Attualizzazioni
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Prima domenica di Quaresima: Adamo e Cristo...
Seconda domenica di Quaresima: Nel cuore del Vangelo...
Terza domenica di Quaresima: La rivelazione di Gesù...
Quarta domenica di Quaresima: Cristo pienezza della luce...
Quinta domenica di Quaresima: Gesù vincitore della morte...
Domenica delle Palme: Il giorno dell'ingresso del Signore...
Giovedì Santo: Li amò fino alla fine...
Venerdì Santo: Gesù sulla croce e la madre sua...
Sabato Santo: In attesa della Risurrezione...
PASQUA: La manifestazione del Risorto alla Maddalena...
Lunedì di PASQUA: Cristo Risorto nella splendore della...
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I QUARANTA GIORNI DELLA QUARESIMA
Le sei settimane di Quaresima preparano alla Pasqua, che costituisce il centro e
il fulcro dell'anno liturgico e l'essenza dei misteri della salvezza cristiana.
Questi quaranta giorni sono segnati anzitutto dal ricordo dei quaranta giorni di
Gesù vissuti nel deserto, dalla sua lotta con il demonio e dalla sua vittoria
sul tentatore. Nel deserto Gesù è nutrito dalla parola di Dio e così supera ogni
suggestione diabolica che vorrebbe allontanarlo dalla volontà di suo Padre. Egli
si sottopone al cammino assegnatogli, molto impegnativo e faticoso: operare la
redenzione degli uomini con l'umiltà e il sacrificio totale di sé sulla croce
piuttosto che ricercare l'onore e i piaceri del mondo. Un vero capovolgimento di
vedute che Gesù ha accolto con tutta la sua generosa disponibilità e il suo
grande amore diventando per noi il Salvatore. Durante questo tempo, nell'ascolto
attento e perspicace della Parola di Dio, che indica la strada giusta da
percorrere, anche noi ci poniamo al seguito del Cristo seguendo la sua
traiettoria in conformità alla volontà del Padre e non assecondando i nostri
egoismi e le nostre aspirazioni terrene e materialistiche, né lasciandoci
condizionare da quella mentalità seducente e menzognera che proviene dal
principe di questo mondo. A tale scopo occorre una forza interiore e soprattutto
una chiara decisione di cambiare rotta, che significa fare una autentica "conversione".
I quaranta giorni ci ricordano anche i quaranta anni trascorsi dal popolo
d'Israele nel deserto con un cammino lungo e tormentato che lo ha condotto dalla
liberazione della schiavitù del faraone alla conquista della terra promessa. Fu
un tempo quello anche di miracoli e di prodigiosi interventi divini per
sovvenire alle necessità degli israeliti. Anche per noi si attuano le medesime
condizioni nel tempo quaresimale: da parte nostra sorge il dovere di un maggior
affidamento al Signore superando le tentazioni dell'attaccamento al nostro
orgoglio e ai nostri peccati, mentre da parte di Dio si verifica un'abbondanza
di grazia, di amore e di doni grandi e sorprendenti, di veri miracoli. Anche a
noi viene elargita la manna, molto più preziosa dell'antica manna del deserto,
perché si tratta del cibo disceso dal Cielo, cioè del corpo e del sangue di Gesù
nella santa Eucaristia. Anche per noi sgorga l'acqua viva dalla roccia, un'acqua
che disseta il nostro cuore e ci purifica dalle nostre miserie, mentre ci irrora
dell'amore e della santità divine. Quest'acqua zampillante per la vita eterna è
propriamente lo Spirito Santo che sgorga dal Cristo innalzato e trafitto sulla
croce. La luce luminosa che ci guida non è più la nube o il fuoco degli
israeliti nel deserto, ma la Verità, la Luce nella persona stessa di Gesù. Ci
viene data anche una legge nuova contenuta nel Vangelo che dobbiamo accogliere e
vivere quotidianamente.
Di fronte alla bontà divina mostrata in così sorprendenti doni, più acuta si fa
in noi la consapevolezza del nostro peccato e della nostra infedeltà;
consideriamo con amarezza quanto debole sia la nostra carne, quante ferite
portiamo nel nostro animo. La coscienza della nostra condizione di peccatori non
deve condurci all'avvilimento o alla depressione, piuttosto deve suscitare il
desiderio della riconciliazione con Dio e la fiducia nella sua misericordia,
nella certezza del suo perdono se egli trova in noi un serio pentimento e un
valido proposito di rinnovare il nostro stile di vita. Da qui il ricupero della
pratica sacramentale della penitenza o confessione, della frequenza alla S.
Messa e alle pie pratiche soprattutto all'esercizio molto efficace della Via
Crucis..
Il brano evangelico (Mt 6, 1-6. 16-18) che ascoltiamo il mercoledì delle ceneri,
giorno iniziale della Quaresima, offre con semplicità e chiarezza i mezzi che ci
aiutano a camminare operosamente verso la Pasqua. Il primo mezzo è dato
dall'elemosina, con cui si presta aiuto al nostro prossimo più bisognoso con
gesti di sincera carità e di benevolenza sia a livello materiale sia nella sfera
affettiva, sociale e spirituale. Il secondo mezzo consiste nel digiuno, nel
senso di mettere ordine nella sfera corporale e psichica della nostra persona,
allontanando azioni o sentimenti o attaccamenti che possono ostruire la
purificazione e la crescita nella vita cristiana. Il terzo mezzo è concentrato
sulla preghiera quale momento privilegiato del nostro incontro con Dio nostro
Padre amorevole. Come si vede, la liturgia, seguendo l'insegnamento di Cristo,
pone l'accento su tre fattori di estremo valore umano e spirituale: il primo,
quello dell'elemosina, riguarda il rapporto con gli altri, in modo da saperci
relazionare con spirito di vero amore e di altruismo, vincendo il nostro egoismo
e la nostra sete di possesso; il secondo, quello della mortificazione o digiuno,
concerne la nostra persona, in modo da saper riconoscere umilmente le nostre
miserie e ritrovare un equilibrato ordinamento tra le diverse facoltà del corpo
e dell'anima per ottenere una giusta maturazione di se stessi; infine il terzo,
quello della preghiera viva e profonda, mette in evidenza il nostro rapporto con
Dio, in modo da restaurare con Lui un atteggiamento di totale fiducia filiale e
di abbandono alla sua superiore e santa volontà, rendendoci consapevoli che il
Signore deve avere il primo posto nella nostra vita.
Su questo mirabile tracciato il cammino quaresimale verso la Pasqua acquista il
suo splendido volto di un progressivo avvicinarci ai meravigliosi eventi della
nostra salvezza operata da Cristo con la sua passione, morte e risurrezione.
Allora qualcosa di nuovo avviene in noi: si nobilitano i pensieri, si purificano
i desideri, migliorano le azioni. Vuol dire che il mistero della Pasqua agisce e
che insieme con Cristo la nostra anima risorge a nuova vita.
don Renzo Lavatori
ADAMO E CRISTO: DIVERGENZA E SUPERAMENTO
Prima Domenica di Quaresima (13.03.2011)
Il racconto biblico del paradiso terrestre e della caduta dell'uomo (Gn 2,
7-3,7), attraverso immagini simboliche, intende descrivere, da una parte, la
realtà di una speciale manifestazione di Dio all'uomo fin dalle origini e,
dall'altra parte, la reazione dell'uomo nel rifiuto e nella disobbedienza.
L'esperienza della colpa e della fatica, del dolore e della morte dopo il
peccato originale, fa riflettere sul senso dell'esistenza umana, soprattutto se
si pensa che Dio è perfetto e crea buone tutte le cose. Da qui sorge la domanda:
com'è possibile mettere insieme la realtà di peccato e di male con la potenza e
la bontà di Dio? Occorre affermare che all'inizio non doveva essere così. L'uomo
originario viveva in un rapporto di amicizia e di familiarità con Dio,
partecipando alla vera vita. Solo a causa della propria colpa l'uomo si ritrova
lontano da Dio e soggetto alla miseria e alla morte. Il racconto del paradiso
terrestre sottolinea la gravità del peccato, che ha distrutto la meravigliosa
condizione dell'uomo nel suo rapporto con Dio e con le cose.
L'uomo è composto da una principio materiale, derivato dalla terra, e da un
principio spirituale vivificante, causato in lui dal soffio divino, formando in
sé una profonda unità, un solo soggetto esistente. Ciò sta a indicare il suo
essere effimero, in quanto non possiede la vita per se stesso, ma per il dono di
Dio, in virtù dell'alito vitale divino, che non è affatto inerente al suo corpo:
basterebbe il rigetto di questo dono superiore per far ripiombare l'uomo nella
sua morta materialità. Inoltre l'uomo viene ricolmato di altri doni grandi e
vistosi; viene circondato da un amore particolare e premuroso da parte di Dio.
Questo amore gratuito e generoso viene espresso attraverso diverse immagini: il
giardino con l'abbondanza dell'acqua, degli alberi e dei frutti. Tutto ciò
descrive la pienezza di vita e di bene; l'eden è il giardino di Dio, il luogo in
cui egli si fa presente e il monte dove risiede, inaccessibile alla creatura, se
non per un dono particolare di Dio stesso. E' il luogo in cui si manifesta e
comunica la sua grazia nell'abbondanza dei suoi doni. L'uomo viene presentato
nudo, cioè povero, indifeso e impotente davanti a Dio, ma non deve vergognarsene,
perché Dio lo riveste del suo amore e lo adorna dei suoi gioielli.
Dio perciò ha chiamato l'uomo, un essere limitato e inferiore a lui, a vivere
alla sua pari. C'è solo una condizione: l'accoglienza da parte dell'uomo di
questo invito divino; egli deve accettare liberamente la vera vita, di cui solo
Dio è datore e arbitro. In questo dovere di disponibilità e di obbedienza sta il
significato culminante del racconto del paradiso terrestre e costituisce la base
di tutta la storia della salvezza. E' il punto delicato e profondissimo del
rapporto che Dio vuole stabilire con l'uomo, nel rispetto della libertà, ma con
l'esigenza di una fedeltà e di una sottomissione radicate nell'amore. Purtroppo
la creatura umana è venuta meno al suo impegno di corrispondenza sotto
l'istigazione del serpente e ha commesso il peccato di insubordinazione e di
orgoglio volendosi mettere al posto di Dio. Da qui la rottura tremenda tra il
mondo divino e quello umano, dove l'uomo si è ritrovato solo e orfano, randagio
alla ricerca disperata e angosciata di se stesso e della propria quiete. Ma Dio
nel suo amore infinito non lo ha abbandonato. Anzi ha promesso subito, dopo la
colpa, una salvezza futura (Gn 3, 15).
Nella lettera ai Romani (Rm 5, 12-19) Paolo rilegge la vicenda di Adamo in
riferimento a Cristo il Salvatore. Adamo viene considerato il progenitore
dell'umanità peccatrice, dominata dalla morte e dalla sofferenza, ed è
contrapposto a Cristo, il quale riporta l'umanità allo stato primitivo di grazia
e di comunione con Dio, Infatti, Cristo, mediante il suo sacrificio redentore
nell'amore, riconcilia l'umanità con Dio, poiché il peccato aveva attuato uno
stato di discordia e di inimicizia rispetto al disegno iniziale del Creatore.
Cristo pertanto è il "secondo Adamo" o il "nuovo Adamo", il Figlio di Dio che,
mediante la sua obbedienza e la vittoria sulle insidie sataniche (Mt 4, 1-11),
compie il gesto di disponibilità a Dio, al quale non seppe essere fedele il
primo Adamo. Tuttavia il rapporto tra Adamo e Cristo non si pone sullo stesso
pieno, ma secondo un senso di superamento, in quanto Cristo non è solo "anima
vivente" e proveniente dalla terra, ma è "spirito vivificante" e derivante dal
cielo (1Cor 15, 45. 47). Cristo perciò è il prototipo al quale Adamo si
riferisce come pallida immagine o "figura di colui che deve venire" (Rm 5, 14).
Per tale ragione la grazia originale è un primo stadio rispetto alla
meravigliosa comunicazione divina realizzata da Cristo, che non solo ci ha
ricattati dal peccato e dalla morte, ma ci ha conferito il dono di diventare
partecipi della sua stessa filiazione divina per essere coeredi con lui del
regno di Dio.
Il cammino quaresimale consiste precisamente nel passaggio (la pasqua) dal primo
Adamo al secondo Adamo, cioè dal peccato alla vita di grazia, dalla morte
spirituale alla vita nuova in Cristo per giungere alla adesione a Dio e alla
comunione totale con Dio.
don Renzo Lavatori
NEL CUORE DEL VANGELO: LA TRASFIGURAZIONE
II Domenica di Quaresima (20.03.2011)
Dopo la dichiarazione
messianica fatta da Pietro a Cesarea, inizia un nuovo e ultimo periodo del
ministero di Gesù. Ormai la maggioranza dei giudei rifiuta di riconoscere in lui
il Messia atteso, mentre alcuni discepoli, insieme a Pietro, sono convinti che
egli sia il Cristo. A essi Gesù farà conoscere progressivamente il mistero della
sua missione che lo condurrà a Gerusalemme per essere consegnato nelle mani dei
sommi sacerdoti e condannato a morte, per poi risorgere. A questo punto iniziano
gli annunci della passione e della risurrezione (Mt 16, 21ss.; Mc 8, 41ss.; Lc
9, 22ss.). Il discorso viene accolto con difficoltà anche dai discepoli, in
particolare da Pietro, che reagiscono in senso contrario (Mt 16, 22-23), in
quanto sono incapaci di accettare il piano divino così lontano dalla loro
mentalità. Per superare tale scandalo e aprire i loro occhi alla fede nella
missione del Messia sofferente, Gesù si manifesta nella gloria della sua
divinità con la trasfigurazione (Mt 17, 1-9).
Gli elementi che entrano a comporre l'evento della trasfigurazione confermano
tale significato di fondamentale importanza. Il primo elemento è la montagna:
"Li condusse sopra un'alta montagna, in disparte". Non è solo il bisogno di
solitudine e di preghiera che viene qui indicato, ma il monte è il luogo santo,
il trono in cui risiede e si manifesta Jahvé (Es 19, 20). Sul monte Sinai Mosè
vede Dio e riceve le tavole della Legge (Es 24, 12.15-17) ed Elia vi sale per
contemplare la potenza divina (1Re 19, 8). La montagna in cui Dio scende a
parlare al Figlio suo trasfigurato costituisce il nuovo Sinai, la nuova Sion.
Il secondo elemento è dato dalla gloria che risplende in Gesù, nel quale si
manifesta ormai in modo definitivo e pieno la presenza della gloria e della
santità divine. La gloria che Gesù aveva annunciato per la fine dei tempi,
quando "il Figlio dell'uomo verrà con gli angeli suoi nella gloria del Padre suo"
(Mt 16, 27), è ora anticipata ed è realmente vista dai tre apostoli (Lc 9, 32).
La gloria appartiene solo a Dio e costituisce il suo essere proprio, la sua
trascendenza, perché lui solo è "il tre volte Santo".Questa gloria ora risplende
sul volto di Gesù, in modo talmente forte che lo avvolge tutto e lo trasfigura
come lo splendore che rivela il suo stesso essere, la sua persona, la sua
divinità.
La presenza di Mosè e di Elia costituisce il terzo elemento, che vuole
significare che su questa montagna, nuovo Sinai, in virtù di Gesù si sta
compiendo la salvezza definitiva. La legge e i profeti, da essi rappresentati,
confermano l'attuazione in Cristo del piano divino; in lui tutta la storia e le
istituzioni di Israele trovano il loro compimento; in Cristo si realizza il
nuovo esodo, la nuova definitiva pasqua. Una pasqua molto più significativa e
incisiva dell' antica pasqua israelitica, perché non si tratta tanto di una
liberazione sociale dalla schiavitù egiziana pur dolorosa, ma più profondamente
essa libera in modo radicale e totale l'umanità dalla soggezione alla morte e al
potere del diavolo per trasferirla nella libertà dei figli di Dio possessori del
suo regno di amore e di pace.
Infine la nube, il quarto elemento, avvolge i tre personaggi, li ricopre e li
adombra. Nella mentalità biblica la nube è un segno divino che accompagna le
manifestazioni celesti. Al tempo dell'esodo la nube aveva ricoperto la tenda del
convegno e la gloria di Dio aveva riempito la dimora, per indicare la presenza
continua e vigilante di Javhé in mezzo al suo popolo (Es 40, 34-35); il suntuoso
tempio, costruito da Salomone, era stato avvolto dalla nube e ricolmato della
gloria ( 1Re 8, 10-12); così avviene nella pienezza dei tempi (Ez 10, 3-4). Su
questa montagna, in cui è Cristo, discende la nube, segno della presenza di Dio
in mezzo agli uomini, della sua permanenza con essi ormai per sempre, dopo che
la stessa potenza dell'Altissimo aveva adombrato la vergine Maria ricolmandola
dello Spirito Santo(Lc 1, 35) nel mistero dell'incarnazione del Figlio di Dio.
Essa ora non ricopre soltanto i tre personaggi, ma anche i tre discepoli. Ciò
dimostra che costoro non sono semplici spettatori, ma vengono coinvolti in
questo avvenimento; essi stessi parteciperanno alla gloria divina che li
ricoprirà, li trasformerà in creature nuove colme dello Spirito Santo. L'evento
della trasfigurazione di Gesù costituisce l'inizio della trasfigurazione dei
credenti, i quali, seguendo il Maestro sulla via della croce, lo raggiungeranno
nella gloria della risurrezione. Il destino di Gesù diventa il destino dei suoi
seguaci; la sua pasqua diventa la loro pasqua. Gesù e i discepoli formano ormai
una sola realtà, la sua Chiesa, il nuovo popolo dei redenti.
La trasfigurazione raccoglie in sintesi tutto il vangelo e pertanto si pone come
punto centrale del mistero di Cristo e della vita cristiana: in essa si unifica
la storia della salvezza passando dall'antica alla nuova alleanza; in essa
converge la vita di Gesù quale momento focale della sua vita che lo immette
verso il compimento totale della sua missione attraverso la passione e la morte
con la conseguente risurrezione; essa segna il passaggio da questo mondo al
Padre; in essa si manifesta l'essere di Gesù quale unione della gloria divina
con la realtà umana; essa rivela la luce che si fa profezia e insegnamento per
ogni cristiano che deve seguire quella medesima traiettoria del Maestro come
l'unica valida per la salvezza: "ascoltatelo".
Queste parole celesti formano la giusta conclusione: esse devono risuonare
profondamente nel nostro cuore e farlo vibrare di fede viva e di ardente amore,
per attingere la forza e la speranza di assecondare la divina volontà come ha
fatto Gesù, nella consapevolezza che solo accettando e offrendo ogni nostra
sofferenza in sintonia con la sua passione potremo acquistare la gioia e la
vitalità della sua risurrezione. Così giungeremo anche noi alla trasfigurazione
pasquale per intraprendere un vita nuova non più soggetta al peccato ma vivente
nella grazia e nell'amore scaturenti dal Cristo risorto.
don Renzo Lavatori
LA RIVELAZIONE DI GESU' E L'ACCOGLIENZA DEL SUO SPIRITO
III Domenica di Quaresima (27.03.2011)
A Sicar, presso il
pozzo di Giacobbe, verso mezzogiorno, si incontrano Gesù e la samaritana (Gv
4,5-42).
Durante il colloquio, Gesù si rivolge alla donna dicendole: «Se tu conoscessi il
dono di Dio e chi è colui che ti dice "dammi da bere", tu stessa gliene avresti
chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva» (Gv 4,10). Dalla struttura della
frase risulta che il dono di Dio è l'acqua viva. Quest'acqua viva viene «data»
da Gesù.
Da tutto il contesto del racconto, imperniato sull'automanifestazione
progressiva di Gesù, sembra che l'acqua viva data da Gesù sia proprio il suo
rivelarsi. E' questo il filo conduttore di tutto il brano: infatti Gesù si
presenta più grande di Giacobbe (vv. 12-13), che ha dato il pozzo presso Sicar,
mentre Gesù donerà non acqua, ma acqua viva che dis seta per sempre; Gesù è
inoltre un profeta (v. 19), che riesce a leggere nella vita privata della donna;
ancor più si presenta alla donna come il Messia (v. 26): «Sono io che ti parlo»;
alla fine del racconto è proclamato il salvatore del mondo (v. 42) dagli stessi
samaritani.
E' questa l'acqua viva che Gesù vuol donare. Infatti la donna, appena appreso che
Gesù è il Messia, lascia la brocca e va in città. Ormai non le serve più l'acqua
del pozzo, ha trovato un'altra acqua, molto più fresca e dissetante: è Gesù, il
Messia, che le si è manifestato.
L'attuale manifestazione di Gesù ai samaritani avrà la pienezza nel futuro,
quando Gesù potrà dare in abbondanza acqua viva a «chiunque vorrà berla» (v.
13). Ciò avverrà dopo la sua esaltazione, quando con la morte e la risurrezione
otterrà la gloria che aveva presso il Padre (Gv 7,37-39). Da questo momento il
dono di Dio sarà pienamente effuso sui credenti ed essi potranno riconoscere in
Cristo il Figlio di Dio e ottenere la vita. Ora dal Vangelo di Giovanni si
ricava che sarà proprio lo Spirito di verità a far sì che la verità di Gesù,
cioè il suo rivelarsi come Figlio di Dio, venga accolta nel cuore dei discepoli
per essere interiorizzata, attualizzata, approfondita, nel tempo della Chiesa
(cc. 13...17). Da tale accoglienza dello Spirito nasce un culto nuovo, fatto «in
Spirito e verità» non più legato solo ai gesti esteriori, ma irrorato dall'amore
e dalla fede sgorganti dall'animo dei credenti in Cristo; amore e fede quali
doni del suo Santo Spirito.
«Se tu conoscessi...». Il verbo «conoscere, sa pere» nel Vangelo di Giovanni
ricorre spesso per indicare l'atteggiamento dell'uomo che riconosce (o non
riconosce) in Gesù il Messia, il Figlio di Dio, l'inviato dal Padre: «Noi
sappiamo che è veramente lui il salvatore del mondo» (4,42). Tale conoscenza,
che costituisce l'accoglienza del Cristo nel cuore del credente, è dovuta
precisamente al l'azione dello Spirito. Giovanni Battista dice per due volte
riguardo a Gesù: «Io non lo conoscevo» (1,31.33), ma solo quando lo Spirito
scende su Gesù egli riconosce in lui il Figlio di Dio (1,34).
La funzione del dono è quella di far entrare nell'animo di colui che l'accoglie
la persona del donatore, in modo che i lineamenti di questi, la sua figura
appaiano in tutto il loro splendore e il loro fascino, la sua parola risuoni
forte e soave, e tra i due si stabilisca una profonda comunione d'amore. Il dono
consente di essere l'uno nell'altro come una sola cosa. Promettendo il dono del
Paraclito, Gesù descrive la sua azione in questi termini: «In quel giorno voi
saprete che io sono nel Padre e voi in me e io in voi. Chi accoglie i miei
comandamenti e li osserva, questi mi ama. Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e
anch'io lo amerò e mi manifesterò a lui» (Gv 14,20-21).
E' quello che attendiamo e per il quale ci impegnamo nel cammino quaresimale
verso la Pasqua.
Don Renzo Lavatori
CRISTO PIENEZZA DELLA LUCE: VEDERE E CREDERE
IV Domenica di Quaresima (03.04.2011)
Il luminoso brano del Vangelo di oggi (Gv 9, 1-41) introduce, ancora una volta,
alla contemplazione della figura di Gesù, per scoprirne gli aspetti sempre più
belli e affascinanti. Ma non è facile "vederlo e credere in lui". Veniamo ai
fatti.
Tutto ha inizio da un grosso miracolo da lui compiuto: il dono della vista a un
uomo cieco fin dalla nascita. Gesù spiega subito che non si tratta di un essere
umano ricolmo di peccati né suoi né dei genitori, piuttosto di un "segno" per
manifestare le opere di Dio, in particolare individuare il grande spessore che
si cela in Gesù e che lui rivela: "Io sono la luce del mondo".
Davanti al vistoso evento della guarigione del cieco, le opinioni degli astanti
si dividono in due gruppi: l'uno rifiuta di ammettere un portento del genere,
negando che il cieco sia la medesima persona del vedente; l'altro invece
riconosce in lui l'azione miracolosa di Cristo. Il miracolato lo conferma
dicendo che quell'uomo chiamato Gesù ha fatto del fango, lo ha spalmato sugli
occhi e lo ha mandato a lavarsi alla fonte di Siloe; lui è andato, si è lavato e
ha acquistato la vista. Di nuovo i Giudei lo interrogano sul fatto ed egli
ripropone lo stesso racconto. Alla loro domanda: "Tu che cosa dici di lui, dal
momento che ti ha aperto gli occhi?", risponde francamente: "E' un profeta".
Ancora accade il dissenso per riconoscere in Cristo un profeta e un inviato da
Dio. I Giudei lo negano, anzi affermano il contrario dichiarandolo peccatore; ma
il cieco-vedente ribadisce asserendo che se Gesù fosse un peccatore, non avrebbe
mai potuto compiere un miracolo così strepitoso. Di fronte a tale lampante
evidenza, il loro cuore si chiude con maggiore veemenza e non vogliono
caparbiamente considerare la realtà né accettare la verità che Gesù possieda una
potenza divina. Rimangono prigionieri nelle tenebre della loro mentalità
chiudendo forzatamente gli occhi alla manifestazione eclatante dell'intervento
di Dio. Strana contraddizione! Il cieco comincia a vedere sia fisicamente sia
spiritualmente, mentre essi vedenti sono ciechi, perché non vogliono vedere né
con gli occhi del corpo né con l'apertura del cuore. Le posizioni si rovesciano
di sana pianta.
Alla fine spunta la vera luce, quando Gesù incontra il miracolato e gli si
rivela nella sua più profonda verità di essere il Figlio dell'uomo, cioè il
Messia inviato da Dio per la salvezza del suo popolo. Allora l'uomo guarito fa
la sua professione di fede piena e sincera, prostrandosi davanti a Gesù. In quel
momento i suoi occhi hanno ritrovato la vera visione, perché ha visto, ha
creduto e lo ha pubblicamente attestato: "Io credo, Signore". Ormai la luce lo
ha avvolto nel corpo e nell'anima. Mentre gli altri, increduli e orgogliosi,
sono rimasti accecati nell'impossibilità di vedere il mistero che si nascondeva
in Cristo, la sua realtà umana e divina, la sua pienezza di luce.
Nasce spontanea una riflessione, o piuttosto una domanda, sul nostro modo di
essere cristiani, cioè credenti in Cristo e suoi autentici discepoli. Ma noi su
quale banda ci poniamo: dalla parte del cieco nato guarito e credente oppure
dalla parte dei sedicenti credenti ma di fatto ottenebrati dal proprio peccato
d'incredulità e di indifferentismo religioso? Quante volte siamo assaliti da
dubbi, incertezze e tenebrosità proprio sulle verità della dottrina cattolica e
in particolare sulla figura di Gesù. La nostra fede si annebbia, si indebolisce
e spesso si annulla per correre dietro alla mentalità ingannevole e falsa di
luci illusorie e mondane, materialistiche ed egoistiche. La luce di Gesù brilli
più fortemente e incisivamente nei nostri cuori, nella mente e nella vita di
ogni giorno! Essa metta in fuga le tenebre e faccia risplendere la bontà, la
santità e la bellezza del nostro cristianesimo. La quaresima sia per tutti un
tempo di luminosità e di splendore per "vedere e credere" a Cristo Signore e
Salvatore. Lui solo è la nostra vita, la nostra speranza, la nostra gioia, la
pienezza di luce sul nostro cammino verso la Pasqua. Fissiamo i nostri sguardi
su di lui per accogliere la grazia, la misericordia, la forza che scaturisce dal
suo essere "la luce del mondo". Non lasciamoci confondere né accecare dalle
finte luci che sembrano brillare, ma di fatto abbagliano gli occhi e rattristano
il cuore, allontanandoci dalla fede vera, viva e forte. Se così faremo, l'alba
della risurrezione spunterà e sfavillerà con potenza senza più tramontare.
Don Renzo Lavatori
GESU' VINCITORE DELLA MORTE: CREDERE E VIVERE
V Domenica di Quaresima (10.04.2011)
Dopo la manifestazione di Gesù quale fonte di acqua viva e datore dello Spirito
Santo nell'incontro con la samaritana; dopo la luminosa rivelazione di essere la
luce del mondo con il miracolo del cieco nato, ora, in questa V domenica di
Quaresima (Gv 11,1-45), egli si presenta con una dichiarazione di altissimo
valore umano e divino: "Io sono la risurrezione e la vita". Il bello che queste
sue auto affermazioni non sono soltanto espressioni verbali, seppure di elevato
tenore, ma sono comprovate fattivamente con l'attuazione di colossali miracoli.
Questa volta si tratta nientemeno di far tornare in vita un morto da quattro
giorni, deposto nel sepolcro e già in fase di decomposizione. Un evento
veramente impressionante e superiore ad ogni aspettativa umana. Si rimane colmi
di meraviglia e di interiore stupore, mentre ritorna la domanda incalzante: ma
chi è mai costui che opera portenti così eclatanti?
Gesù lo spiega esplicitamente, parlando di Lazzaro malato e poi morto: "Questa
malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinchè per mezzo
di essa il Figlio di Dio sia glorificato". Tutto risulta chiaro e inequivocabile.
Lui si dichiara Figlio di Dio e il miracolo che compie ha lo scopo non solo di
confermare la sua potenza divina ma di rendere gloria a Dio suo Padre. Il
risuscitamento di Lazzaro dunque non costituisce per se stesso un evento di
grande rilievo, ma acquista il suo pieno valore se si collega al contesto del
mistero di Cristo e della sua missione quale inviato dal Padre. In effetti esso
costituisce una anticipazione della sua prossima morte e risurrezione.
L'importante che tutto ricada nel cuore dell'uomo per suscitare in esso la fede
in Cristo. Il suo scopo sta precisamente nell'istigare, rafforzare, ravvivare la
fede sia dei suoi discepoli sia delle sorelle di Lazzaro sia del popolo.
Fortemente significativo è il colloquio che viene fatto tra Marta, sorella di
Lazzaro e Gesù. Ella è una donna credente che esprime la sua disponibilità a
credere nella capacità miracolosa di Gesù. Egli però vuole condurla ad una fede
totalmente luminosa e incisiva, in modo che in lei non resti alcun dubbio sulla
divinità di Cristo e sulla sua realtà messianica, come Marta alla fine professa
con fermezza: "Sì, Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio,
colui che viene nel mondo". Niente di più completo e perentorio.
Dopo una così solenne professione di fede, Gesù si inoltra verso la tomba per
compiere il miracolo. Qui l'evangelista apre uno squarcio nell'animo di Gesù,
facendovi scoprire la sua profonda sensibilità e affettività. Gesù si commuove
intimamente e addirittura "scoppiò in pianto", tanto da meravigliare gli stessi
Giudei che dicono: "Guarda come lo amava!". L'affetto e l'amicizia che lo legano
a Lazzaro dimostrano la sua piena e ricca tenerezza umana, alla quale si
accompagna la sua ardente e confidente preghiera al Padre, a cui rende grazie
nella consapevolezza che egli lo ascolta sempre ed esaudisce le sue richieste.
Così è stato. Gesù grida a gran voce: "Lazzaro, vieni fuori". Il morto esce
dalla tomba, mentre Gesù ordina di liberarlo e lasciarlo andare. Queste parole
indicano l'effetto di libertà e di movimento che ridona a Lazzaro la vita.
A questo punto sorgono spontanee due riflessioni. La prima riguarda la figura di
Gesù, la seconda concerne la nostra posizione. Quanto alla prima, va detto che
in questo strepitoso miracolo Gesù apre gli occhi degli astanti per far loro
intravedere la sua risurrezione in forza della sua potenza divina, come aveva
dichiarato di essere la risurrezione e la vita. Una meravigliosa rivelazione e
anticipazione del suo essere e della sua opera salvifica. Quanto a noi, per la
seconda riflessione, si richiede una condizione per accogliere la sua
rivelazione e far nascere anche in noi una vita nuova, più forte della morte.
Tale condizione è la fede. Egli ce lo indica, quando afferma: "Chi crede in me,
anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno".
Stupende parole di sicuro conforto e di certa speranza. Sono esse che ci devono
accompagnare lungo il cammino quaresimale nell'attesa gioiosa di ritrovare in
Cristo la sorgente della vita, quella vera e imperitura, che sconfigge la morte
e ci dona la eredità eterna. Non esiste altra cosa più bella e più desiderata di
questa. A noi il compito di saperlo accogliere e vivere fino in fondo con la
pienezza della nostra fede.
Don Renzo Lavatori
IL GIORNO DELL'INGRESSO DEL SIGNORE A GERUSALEMME
Domenica delle Palme (17.04.2011)
Nella Domenica delle Palme, con l'ingresso di Gesù in Gerusalemme, si apre la
settimana Santa, la principale di tutto l'anno liturgico. Essa è la più ricca
memoria e attualizzazione degli eventi della redenzione: l'ultima cena, la
passione, la morte, la sepoltura, la risurrezione del Signore. La comunità
cristiana è chiamata a raccogliersi con attenzione e partecipazione all'ascolto
della parola di Dio che rievoca i grandi momenti della nostra salvezza.
All'ascolto si deve accompagnare la nostra preghiera, quale risposta
riconoscente e piena di lode ai doni della divina misericordia e del suo amore
infinito. Similmente è richiesta la partecipazione alla Santa Eucarestia, quale
sacramento dove ritroviamo, nei segni del pane e del vino consacrati, il corpo
di Gesù offerto per noi e il suo sangue effuso per la remissione dei peccati.
Sono giorni di passione per i cristiani, che rivivono in sé i dolori di Cristo;
sono giorni di raccoglimento e di silenzio, nella meditazione del disegno
sorprendente e inaudito del Figlio di Dio fatto uomo che ci ha amati fino a
morire in croce; sono giorni di serena speranza e di luce radiosa, perchè il
male è stato sconfitto definitivamente e alla morte dolorosa si è sostituita la
gloria della resurrezione. Da questi eventi così intensi e vitali dovrà sorgere
in noi la profonda convinzione di affidarci totalmente a Gesù, di scoprire
nuovamente la forza inesauribile della sua carità che ci ha riscattati e di
ritrovare la gioia di una vita nuova che esce dal sepolcro di Gesù e costituisce
per noi l'inizio e il germe di una esistenza non più schiava del peccato e della
cattiveria, ma totalmente rinnovata nella verità e nell'amore.
Oggi ripercorriamo spiritualmente l'ingresso di Gesù in Gerusalemme, come viene
raccontato da Matteo (Mt 21,1-11). E' un evento glorioso per Cristo acclamato
come il re di Israele, che viene nel nome del Signore. Ma insieme questa gloria
e regalità di Cristo sono soltanto preannunciate, perchè prima è necessario
passare attraverso la passione e la morte. Per questa ragione nella Domenica
delle Palme si legge la narrazione evangelica delle sofferenze di Gesù e della
sua condanna a morte. Si apre per noi cristiani la visione di Cristo quale servo
umiliato fino alla morte, che consegnandosi a una ingiusta condanna, porta il
peso dei nostri peccati e nella sua morte lava le nostre colpe.
Ritornando all'ingresso di Gesù nella città Santa, possiamo riscontrare due
caratteristiche. L'una indica la folla numerosissima che stende i propri
mantelli sulla strada, mentre altri tagliano rami dagli alberi e li
distribuiscono sul percorso dove passa Gesù seduto su di un puledro d'asina.
Tutti lo osannano e benedicono. Invece altra gente di Gerusalemme è presa da
agitazione e da stupore per sapere chi è costui e perché mai riceve un tale
onore. Di fatto lo vogliono togliere di mezzo quale personaggio troppo scomodo
per loro. Come sempre, Gesù è segno di contraddizione: alcuni lo accolgono e lo
amano, altri lo rigettano e lo odiano. Questi ultimi prevarranno nei prossimi
giorni quando lo faranno condannare a morte. Ma per noi, i credenti in lui, i
suoi discepoli e ammiratori, i suoi amici, resta vero quello che dichiara la
folla: "Questi è il profeta Gesù, da Nazaret di Galilea". Questa è la nostra
fede, questa la nostra speranza e da qui consegue tutto il nostro amore per lui
nostro salvatore.
Don Renzo Lavatori
LI AMO' FINO ALLA FINE
Giovedì Santo (21.04.2011)
Nel medesimo contesto dell'ultima cena di Gesù, intesa come massima espressione
di amore, si fa avanti l'attacco del maligno nel dramma del tradimento. "Prima
della festa di pasqua, sapendo che era giunta l'ora di passare da questo mondo
al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine" (Gv
13,1). Nell'intimità del cenacolo, assieme ai discepoli che erano suoi, perché
scelti da lui e a lui affidati dal Padre, Gesù rivela il suo amore immenso, che
riversa anche su Giuda. Dall'altro versante "il diavolo aveva messo in cuore a
Giuda Iscariota, figlio di Simone, di tradirlo" (Gv 13,2). Di nuovo il contrasto
di due spiriti del tutto contrari: la generosità dell'amore di Cristo e il
tradimento dell'amore inoculato da satana in Giuda.
Gesù compie il gesto servizievole di lavare i piedi ai discepoli, per mostrare,
ancora una volta, che li ama fino alla fine, fino a diventare loro servo, anche
verso colui che lo tradisce, cercando di purificare il suo cuore (Gv 13,11.18).
Poco dopo Gesù fa un altro gesto di amore, quello di intingere il boccone nel
piatto e consegnarlo a Giuda. E' segno di profonda comunione la condivisione
della stessa mensa e dello stesso cibo. Ma di fronte si trova il rifiuto
dell'amore: "E allora dopo quel boccone, satana entrò in lui" (Gv 13,27), cioè
in Giuda. Ora si manifesta in senso pieno lo spirito contrario all'amore, lo
spirito dell'odio e dell'egoismo, che conduce nelle tenebre e alla morte.
Si può dire che lo spirito di satana, presente in Giuda, manifesta colui che,
chiuso il proprio cuore all'altro, resta prigioniero di sé, nella durezza
d'animo di non accogliere nessun altro che se stesso, anzi con la viltà di
tradire l'amore puro e totale. Il tradimento indica l'indisponibilità radicale
all'amore che si dona e la volontà di distruggerlo ad ogni costo, di gettarlo
via da sé perché costituisce motivo di angoscia terribile e di gelosia stizzosa.
Chi tradisce non è semplicemente colui che rifiuta l'amore in senso generico, ma
colui che, avendo sperimentato e condiviso la bellezza e la gioia dell'amore, lo
rinnega e lo allontana da sé volutamente. Infatti Giuda era stato "scelto" da
Gesù tra i dodici; una creatura dunque prediletta, eppure in lui si rivela il
diavolo (Gv 6,70), lo spirito del traditore.
Satana dunque è l'antagonista di Cristo, il suo avversario. In questo egli si
manifesta nella sua non verità, non amore, non figlio; insieme mostra la sua
volontà di diffondere e causare la medesima negatività tra gli uomini,
indirizzandoli verso il non amore e la non verità; cioè egli è generatore di
menzogna, di egoismo e di morte. Di fronte a lui, Gesù si pone in fermo e chiaro
atteggiamento di opposizione e di condanna, senza lasciarsi in alcun modo
abbindolare o condizionare, per svolgere fino in fondo la sua missione di
salvezza per l'umanità, in docile ossequio alla superiore volontà paterna.
Proprio a causa di questa sua intrepida resistenza contro le potenze maligne,
egli diventa la roccia sulla quale esse si infrangono e si disintegrano.
Precisamente nella morte di Gesù si compie il giudizio contro satana (Gv 16,11),
in quanto Gesù diventa il punto di attrazione e di illuminazione per tutti gli
uomini, strappando al principe di questo mondo il suo fascino. Se Cristo accetta
di essere messo alla prova da lui, lo fa per testimoniare al mondo il suo amore
e la sua obbedienza al Padre (Gv 14,30-31), perché la sua vittoria sia manifesta
a tutti e il Padre sia glorificato (Gv 17,1).
Di fronte a un amore così eccelso il nostro cuore si dilata per accoglierlo in
pienezza ed essere da esso irrorato, purificato, santificato. Fuggiamo ogni
tentativo di rifiutarlo o anche solo di trascurarlo o di evitare di essere
toccati e risanati nel nostro intimo. Solo quell'amore infinito e traboccante
può acquietare e dissetare il nostro estremo bisogno di amore, di perdono, di
comprensione.
Don Renzo Lavatori
GESU' SULLA CROCE E LA MADRE SUA
Venerdì Santo (22.04.2011)
Giovanni racconta "Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua
madre, Maria di Clèopa e Maria di Màgdala. Gesù allora, vedendo la madre e lì
accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: "Donna, ecco il tuo
figlio!". Poi disse al discepolo: "Ecco la tua madre!". E da quel momento il
discepolo la prese nella sua casa" (Gv 19,25-28).
Il momento è solenne: l'atto ultimo del Cristo che si offre al Padre sulla croce
per salvare l'umanità; è la pasqua di Gesù, il suo innalzamento. Ciò consente di
capire che le sue parole siano pronunciate con grande valore spirituale. E'
chiaro che quando uno soffre, quando sta per morire, con forti tribolazioni, non
dice parole inutili, ma ogni parola ha un significato preciso che va accolto con
pienezza di amore. E' come il suo testamento; Gesù alla fine dona all'umanità la
cosa che aveva più cara: sua madre. E tale dono viene suggellato dal sacrificio
della croce.
Giovanni scrive che Maria stava presso la croce. Il verbo latino, stabat (stava),
indica un atteggiamento di compartecipazione intrepida di questa donna. Ella
stava ritta, in atto di offerta e di preghiera, pur sentendo profondamente il
momento doloroso che stava attraversando. Lo viveva però nella consapevolezza
spirituale di oblazione al Padre e a tutta l'umanità. Sta ritta, dignitosamente
raccolta. Si potrebbe dire, se non andiamo troppo oltre il testo sacro, una
crocifissa con il crocifisso. Anche se materialmente Maria non aveva il peso del
legno sul suo corpo, tuttavia il suo spirito era letteralmente attaccato alla
croce del Cristo. Ella era l'unica creatura in quel momento che partecipava
effettivamente al suo sacrificio sulla croce. I discepoli, anche i più fedeli,
lo avevano rinnegato, molti erano fuggiti. Erano presenti le pie donne, ma
apparivano prese più dall'aspetto umano della sofferenza del Cristo, che dal
senso redentivo della sua morte. Non si rendevano conto che Gesù compiva il
disegno salvifico del Padre, che quello era il momento culminante della sua
missione salvatrice. Maria invece ne è consapevole. E' in questa sintonia d'animo
che Gesù la guarda ed è in questa prospettiva del suo sacrificio redentore che
la dona.
E' l'ora di Cristo ed è l'ora di Maria, perché Maria collabora con Cristo
all'adempimento obbediente del piano salvifico del Padre. A Cana ella ha
anticipato questo momento, ma qui non può venir meno a questa ora perché lei è
coinvolta con il Figlio nell'attuazione della redenzione umana. In tal senso
Gesù la chiama donna. E' un termine molto bello, solenne, rispettoso, non il
contrario. Donna significa signora, ma soprattutto si richiama alla Genesi,
quando la prima donna ha disobbedito a Dio e ha trascinato nel peccato suo
marito. Ora la nuova Eva, al contrario della prima, nella disponibilità al piano
di Dio, viene inserita nell'atto oblativo del nuovo Adamo per restaurare
l'amicizia dell'umanità con Dio.
Il Crocifisso dichiara: "Ecco il tuo figlio". Egli presenta alla madre il
discepolo lì presente, come fosse suo figlio, in sostituzione del figlio proprio
che sta morendo sulla croce. Il significato è molto profondo. Gesù esige dalla
madre un rapporto con Giovanni che non è semplicemente a livello di affetto
amichevole, deve raggiungere la medesima intensità del rapporto che la univa a
lui come figlio. In altre parole Gesù invita la madre a continuare il suo ruolo
materno, con lo stesso affetto, con la stessa fede, con lo stesso trasporto con
cui lo ha esercitato con lui, prendendo come suo figlio il discepolo.
Per Maria non è cosa da poco. Sostituire il figlio, per una madre, è un atto
eroico: altro è Gesù, altro è Giovanni. Gesù è il frutto del suo seno, carne
della sua carne, il Figlio che ella ha amato al di sopra di tutti. Giovanni era
sì un amico, un seguace del Cristo, ma un estraneo, non aveva certo la dolcezza,
la profondità e la bellezza del Figlio. Nonostante ciò, Maria si rende
disponibile ad accogliere Giovanni con lo stesso amore, con la stesa
disponibilità con cui ha accolto il Verbo di Dio nel suo seno. Un totale atto di
donazione è richiesto a questa donna in tale ora, in cui avrebbe potuto
ripiegarsi su se stessa, nel suo dolore, e chiedere un minimo di comprensione.
Invece le è chiesto, ancora una volta, di dimenticarsi, di accantonare la sua
maternità, di distaccarsi dal Figlio vero per guardare e rendersi disponibile
alla maternità verso un'altra creatura. Maria, nella sua apertura d'animo,
compie l'atto eroico che le si chiede: "Ecco il tuo figlio!". Ella ha detto sì.
Come all'annunciazione, ripete il suo sì con tutto lo slancio del cuore: "Sì, o
Signore Gesù mio figlio, io prendo Giovanni come fosse te, e lo guardo come
guardo te, e lo amo come amo te, e lo custodisco, lo guido, lo illumino come
facevo con te".
Maria è pronta ad assumere la nuova maternità, che le è costata la sostituzione
della sua vera maternità umana di madre di Dio con quella verso il discepolo di
Cristo. E da questo momento Maria è madre della Chiesa e tutti noi siamo suoi
figli.
Don Renzo Lavatori
IN ATTESA DELLA RISURREZIONE
Sabato Santo (23.04.2011)
Il NT cerca di spiegare il significato della morte in croce. Essa non
è solo un
evento storico, ma un momento di salvezza e come tale va compreso e approfondito.
D'altronde era indispensabile presentare una apologia della croce stessa, sia
per i non credenti come per i credenti, dato che essa costituisce il centro e il
vertice della fede e della vita cristiana. Ma non è facile accettare l'annuncio
della croce come fonte di salvezza, essa che è l'espressione massima
dell'annientamento e del disprezzo umano. Intorno alla croce infatti si separano
la Chiesa e la Sinagoga, la sapienza divina e la sapienza greca, la fede e
l'incredulità (1Cor 1,18.23ss).
I vangeli presuppongono e annunciano sempre, assieme alla morte, la risurrezione.
L'uomo Gesù, di cui parlano e che è vissuto anni addietro, è il Signore
glorioso. La croce così è trasfigurata dalla risurrezione fin dal principio. Non ci fu mai
una storia della passione senza l'evento della risurrezione e non potrebbe mai
esserci. Altrimenti la morte di Gesù sarebbe stata semplicemente la fine di
tutto, una grande delusione e non già l'inizio del regno di Dio nel mondo e
della vita nuova in lui. Nelle predizioni della passione i vangeli accennano al
superamento della morte nella risurrezione (Mc 8,31; 9,31; 10,33). Nel racconto
della passione appare la luce della glorificazione del Figlio dell'uomo come
sovrano del Regno di Dio (Mc 14,62; Lc 23,42). La croce perciò è unita alla
risurrezione come un tutt'uno, l'unico evento della salvezza: "Cristo Gesù, che
è morto, anzi che è risuscitato, sta alla destra di Dio" (Rm 8,34). La
risurrezione è l'approvazione di Dio per la morte in croce di Cristo, è la
rivelazione della sua messianicità (At 2,36; 5,31). Essa tuttavia non annulla la
morte di Cristo, assorbendola totalmente nella gloria. La croce rimane quale
fatto reale e fondamentale e con essa lo scandalo della predicazione e il
mistero salvifico di Cristo (1Cor 1,18 ... 2,9). Gesù glorificato resta sempre
anche Gesù crocifisso.
La croce si fa il centro dell'annuncio apostolico (1Cor 2,2; Gal 3,1). Tutta la
predicazione non è altro che un approfondimento e uno sviluppo del messaggio
della croce. Anche la vita liturgica e sacramentale della Chiesa si svolge
attorno alla passione di Cristo. L'Apocalisse descrive la liturgia celeste
dell'agnello immolato, vittima di espiazione e di redenzione dell'umanità (Ap
5,6 ... 14). Così la liturgia cristiana è la celebrazione della croce e della
gloria di Cristo, in quanto il culto svolto nelle assemblee Cristiane non è
altro che la ritualizzazione nel segno sacramentale della morte in croce,
avvenuta una volta per sempre. La cena del Signore è il memoriale della morte di
Gesù. Il battesimo è l'inserimento del cristiano nel mistero della morte e
risurrezione di Cristo. Anche la veglia pasquale del sabato santo non è altro
che un rivivere nei segni della luce e dell'acqua il mistero pasquale di Gesù.
Proprio in questa notte possiamo capire come anche la morte viene superata e
trasfigurata dalla vita che sgorga dal Cristo risorto.
La passione di Cristo, illuminata dalla sua glorificazione, diventa il modello
della vita Cristiana, come è richiesto da Gesù stesso: ìSe qualcuno vuol venire
dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua (Mc 8,34).
Tuttavia il cristiano ha la consapevolezza che la sequela del Cristo crocifisso
costituisce la via e l'ascesa alla vera vita che non conosce tramonto. Da qui
nasce la speranza, che dona forza e conforto a coloro che vogliono camminare
dietro il maestro Gesù. La veglia pasquale si fa proclamazione solenne e gioiosa
del mistero che avvolge il credente: la certezza che con l'irruzione nella
storia umana della risurrezione di Gesù, tutto si trasforma e cambia di sapore e
di orientamento. La sofferenza, il peccato e il male, la morte stessa, tutto si
trasforma in evento di grazia e di vita per sempre.
Don Renzo Lavatori
LA MANIFESTAZIONE DEL RISORTO ALLA MADDALENA
Domenica di Pasqua (24.04.2011)
Nel c. 20 Giovanni presenta l'apparizione del Risorto fatta agli apostoli e a
Maria di Magdala, in modi e tempi diversi. E' interessante notare come in questo
capitolo torna molto spesso il verbo "vedere" (11 volte), che nel testo greco
viene usato con termini e significati diversi, mentre in italiano è tradotto
sempre con lo stesso verbo. Il primo termine (blépei, vv. 1.5) indica la
constatazione di un fatto insolito e si limita al significato fisico del vedere.
Il secondo termine (théorei, vv. 7.12.14) esprime una visione più intensa, ma
che non conduce ancora alla fede. Il terzo infine (eiden, vv. 8.18.20.25.27.29)
è adoperato per coloro che riconoscono il Signore nella fede. Ciò sta a
significare che Giovanni vuole mostrare una crescita progressiva nell'azione di
ravvisare il Risorto, che va dal fatto materiale e fisico alla comprensione
spirituale. Così è stato anche per Maria di Magdala.
Maria resta vicino al sepolcro; è ancora attaccata a quel luogo, che ha raccolto
le spoglie mortali del suo amato Maestro. Da una parte, non vuol rendersi conto
che il corpo non ci sia più e torna a vedere il sepolcro, piangendo; dall'altra,
cerca di darsi da fare per ritrovare il corpo e poterlo rimirare, ma non riesce
a nulla e piange ancora. Mentre le lacrime attestano il suo grande affetto, di
fatto le impediscono di vedere e di capire chiaramente. Esse sono una
manifestazione evidente del profondo attaccamento a Gesù, ristretto ancora entro
gli aspetti terreni.
E' vero che tale atteggiamento di Maria indicava una certa disponibilità verso il
Cristo, ma profondamente non apriva il suo cuore a riconoscerlo vivo invece che
cercarlo morto. Essa era legata alla memoria di Gesù prima della glorificazione:
il suo pensiero ritornava a tutti i momenti in cui era vissuta accanto a lui,
aveva ascoltato la sua parola, lo aveva visto sofferente sulla croce e poi
sepolto, ma non afferrava il momento presente in cui le si manifestava vivo.
Anche dopo l'intervento degli angeli, che poteva causare in lei un risveglio
autentico di luce per farla comprendere (Gv 20,12-13), la sua reazione umana fa
ostacolo all'intelligenza della fede.
Poi le appare Gesù in persona, senza che ella lo riconosca (Gv 20,14), perché i
suoi occhi sono impediti, come per i discepoli di Emmaus. Essa non pensa affatto
all'eventualità della risurrezione e pertanto alla possibilità di poterlo
incontrare vivo, per questo non può riconoscerlo e lo confonde con il
giardiniere. Sappiamo che solo chi ha l'animo illuminato dalla fede è capace di
riconoscere il Risorto. Anche questa volta Maria si perde dietro ai suoi
pensieri e vuole ritrovare il corpo di Gesù: "Dimmi dove l'hai posto e io andrò
a prenderlo" (Gv 20,15). Non si rende conto di ciò che avviene attorno a lei,
non guarda in faccia quell'uomo, non esce da se stessa; altrimenti avrebbe
potuto intuire qualcosa, si sarebbe accorta della novità e particolarità del
personaggio che le stava di fronte, e ne avrebbe scoperta in qualche modo
l'identità. Ella continua a cercare un morto, mentre egli è risorto. Gesù e
Maria, l'uno di fronte all'altra, ma come due estranei, come due esseri
appartenenti a mondi diversi.
O meglio, lui non era un estraneo, lui la conosce, la cerca per risvegliarla dal
suo torpore spirituale. Infatti la chiama per nome, con l'amore e la premura di
un pastore che conosce le sue pecore ad una ad una (Gv 10,3). Al suono di quella
voce familiare e cara, essa si riscuote ed esclama: "Maestro mio!" (Gv 20,16).
Ma non è ancora la professione di fede. Essa è colma di gioia, è vero, ma perché
ha ritrovato il suo Signore di prima, può trattenersi con lui come nei giorni
antecedenti alla passione. Ora il Maestro è nuovamente qui; è tornato a parlare,
a vivere; la vita ricomincia come sempre.
La realtà non è così. Gesù non è tornato a vivere come Lazzaro, ma è risorto
dalla morte, è entrato nella gloria del Padre, è stato trasfigurato con la
potenza dello Spirito di Dio. Egli ormai segna l'inizio di una vita nuova, è il
primogenito di coloro che sono rigenerati dal Padre. Per questo dice a Maria:
"Non mi trattenere" (Gv 20,17), vale a dire: non abbracciarmi come prima, perché
è cambiato il senso della nostra comunione. L'incontro a livello puramente umano
non ha più significato né utilità. Maria lo deve capire, deve rinnovare il suo
modo di pensare.
Gesù affida alla Maddalena il messaggio di risurrezione e di salvezza: "Io salgo
al Padre mio (diventato) Padre vostro". Questo è l'annuncio della pasqua, che
realizza le parole del prologo giovanneo: "Ha dato loro il potere di divenire
figli di Dio" (Gv 1,12). Gesù così rivela sia la sua filiazione divina sia la
filiazione adottiva dei credenti. Il contenuto essenziale del messaggio affidato
alla Maddalena è proprio quello di comunicare ai discepoli, e a tutti gli uomini
che crederanno in Gesù, che loro sono ormai divenuti veramente figli, che il
Padre di Gesù è divenuto realmente loro Padre (Gv 14,21-23). Maria è stata
incaricata di portare questo messaggio ed essa lo ha fatto prontamente. In
questo servizio, in cui non ha pensato più a se stessa, ella effettivamente si è
aperta alla fede; i suoi occhi si sono illuminati nella verità ed ha potuto
affermare: "Ho visto il Signore" (Gv 20,18). Questa volta si tratta di un
autentico atto di fede. Diventa la testimone di quello che ha visto e vissuto.
Don Renzo Lavatori
CRISTO RISORTO NELLO SPLENDORE DELLA POTENZA DIVINA
Lunedì di Pasqua (25.04.2011)
Cristo risorto, una volta vinta la morte e liberato il suo corpo dai legami
carnali, possiede il corpo glorioso e tutti i privilegi ad esso connessi: vive
ormai nella realtà spirituale, secondo la potenza dello Spirito, anche con il
suo corpo. Possiamo così comprendere l'espressione di Paolo quando dice che
Cristo era nato nella debolezza della carne, quale figlio di Davide, ma con la
risurrezione è costituito Figlio di Dio nello splendore della potenza, secondo
lo Spirito di santità (Rm 1,4). La risurrezione è una solenne dichiarazione e
una esplicitazione molto più profonda di quella che avvenne al battesimo nel
Giordano. Allora la filiazione divina era velata dall'umanità terrena e soggetta
ancora alla morte. Con la risurrezione Cristo è costituito e manifestato
semplicemente e totalmente Figlio di Dio, anche secondo l'umanità, nello
splendore della potenza divina, nella realtà assoluta che compete all'esistenza
naturale e gloriosa del Figlio di Dio.
Lo Spirito Santo aveva santificato l'umanità di Cristo già dal momento della sua
concezione nel grembo di Maria (Lc 1,35); ma ora con la Pasqua conduce quella
divinizzazione al suo termine. Grazie alla potenza dello Spirito, Cristo è
costituito pienamente Figlio di Dio anche nella sua umanità; egli viene
trasfigurato in immagine perfetta del Padre, splendore della sua gloria (Eb
1,3), impronta del Dio invisibile (Col 1,15). Nella luce della risurrezione
Cristo assume, ormai in modo esplicito e definitivo, i lineamenti luminosi del
volto del Padre (2Cor 4,4), poiché "in lui abita tutta la pienezza della
divinità corporalmente" (Col 2,9). Proprio per la Pasqua, Cristo nasce alla vita
filiale in tutto il suo essere, estendendo alla sua umanità la gloria della
generazione eterna.
Possiamo pensare che con questa stessa prospettiva Gesù rivolgesse la sua
preghiera al Padre, alla vigilia della sua passione, come ce la riferisce
Giovanni: "E ora, Padre, glorificami davanti a te, con quella gloria che avevo
presso di te prima che il mondo fosse" (Gv 17,5). Adesso queste parole sono
pienamente vere e corrispondono all'essere nuovo di Gesù risorto. Si può dire
che nel momento della incarnazione il Figlio di Dio si è abbassato fino a
condividere totalmente e concretamente la situazione umana, facendosi realmente
uomo, senza venir meno alla sua divinità, rendendo presente in mezzo agli uomini
la realtà stessa di Dio. All'inverso, nel momento della glorificazione,
l'umanità è stata elevata fino a penetrare nella realtà più profonda di Dio,
entrando nel rapporto essenziale ed eterno di filiazione che unisce il Figlio al
Padre nell'unico essere divino, e nell'azione di spirazione che produce
dall'eternità lo Spirito Santo procedente dal Padre e dal Figlio. La nostra
natura umana, rimanendo perfettamente se stessa, è stata introdotta nel circolo
vitale della Trinità Santa, divenendo parte di esso in quanto unita
sostanzialmente al Figlio. In tal modo la nostra povera natura umana, la nostra
realtà corporale, è stata assunta, dopo la glorificazione, nell'essere infinito
e beatificante della Trinità. Mistero veramente grande e mirabile!
Tale nuovo modo di essere di Cristo ormai esiste per sempre, non conosce fine o
altre trasformazioni. Egli è l'uomo nuovo, l'Adamo rigenerato e trasformato in
Figlio di Dio, nell'eterno possesso della sua filiazione. Da qui deriva una
conseguenza di fondamentale importanza per noi cristiani. La potenza divina,
immessa in Cristo quale principio della nuova creazione, non finisce in lui:
Essa diventa causa intrinseca della nostra risurrezione alla vita di grazia, ora
su questa terra, e della nostra vita di gloria nel secolo futuro. Come il
peccato di Adamo, in forza della solidarietà della natura umana, ha provocato la
morte di tutti i suoi discendenti, così la risurrezione di Cristo diventa causa
della risurrezione futura degli uomini, in quanto la sua forza vitale penetra
nell'uomo stesso e lo vivifica dal di dentro. Questo si attuerà in forza della
potenza di Dio, che è stata comunicata al risorto e che farà risorgere anche i
nostri corpi mortali per renderli partecipi della immortalità divina.
L'efficacia della risurrezione di Cristo non riguarda solo la risurrezione
finale dei nostri corpi, secondo la prospettiva eterna; essa opera già nella
vita presente, esercita la sua vigoria fin da ora. Il Risorto comunica la sua
vita nuova a ogni credente, in modo che esso viva in Cristo e si rinnovi
gradualmente nella potenza del suo Spirito vitale. Questa è la realtà di grazia
e di santificazione che si trasmette da Cristo glorioso a tutti coloro che lo
riconoscono nella fede e lo seguono con amore.
Don Renzo Lavatori
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