovato la vera visione, perché ha visto, ha creduto e lo ha pubblicamente attestato: "Io credo, Signore". Ormai la luce lo ha avvolto nel corpo e nell'anima. Mentre gli altri, increduli e orgogliosi, sono rimasti accecati nell'impossibilità di vedere il mistero che si nascondeva in Cristo, la sua realtà umana e divina, la sua pienezza di luce.
Nasce spontanea una riflessione, o piuttosto una domanda, sul nostro modo di essere cristiani, cioè credenti in Cristo e suoi autentici discepoli. Ma noi su quale banda ci poniamo: dalla parte del cieco nato guarito e credente oppure dalla parte dei sedicenti credenti ma di fatto ottenebrati dal proprio peccato d'incredulità e di indifferentismo religioso? Quante volte siamo assaliti da dubbi, incertezze e tenebrosità proprio sulle verità della dottrina cattolica e in particolare sulla figura di Gesù. La nostra fede si annebbia, si indebolisce e spesso si annulla per correre dietro alla mentalità ingannevole e falsa di luci illusorie e mondane, materialistiche ed egoistiche. La luce di Gesù brilli più fortemente e incisivamente nei nostri cuori, nella mente e nella vita di ogni giorno! Essa metta in fuga le tenebre e faccia risplendere la bontà, la santità e la bellezza del nostro cristianesimo. La quaresima sia per tutti un tempo di luminosità e di splendore per "vedere e credere" a Cristo Signore e Salvatore. Lui solo è la nostra vita, la nostra speranza, la nostra gioia, la pienezza di luce sul nostro cammino verso la Pasqua. Fissiamo i nostri sguardi su di lui per accogliere la grazia, la misericordia, la forza che scaturisce dal suo essere "la luce del mondo". Non lasciamoci confondere né accecare dalle finte luci che sembrano brillare, ma di fatto abbagliano gli occhi e rattristano il cuore, allontanandoci dalla fede vera, viva e forte. Se così faremo, l'alba della risurrezione spunterà e sfavillerà con potenza senza più tramontare.

Don Renzo Lavatori

 

GESU' VINCITORE DELLA MORTE: CREDERE E VIVERE


V Domenica di Quaresima (10.04.2011)

 

Dopo la manifestazione di Gesù quale fonte di acqua viva e datore dello Spirito Santo nell'incontro con la samaritana; dopo la luminosa rivelazione di essere la luce del mondo con il miracolo del cieco nato, ora, in questa V domenica di Quaresima (Gv 11,1-45), egli si presenta con una dichiarazione di altissimo valore umano e divino: "Io sono la risurrezione e la vita". Il bello che queste sue auto affermazioni non sono soltanto espressioni verbali, seppure di elevato tenore, ma sono comprovate fattivamente con l'attuazione di colossali miracoli. Questa volta si tratta nientemeno di far tornare in vita un morto da quattro giorni, deposto nel sepolcro e già in fase di decomposizione. Un evento veramente impressionante e superiore ad ogni aspettativa umana. Si rimane colmi di meraviglia e di interiore stupore, mentre ritorna la domanda incalzante: ma chi è mai costui che opera portenti così eclatanti?
Gesù lo spiega esplicitamente, parlando di Lazzaro malato e poi morto: "Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinchè per mezzo di essa il Figlio di Dio sia glorificato". Tutto risulta chiaro e inequivocabile. Lui si dichiara Figlio di Dio e il miracolo che compie ha lo scopo non solo di confermare la sua potenza divina ma di rendere gloria a Dio suo Padre. Il risuscitamento di Lazzaro dunque non costituisce per se stesso un evento di grande rilievo, ma acquista il suo pieno valore se si collega al contesto del mistero di Cristo e della sua missione quale inviato dal Padre. In effetti esso costituisce una anticipazione della sua prossima morte e risurrezione. L'importante che tutto ricada nel cuore dell'uomo per suscitare in esso la fede in Cristo. Il suo scopo sta precisamente nell'istigare, rafforzare, ravvivare la fede sia dei suoi discepoli sia delle sorelle di Lazzaro sia del popolo.
Fortemente significativo è il colloquio che viene fatto tra Marta, sorella di Lazzaro e Gesù. Ella è una donna credente che esprime la sua disponibilità a credere nella capacità miracolosa di Gesù. Egli però vuole condurla ad una fede totalmente luminosa e incisiva, in modo che in lei non resti alcun dubbio sulla divinità di Cristo e sulla sua realtà messianica, come Marta alla fine professa con fermezza: "Sì, Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo". Niente di più completo e perentorio.
Dopo una così solenne professione di fede, Gesù si inoltra verso la tomba per compiere il miracolo. Qui l'evangelista apre uno squarcio nell'animo di Gesù, facendovi scoprire la sua profonda sensibilità e affettività. Gesù si commuove intimamente e addirittura "scoppiò in pianto", tanto da meravigliare gli stessi Giudei che dicono: "Guarda come lo amava!". L'affetto e l'amicizia che lo legano a Lazzaro dimostrano la sua piena e ricca tenerezza umana, alla quale si accompagna la sua ardente e confidente preghiera al Padre, a cui rende grazie nella consapevolezza che egli lo ascolta sempre ed esaudisce le sue richieste. Così è stato. Gesù grida a gran voce: "Lazzaro, vieni fuori". Il morto esce dalla tomba, mentre Gesù ordina di liberarlo e lasciarlo andare. Queste parole indicano l'effetto di libertà e di movimento che ridona a Lazzaro la vita.
A questo punto sorgono spontanee due riflessioni. La prima riguarda la figura di Gesù, la seconda concerne la nostra posizione. Quanto alla prima, va detto che in questo strepitoso miracolo Gesù apre gli occhi degli astanti per far loro intravedere la sua risurrezione in forza della sua potenza divina, come aveva dichiarato di essere la risurrezione e la vita. Una meravigliosa rivelazione e anticipazione del suo essere e della sua opera salvifica. Quanto a noi, per la seconda riflessione, si richiede una condizione per accogliere la sua rivelazione e far nascere anche in noi una vita nuova, più forte della morte. Tale condizione è la fede. Egli ce lo indica, quando afferma: "Chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno".
Stupende parole di sicuro conforto e di certa speranza. Sono esse che ci devono accompagnare lungo il cammino quaresimale nell'attesa gioiosa di ritrovare in Cristo la sorgente della vita, quella vera e imperitura, che sconfigge la morte e ci dona la eredità eterna. Non esiste altra cosa più bella e più desiderata di questa. A noi il compito di saperlo accogliere e vivere fino in fondo con la pienezza della nostra fede.

Don Renzo Lavatori

 

IL GIORNO DELL'INGRESSO DEL SIGNORE A GERUSALEMME


Domenica delle Palme (17.04.2011)

 

Nella Domenica delle Palme, con l'ingresso di Gesù in Gerusalemme, si apre la settimana Santa, la principale di tutto l'anno liturgico. Essa è la più ricca memoria e attualizzazione degli eventi della redenzione: l'ultima cena, la passione, la morte, la sepoltura, la risurrezione del Signore. La comunità cristiana è chiamata a raccogliersi con attenzione e partecipazione all'ascolto della parola di Dio che rievoca i grandi momenti della nostra salvezza. All'ascolto si deve accompagnare la nostra preghiera, quale risposta riconoscente e piena di lode ai doni della divina misericordia e del suo amore infinito. Similmente è richiesta la partecipazione alla Santa Eucarestia, quale sacramento dove ritroviamo, nei segni del pane e del vino consacrati, il corpo di Gesù offerto per noi e il suo sangue effuso per la remissione dei peccati.
Sono giorni di passione per i cristiani, che rivivono in sé i dolori di Cristo; sono giorni di raccoglimento e di silenzio, nella meditazione del disegno sorprendente e inaudito del Figlio di Dio fatto uomo che ci ha amati fino a morire in croce; sono giorni di serena speranza e di luce radiosa, perchè il male è stato sconfitto definitivamente e alla morte dolorosa si è sostituita la gloria della resurrezione. Da questi eventi così intensi e vitali dovrà sorgere in noi la profonda convinzione di affidarci totalmente a Gesù, di scoprire nuovamente la forza inesauribile della sua carità che ci ha riscattati e di ritrovare la gioia di una vita nuova che esce dal sepolcro di Gesù e costituisce per noi l'inizio e il germe di una esistenza non più schiava del peccato e della cattiveria, ma totalmente rinnovata nella verità e nell'amore.
Oggi ripercorriamo spiritualmente l'ingresso di Gesù in Gerusalemme, come viene raccontato da Matteo (Mt 21,1-11). E' un evento glorioso per Cristo acclamato come il re di Israele, che viene nel nome del Signore. Ma insieme questa gloria e regalità di Cristo sono soltanto preannunciate, perchè prima è necessario passare attraverso la passione e la morte. Per questa ragione nella Domenica delle Palme si legge la narrazione evangelica delle sofferenze di Gesù e della sua condanna a morte. Si apre per noi cristiani la visione di Cristo quale servo umiliato fino alla morte, che consegnandosi a una ingiusta condanna, porta il peso dei nostri peccati e nella sua morte lava le nostre colpe.
Ritornando all'ingresso di Gesù nella città Santa, possiamo riscontrare due caratteristiche. L'una indica la folla numerosissima che stende i propri mantelli sulla strada, mentre altri tagliano rami dagli alberi e li distribuiscono sul percorso dove passa Gesù seduto su di un puledro d'asina. Tutti lo osannano e benedicono. Invece altra gente di Gerusalemme è presa da agitazione e da stupore per sapere chi è costui e perché mai riceve un tale onore. Di fatto lo vogliono togliere di mezzo quale personaggio troppo scomodo per loro. Come sempre, Gesù è segno di contraddizione: alcuni lo accolgono e lo amano, altri lo rigettano e lo odiano. Questi ultimi prevarranno nei prossimi giorni quando lo faranno condannare a morte. Ma per noi, i credenti in lui, i suoi discepoli e ammiratori, i suoi amici, resta vero quello che dichiara la folla: "Questi è il profeta Gesù, da Nazaret di Galilea". Questa è la nostra fede, questa la nostra speranza e da qui consegue tutto il nostro amore per lui nostro salvatore.

Don Renzo Lavatori

 

LI AMO' FINO ALLA FINE


Giovedì Santo (21.04.2011)

Nel medesimo contesto dell'ultima cena di Gesù, intesa come massima espressione di amore, si fa avanti l'attacco del maligno nel dramma del tradimento. "Prima della festa di pasqua, sapendo che era giunta l'ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine" (Gv 13,1). Nell'intimità del cenacolo, assieme ai discepoli che erano suoi, perché scelti da lui e a lui affidati dal Padre, Gesù rivela il suo amore immenso, che riversa anche su Giuda. Dall'altro versante "il diavolo aveva messo in cuore a Giuda Iscariota, figlio di Simone, di tradirlo" (Gv 13,2). Di nuovo il contrasto di due spiriti del tutto contrari: la generosità dell'amore di Cristo e il tradimento dell'amore inoculato da satana in Giuda.
Gesù compie il gesto servizievole di lavare i piedi ai discepoli, per mostrare, ancora una volta, che li ama fino alla fine, fino a diventare loro servo, anche verso colui che lo tradisce, cercando di purificare il suo cuore (Gv 13,11.18). Poco dopo Gesù fa un altro gesto di amore, quello di intingere il boccone nel piatto e consegnarlo a Giuda. E' segno di profonda comunione la condivisione della stessa mensa e dello stesso cibo. Ma di fronte si trova il rifiuto dell'amore: "E allora dopo quel boccone, satana entrò in lui" (Gv 13,27), cioè in Giuda. Ora si manifesta in senso pieno lo spirito contrario all'amore, lo spirito dell'odio e dell'egoismo, che conduce nelle tenebre e alla morte.
Si può dire che lo spirito di satana, presente in Giuda, manifesta colui che, chiuso il proprio cuore all'altro, resta prigioniero di sé, nella durezza d'animo di non accogliere nessun altro che se stesso, anzi con la viltà di tradire l'amore puro e totale. Il tradimento indica l'indisponibilità radicale all'amore che si dona e la volontà di distruggerlo ad ogni costo, di gettarlo via da sé perché costituisce motivo di angoscia terribile e di gelosia stizzosa. Chi tradisce non è semplicemente colui che rifiuta l'amore in senso generico, ma colui che, avendo sperimentato e condiviso la bellezza e la gioia dell'amore, lo rinnega e lo allontana da sé volutamente. Infatti Giuda era stato "scelto" da Gesù tra i dodici; una creatura dunque prediletta, eppure in lui si rivela il diavolo (Gv 6,70), lo spirito del traditore.
Satana dunque è l'antagonista di Cristo, il suo avversario. In questo egli si manifesta nella sua non verità, non amore, non figlio; insieme mostra la sua volontà di diffondere e causare la medesima negatività tra gli uomini, indirizzandoli verso il non amore e la non verità; cioè egli è generatore di menzogna, di egoismo e di morte. Di fronte a lui, Gesù si pone in fermo e chiaro atteggiamento di opposizione e di condanna, senza lasciarsi in alcun modo abbindolare o condizionare, per svolgere fino in fondo la sua missione di salvezza per l'umanità, in docile ossequio alla superiore volontà paterna. Proprio a causa di questa sua intrepida resistenza contro le potenze maligne, egli diventa la roccia sulla quale esse si infrangono e si disintegrano. Precisamente nella morte di Gesù si compie il giudizio contro satana (Gv 16,11), in quanto Gesù diventa il punto di attrazione e di illuminazione per tutti gli uomini, strappando al principe di questo mondo il suo fascino. Se Cristo accetta di essere messo alla prova da lui, lo fa per testimoniare al mondo il suo amore e la sua obbedienza al Padre (Gv 14,30-31), perché la sua vittoria sia manifesta a tutti e il Padre sia glorificato (Gv 17,1).
Di fronte a un amore così eccelso il nostro cuore si dilata per accoglierlo in pienezza ed essere da esso irrorato, purificato, santificato. Fuggiamo ogni tentativo di rifiutarlo o anche solo di trascurarlo o di evitare di essere toccati e risanati nel nostro intimo. Solo quell'amore infinito e traboccante può acquietare e dissetare il nostro estremo bisogno di amore, di perdono, di comprensione.

Don Renzo Lavatori

 

 

GESU' SULLA CROCE E LA MADRE SUA


Venerdì Santo (22.04.2011)

 

Giovanni racconta "Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Clèopa e Maria di Màgdala. Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: "Donna, ecco il tuo figlio!". Poi disse al discepolo: "Ecco la tua madre!". E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa" (Gv 19,25-28).
Il momento è solenne: l'atto ultimo del Cristo che si offre al Padre sulla croce per salvare l'umanità; è la pasqua di Gesù, il suo innalzamento. Ciò consente di capire che le sue parole siano pronunciate con grande valore spirituale. E' chiaro che quando uno soffre, quando sta per morire, con forti tribolazioni, non dice parole inutili, ma ogni parola ha un significato preciso che va accolto con pienezza di amore. E' come il suo testamento; Gesù alla fine dona all'umanità la cosa che aveva più cara: sua madre. E tale dono viene suggellato dal sacrificio della croce.
Giovanni scrive che Maria stava presso la croce. Il verbo latino, stabat (stava), indica un atteggiamento di compartecipazione intrepida di questa donna. Ella stava ritta, in atto di offerta e di preghiera, pur sentendo profondamente il momento doloroso che stava attraversando. Lo viveva però nella consapevolezza spirituale di oblazione al Padre e a tutta l'umanità. Sta ritta, dignitosamente raccolta. Si potrebbe dire, se non andiamo troppo oltre il testo sacro, una crocifissa con il crocifisso. Anche se materialmente Maria non aveva il peso del legno sul suo corpo, tuttavia il suo spirito era letteralmente attaccato alla croce del Cristo. Ella era l'unica creatura in quel momento che partecipava effettivamente al suo sacrificio sulla croce. I discepoli, anche i più fedeli, lo avevano rinnegato, molti erano fuggiti. Erano presenti le pie donne, ma apparivano prese più dall'aspetto umano della sofferenza del Cristo, che dal senso redentivo della sua morte. Non si rendevano conto che Gesù compiva il disegno salvifico del Padre, che quello era il momento culminante della sua missione salvatrice. Maria invece ne è consapevole. E' in questa sintonia d'animo che Gesù la guarda ed è in questa prospettiva del suo sacrificio redentore che la dona.
E' l'ora di Cristo ed è l'ora di Maria, perché Maria collabora con Cristo all'adempimento obbediente del piano salvifico del Padre. A Cana ella ha anticipato questo momento, ma qui non può venir meno a questa ora perché lei è coinvolta con il Figlio nell'attuazione della redenzione umana. In tal senso Gesù la chiama donna. E' un termine molto bello, solenne, rispettoso, non il contrario. Donna significa signora, ma soprattutto si richiama alla Genesi, quando la prima donna ha disobbedito a Dio e ha trascinato nel peccato suo marito. Ora la nuova Eva, al contrario della prima, nella disponibilità al piano di Dio, viene inserita nell'atto oblativo del nuovo Adamo per restaurare l'amicizia dell'umanità con Dio.
Il Crocifisso dichiara: "Ecco il tuo figlio". Egli presenta alla madre il discepolo lì presente, come fosse suo figlio, in sostituzione del figlio proprio che sta morendo sulla croce. Il significato è molto profondo. Gesù esige dalla madre un rapporto con Giovanni che non è semplicemente a livello di affetto amichevole, deve raggiungere la medesima intensità del rapporto che la univa a lui come figlio. In altre parole Gesù invita la madre a continuare il suo ruolo materno, con lo stesso affetto, con la stessa fede, con lo stesso trasporto con cui lo ha esercitato con lui, prendendo come suo figlio il discepolo.
Per Maria non è cosa da poco. Sostituire il figlio, per una madre, è un atto eroico: altro è Gesù, altro è Giovanni. Gesù è il frutto del suo seno, carne della sua carne, il Figlio che ella ha amato al di sopra di tutti. Giovanni era sì un amico, un seguace del Cristo, ma un estraneo, non aveva certo la dolcezza, la profondità e la bellezza del Figlio. Nonostante ciò, Maria si rende disponibile ad accogliere Giovanni con lo stesso amore, con la stesa disponibilità con cui ha accolto il Verbo di Dio nel suo seno. Un totale atto di donazione è richiesto a questa donna in tale ora, in cui avrebbe potuto ripiegarsi su se stessa, nel suo dolore, e chiedere un minimo di comprensione. Invece le è chiesto, ancora una volta, di dimenticarsi, di accantonare la sua maternità, di distaccarsi dal Figlio vero per guardare e rendersi disponibile alla maternità verso un'altra creatura. Maria, nella sua apertura d'animo, compie l'atto eroico che le si chiede: "Ecco il tuo figlio!". Ella ha detto sì. Come all'annunciazione, ripete il suo sì con tutto lo slancio del cuore: "Sì, o Signore Gesù mio figlio, io prendo Giovanni come fosse te, e lo guardo come guardo te, e lo amo come amo te, e lo custodisco, lo guido, lo illumino come facevo con te".
Maria è pronta ad assumere la nuova maternità, che le è costata la sostituzione della sua vera maternità umana di madre di Dio con quella verso il discepolo di Cristo. E da questo momento Maria è madre della Chiesa e tutti noi siamo suoi figli.

Don Renzo Lavatori

 

 

IN ATTESA DELLA RISURREZIONE


Sabato Santo (23.04.2011)

 

Il NT cerca di spiegare il significato della morte in croce. Essa non è solo un evento storico, ma un momento di salvezza e come tale va compreso e approfondito. D'altronde era indispensabile presentare una apologia della croce stessa, sia per i non credenti come per i credenti, dato che essa costituisce il centro e il vertice della fede e della vita cristiana. Ma non è facile accettare l'annuncio della croce come fonte di salvezza, essa che è l'espressione massima dell'annientamento e del disprezzo umano. Intorno alla croce infatti si separano la Chiesa e la Sinagoga, la sapienza divina e la sapienza greca, la fede e l'incredulità (1Cor 1,18.23ss).
I vangeli presuppongono e annunciano sempre, assieme alla morte, la risurrezione. L'uomo Gesù, di cui parlano e che è vissuto anni addietro, è il Signore glorioso. La croce così è trasfigurata dalla risurrezione fin dal principio. Non ci fu mai una storia della passione senza l'evento della risurrezione e non potrebbe mai esserci. Altrimenti la morte di Gesù sarebbe stata semplicemente la fine di tutto, una grande delusione e non già l'inizio del regno di Dio nel mondo e della vita nuova in lui. Nelle predizioni della passione i vangeli accennano al superamento della morte nella risurrezione (Mc 8,31; 9,31; 10,33). Nel racconto della passione appare la luce della glorificazione del Figlio dell'uomo come sovrano del Regno di Dio (Mc 14,62; Lc 23,42). La croce perciò è unita alla risurrezione come un tutt'uno, l'unico evento della salvezza: "Cristo Gesù, che è morto, anzi che è risuscitato, sta alla destra di Dio" (Rm 8,34). La risurrezione è l'approvazione di Dio per la morte in croce di Cristo, è la rivelazione della sua messianicità (At 2,36; 5,31). Essa tuttavia non annulla la morte di Cristo, assorbendola totalmente nella gloria. La croce rimane quale fatto reale e fondamentale e con essa lo scandalo della predicazione e il mistero salvifico di Cristo (1Cor 1,18 ... 2,9). Gesù glorificato resta sempre anche Gesù crocifisso.
La croce si fa il centro dell'annuncio apostolico (1Cor 2,2; Gal 3,1). Tutta la predicazione non è altro che un approfondimento e uno sviluppo del messaggio della croce. Anche la vita liturgica e sacramentale della Chiesa si svolge attorno alla passione di Cristo. L'Apocalisse descrive la liturgia celeste dell'agnello immolato, vittima di espiazione e di redenzione dell'umanità (Ap 5,6 ... 14). Così la liturgia cristiana è la celebrazione della croce e della gloria di Cristo, in quanto il culto svolto nelle assemblee Cristiane non è altro che la ritualizzazione nel segno sacramentale della morte in croce, avvenuta una volta per sempre. La cena del Signore è il memoriale della morte di Gesù. Il battesimo è l'inserimento del cristiano nel mistero della morte e risurrezione di Cristo. Anche la veglia pasquale del sabato santo non è altro che un rivivere nei segni della luce e dell'acqua il mistero pasquale di Gesù. Proprio in questa notte possiamo capire come anche la morte viene superata e trasfigurata dalla vita che sgorga dal Cristo risorto.
La passione di Cristo, illuminata dalla sua glorificazione, diventa il modello della vita Cristiana, come è richiesto da Gesù stesso: ìSe qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua (Mc 8,34). Tuttavia il cristiano ha la consapevolezza che la sequela del Cristo crocifisso costituisce la via e l'ascesa alla vera vita che non conosce tramonto. Da qui nasce la speranza, che dona forza e conforto a coloro che vogliono camminare dietro il maestro Gesù. La veglia pasquale si fa proclamazione solenne e gioiosa del mistero che avvolge il credente: la certezza che con l'irruzione nella storia umana della risurrezione di Gesù, tutto si trasforma e cambia di sapore e di orientamento. La sofferenza, il peccato e il male, la morte stessa, tutto si trasforma in evento di grazia e di vita per sempre.

Don Renzo Lavatori

 

LA MANIFESTAZIONE DEL RISORTO ALLA MADDALENA


Domenica di Pasqua (24.04.2011)

 

Nel c. 20 Giovanni presenta l'apparizione del Risorto fatta agli apostoli e a Maria di Magdala, in modi e tempi diversi. E' interessante notare come in questo capitolo torna molto spesso il verbo "vedere" (11 volte), che nel testo greco viene usato con termini e significati diversi, mentre in italiano è tradotto sempre con lo stesso verbo. Il primo termine (blépei, vv. 1.5) indica la constatazione di un fatto insolito e si limita al significato fisico del vedere. Il secondo termine (théorei, vv. 7.12.14) esprime una visione più intensa, ma che non conduce ancora alla fede. Il terzo infine (eiden, vv. 8.18.20.25.27.29) è adoperato per coloro che riconoscono il Signore nella fede. Ciò sta a significare che Giovanni vuole mostrare una crescita progressiva nell'azione di ravvisare il Risorto, che va dal fatto materiale e fisico alla comprensione spirituale. Così è stato anche per Maria di Magdala.
Maria resta vicino al sepolcro; è ancora attaccata a quel luogo, che ha raccolto le spoglie mortali del suo amato Maestro. Da una parte, non vuol rendersi conto che il corpo non ci sia più e torna a vedere il sepolcro, piangendo; dall'altra, cerca di darsi da fare per ritrovare il corpo e poterlo rimirare, ma non riesce a nulla e piange ancora. Mentre le lacrime attestano il suo grande affetto, di fatto le impediscono di vedere e di capire chiaramente. Esse sono una manifestazione evidente del profondo attaccamento a Gesù, ristretto ancora entro gli aspetti terreni.
E' vero che tale atteggiamento di Maria indicava una certa disponibilità verso il Cristo, ma profondamente non apriva il suo cuore a riconoscerlo vivo invece che cercarlo morto. Essa era legata alla memoria di Gesù prima della glorificazione: il suo pensiero ritornava a tutti i momenti in cui era vissuta accanto a lui, aveva ascoltato la sua parola, lo aveva visto sofferente sulla croce e poi sepolto, ma non afferrava il momento presente in cui le si manifestava vivo. Anche dopo l'intervento degli angeli, che poteva causare in lei un risveglio autentico di luce per farla comprendere (Gv 20,12-13), la sua reazione umana fa ostacolo all'intelligenza della fede.
Poi le appare Gesù in persona, senza che ella lo riconosca (Gv 20,14), perché i suoi occhi sono impediti, come per i discepoli di Emmaus. Essa non pensa affatto all'eventualità della risurrezione e pertanto alla possibilità di poterlo incontrare vivo, per questo non può riconoscerlo e lo confonde con il giardiniere. Sappiamo che solo chi ha l'animo illuminato dalla fede è capace di riconoscere il Risorto. Anche questa volta Maria si perde dietro ai suoi pensieri e vuole ritrovare il corpo di Gesù: "Dimmi dove l'hai posto e io andrò a prenderlo" (Gv 20,15). Non si rende conto di ciò che avviene attorno a lei, non guarda in faccia quell'uomo, non esce da se stessa; altrimenti avrebbe potuto intuire qualcosa, si sarebbe accorta della novità e particolarità del personaggio che le stava di fronte, e ne avrebbe scoperta in qualche modo l'identità. Ella continua a cercare un morto, mentre egli è risorto. Gesù e Maria, l'uno di fronte all'altra, ma come due estranei, come due esseri appartenenti a mondi diversi.
O meglio, lui non era un estraneo, lui la conosce, la cerca per risvegliarla dal suo torpore spirituale. Infatti la chiama per nome, con l'amore e la premura di un pastore che conosce le sue pecore ad una ad una (Gv 10,3). Al suono di quella voce familiare e cara, essa si riscuote ed esclama: "Maestro mio!" (Gv 20,16). Ma non è ancora la professione di fede. Essa è colma di gioia, è vero, ma perché ha ritrovato il suo Signore di prima, può trattenersi con lui come nei giorni antecedenti alla passione. Ora il Maestro è nuovamente qui; è tornato a parlare, a vivere; la vita ricomincia come sempre.
La realtà non è così. Gesù non è tornato a vivere come Lazzaro, ma è risorto dalla morte, è entrato nella gloria del Padre, è stato trasfigurato con la potenza dello Spirito di Dio. Egli ormai segna l'inizio di una vita nuova, è il primogenito di coloro che sono rigenerati dal Padre. Per questo dice a Maria: "Non mi trattenere" (Gv 20,17), vale a dire: non abbracciarmi come prima, perché è cambiato il senso della nostra comunione. L'incontro a livello puramente umano non ha più significato né utilità. Maria lo deve capire, deve rinnovare il suo modo di pensare.
Gesù affida alla Maddalena il messaggio di risurrezione e di salvezza: "Io salgo al Padre mio (diventato) Padre vostro". Questo è l'annuncio della pasqua, che realizza le parole del prologo giovanneo: "Ha dato loro il potere di divenire figli di Dio" (Gv 1,12). Gesù così rivela sia la sua filiazione divina sia la filiazione adottiva dei credenti. Il contenuto essenziale del messaggio affidato alla Maddalena è proprio quello di comunicare ai discepoli, e a tutti gli uomini che crederanno in Gesù, che loro sono ormai divenuti veramente figli, che il Padre di Gesù è divenuto realmente loro Padre (Gv 14,21-23). Maria è stata incaricata di portare questo messaggio ed essa lo ha fatto prontamente. In questo servizio, in cui non ha pensato più a se stessa, ella effettivamente si è aperta alla fede; i suoi occhi si sono illuminati nella verità ed ha potuto affermare: "Ho visto il Signore" (Gv 20,18). Questa volta si tratta di un autentico atto di fede. Diventa la testimone di quello che ha visto e vissuto.

Don Renzo Lavatori

 

CRISTO RISORTO NELLO SPLENDORE DELLA POTENZA DIVINA


Lunedì di Pasqua (25.04.2011)


Cristo risorto, una volta vinta la morte e liberato il suo corpo dai legami carnali, possiede il corpo glorioso e tutti i privilegi ad esso connessi: vive ormai nella realtà spirituale, secondo la potenza dello Spirito, anche con il suo corpo. Possiamo così comprendere l'espressione di Paolo quando dice che Cristo era nato nella debolezza della carne, quale figlio di Davide, ma con la risurrezione è costituito Figlio di Dio nello splendore della potenza, secondo lo Spirito di santità (Rm 1,4). La risurrezione è una solenne dichiarazione e una esplicitazione molto più profonda di quella che avvenne al battesimo nel Giordano. Allora la filiazione divina era velata dall'umanità terrena e soggetta ancora alla morte. Con la risurrezione Cristo è costituito e manifestato semplicemente e totalmente Figlio di Dio, anche secondo l'umanità, nello splendore della potenza divina, nella realtà assoluta che compete all'esistenza naturale e gloriosa del Figlio di Dio.
Lo Spirito Santo aveva santificato l'umanità di Cristo già dal momento della sua concezione nel grembo di Maria (Lc 1,35); ma ora con la Pasqua conduce quella divinizzazione al suo termine. Grazie alla potenza dello Spirito, Cristo è costituito pienamente Figlio di Dio anche nella sua umanità; egli viene trasfigurato in immagine perfetta del Padre, splendore della sua gloria (Eb 1,3), impronta del Dio invisibile (Col 1,15). Nella luce della risurrezione Cristo assume, ormai in modo esplicito e definitivo, i lineamenti luminosi del volto del Padre (2Cor 4,4), poiché "in lui abita tutta la pienezza della divinità corporalmente" (Col 2,9). Proprio per la Pasqua, Cristo nasce alla vita filiale in tutto il suo essere, estendendo alla sua umanità la gloria della generazione eterna.
Possiamo pensare che con questa stessa prospettiva Gesù rivolgesse la sua preghiera al Padre, alla vigilia della sua passione, come ce la riferisce Giovanni: "E ora, Padre, glorificami davanti a te, con quella gloria che avevo presso di te prima che il mondo fosse" (Gv 17,5). Adesso queste parole sono pienamente vere e corrispondono all'essere nuovo di Gesù risorto. Si può dire che nel momento della incarnazione il Figlio di Dio si è abbassato fino a condividere totalmente e concretamente la situazione umana, facendosi realmente uomo, senza venir meno alla sua divinità, rendendo presente in mezzo agli uomini la realtà stessa di Dio. All'inverso, nel momento della glorificazione, l'umanità è stata elevata fino a penetrare nella realtà più profonda di Dio, entrando nel rapporto essenziale ed eterno di filiazione che unisce il Figlio al Padre nell'unico essere divino, e nell'azione di spirazione che produce dall'eternità lo Spirito Santo procedente dal Padre e dal Figlio. La nostra natura umana, rimanendo perfettamente se stessa, è stata introdotta nel circolo vitale della Trinità Santa, divenendo parte di esso in quanto unita sostanzialmente al Figlio. In tal modo la nostra povera natura umana, la nostra realtà corporale, è stata assunta, dopo la glorificazione, nell'essere infinito e beatificante della Trinità. Mistero veramente grande e mirabile!
Tale nuovo modo di essere di Cristo ormai esiste per sempre, non conosce fine o altre trasformazioni. Egli è l'uomo nuovo, l'Adamo rigenerato e trasformato in Figlio di Dio, nell'eterno possesso della sua filiazione. Da qui deriva una conseguenza di fondamentale importanza per noi cristiani. La potenza divina, immessa in Cristo quale principio della nuova creazione, non finisce in lui: Essa diventa causa intrinseca della nostra risurrezione alla vita di grazia, ora su questa terra, e della nostra vita di gloria nel secolo futuro. Come il peccato di Adamo, in forza della solidarietà della natura umana, ha provocato la morte di tutti i suoi discendenti, così la risurrezione di Cristo diventa causa della risurrezione futura degli uomini, in quanto la sua forza vitale penetra nell'uomo stesso e lo vivifica dal di dentro. Questo si attuerà in forza della potenza di Dio, che è stata comunicata al risorto e che farà risorgere anche i nostri corpi mortali per renderli partecipi della immortalità divina.
L'efficacia della risurrezione di Cristo non riguarda solo la risurrezione finale dei nostri corpi, secondo la prospettiva eterna; essa opera già nella vita presente, esercita la sua vigoria fin da ora. Il Risorto comunica la sua vita nuova a ogni credente, in modo che esso viva in Cristo e si rinnovi gradualmente nella potenza del suo Spirito vitale. Questa è la realtà di grazia e di santificazione che si trasmette da Cristo glorioso a tutti coloro che lo riconoscono nella fede e lo seguono con amore.

Don Renzo Lavatori

 

 

 

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