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La fede oggi: difficoltà e soluzioni

Don Renzo Lavatori


Non è facile parlare di fede in un mondo come l’attuale, in cui sembra che essa non esista più, o che sia una realtà dei tempi passati, priva di significato, dato che gli interessi degli uomini di oggi sono orientati per altre direzioni, apparentemente molto più utili e piacevoli, che riguardano la vita concreta nei suoi mille aspetti (la cultura, la produzione, il divertimento, la politica, il benessere),  mentre la fede appare come un ideale astratto che porta in un mondo dell’aldilà, lontano dal presente ed inesistente.  Perciò l’uomo emancipato, nelle sue facoltà razionali e nei suoi rapporti sociali, considera la fede con un’alienazione o addirittura un’involuzione verso uno stadio irrazionale e infantile, fatto d’illusione e di pie fantasie. La fede pertanto, secondo questa mentalità, non può andare d’accordo con la scienza, con la tecnica, con il progresso, non è degna dell’uomo moderno. 

Le cose non sembrano cambiare molto nell’ambito più elevato anche del pensiero contemporaneo, che si chiama pensiero debole, e del mondo della cultura. Per molti infatti la fede è una questione ormai priva di senso, che non costituisce neanche preoccupazione o oggetto di ricerca o di contestazione, perché per essi la fede è stata superata definitivamente.  Vi ricorderete la sentenza di Nietzsche, sulla morte di Dio, il grido che ha fatto Zarathustra:[1] Dio è morto e questo grido è inteso come la descrizione appropriata della nostra odierna situazione sociale ed intellettuale: Dio non interessa più, perché l’uomo è autosufficiente, può gestire da solo le cose del mondo, può programmare da solo la sua storia, il suo futuro. 

Che questo Dio sia morto, non lo si intende nel senso biologico e neppure che Dio non esista, ma perché non interessa in quanto tutto ciò che non è dimostrabile resta nell’ignoto, è caduto nell’indifferenza, nell’emarginazione.  Con la morte di Dio s’intende piuttosto che la fede in Dio non ha più incidenza nella vita di oggi e che gli enunciati della fede non toccano più i problemi e le esperienze reali degli uomini; essi non corrisponderebbero alle loro esigenze autentiche.

Questa separazione tra la fede e l’esperienza umana costituisce uno dei problemi più difficili per il cristianesimo di oggi, perciò si deve affrontare con coraggio e serietà.

Per superare questa crisi generale di fede ci si accosta all’uomo che vive nel mondo per suscitare un richiamo alla fede, ma spesse volte questo richiamo cade nel vuoto perché l’uomo continua cocciutamente ad andare avanti da solo e quindi questo stare vicino agli uomini per aiutarli a recuperare questo senso di Dio è inefficace, almeno nei suoi frutti.  Oppure addirittura può succedere che per stare vicini agli uomini di questo mondo, la fede perda la sua bellezza cristallina e diventi una fede offuscata, nebbiosa che non fa bene a nessuno, né a chi non crede perché è una fede insicura, né a chi crede, perché non cresce più. Oggi purtroppo anche da parte degli evangelizzatori della Chiesa, si assiste alla tendenza di annaffiare la fede cristiana facendo perdere ad essa quel sapore che rende salata la vita dell’uomo (e per salata si intende impegnativa, forte, autentica, sincera) perché costa troppo. 

In altri momenti gli uomini di Chiesa hanno agito diversamente nei periodi in cui c’era questa crisi generale di fede.  Alcuni si sono ritirati dalla vita  sociale, culturale politica come Benedetto da Norcia, fondando molti monasteri, in particolare è noto quello di  Montecassino dove  compose la sua Regola verso il 540.  In questi monasteri nelle varie occupazioni della giornata, durante la quale la preghiera e il lavoro si alternano nel segno del motto “ora et labora” ("prega e lavora"), c’era pace, giustizia, serenità, però il mondo andava avanti per i fatti propri.  Neanche questo isolamento oggi è utile perché, siccome Dio vuole incontrare l’uomo, ha bisogno di strumenti che parlino di Lui all’uomo, di pastori della Chiesa, per cui il cristiano non si può isolare chiudendosi nel proprio mondo  spirituale perdendo il contatto con la vita concreta. Il cristiano vive nel mondo ma senza condividere la mentalità del mondo:[2] ecco la difficoltà!   Da qui nascono le crisi che sorgono anche nel cristiano  in un momento di disorientamento. 

 

1. Ora analizzeremo prima  le maggiori difficoltà nei riguardi della fede, poi come, di fronte a queste difficoltà,  ci si deve comportare e in qualche modo risolvere.

Vediamo ora il primo aspetto: Le difficoltà di credere.

 

Ci sono due tipi, uno legato alla difficoltà della fede, che ci sono sempre state non solo oggi; l’altro invece proveniente dalle situazioni del mondo odierno.

Adesso esaminiamo il primo tipo: le difficoltà di sempre.

 

La prima difficoltà,  insita nella realtà stessa della fede e del mondo umano, in cui la fede nasce e vive, è il dubbio.   Nella vita ci si chiede: è proprio vero tutto quello che ho sentito e che il Vangelo mi dice?  E’ proprio vero che esiste una vita dopo questa? Chi me lo assicura, nessuno è tornato dall’aldilà per assicurarmelo. E’ proprio vero che nell’Eucaristia è presente con il suo corpo, sangue e  divinità Gesù Cristo? E’ proprio vero che Lui si  è incarnato ed è Dio e uomo? 

Nel credente esiste sempre il pericolo di perdere la sicurezza interiore delle proprie convinzioni di fede ed essere disturbato dal pensiero che tutto ciò in cui crede non sia vero né reale.  A volte tutto il complesso in cui è costruita la nostra fede, e non tanto questa o quella verità particolare, può vacillare.  E questo è vero anche per i santi, sappiamo infatti che Teresa di Lisieux, la bambina di Dio,   nelle ultime settimane della sua malattia ha confessato che le affioravano alla mente i pensieri dei più perversi materialisti, il suo intelletto è stato  assediato da tutti gli argomenti immaginabili contro la fede. 

Questo costituisce un intoppo in cui spesso noi stessi  possiamo cadere.  Anche Madre Teresa di Calcutta nei suoi diari racconta il buio profondo in cui le sembrava che Gesù non la sostenesse più.

La fede non è un dato scontato fatto una volta per tutte.  A volte si ragiona che siccome siamo cristiani, battezzati, cresimati, facciamo la comunione, è conseguente che abbiamo la fede.  Questa è una tentazione perché dà una falsa sicurezza, invece occorre sempre essere consapevoli che la fede è un tesoro nascosto in vasi di creta, [3] vasi che si possono rompere da un momento all’altro. Per questo la fede va sempre rinnovata, rigenerata, purificata, per renderla sempre più matura. La fede non è un atto unico, ma è un’ azione costante che si rinnova ogni mattina, come si faceva nell’antica educazione cristiana.  Abbiamo bisogno di questo rinnovamento costante perché il cristiano, pur dovendo affrontare i dubbi, deve rendersi conto che questi rientrano in una certa logica della natura della fede, ma soprattutto richiede una vigilanza costante, un’attenzione, una sensibilità spirituale che costituisce la nostra crescita, la nostra  maturazione. 

 

La seconda difficoltà che può nascere in noi è quella data  dalla  presunzione,  da quel senso di autosufficienza che l’uomo porta con sé e che lo rende ad un certo punto chiuso ed immobile, nei suoi giudizi, nel suo modo di pensare, di vedere e questo stato d’animo  impedisce al cuore umano  l’accoglienza umile e vera della Parola di Dio e della sua azione salvifica.  Pur avendo avuto la disponibilità iniziale di accogliere questa Parola di Dio e quindi di affidarsi a Dio, l’uomo ad un certo punto si può rendere così sicuro di sé da non avere più bisogno di Dio, cadendo in quella sicurezza spirituale che si chiama fariseismo e che diventa pesante perché ormai pensiamo di aver raggiunto lo stato perfetto  della grazia di Dio, perché su questa terra dobbiamo essere sempre consapevoli della nostra piccolezza, della nostra debolezza e fragilità. 

In queste realtà umane, il nemico per eccellenza, fa di tutto per farci allontanare da Dio, quindi guai alla creatura umana che si sente perfetta e pensa di aver raggiunto uno stato spirituale in cui può dire di essere tranquilla e serena. Fino all’ultimo respiro ci può essere la possibilità di questa tentazione, di chiuderci alla parola salvifica di Dio. 

 

Un’altra difficoltà che nasce nella natura della fede, è anche quel formalismo esteriore in cui si riveste spesse volte la nostra fede e questo formalismo, questa abitudinarietà fa perdere lo slancio del cuore e la preghiera vera, che diventa una ripetizione meccanica,  buttiamo il cuore su altre realtà, che ci sembrano importanti, in cui ci illudiamo di risolvere quella aridità interiore spirituale. Qui è importante che il cristiano sappia capire e scegliere l’adesione interiore di fede, la riflessione, l’accoglimento, il silenzio, la preghiera vissuta  che rimuove il cuore dalle occupazioni quotidiane, le quali non devono sopraffare le altre.

 

Alle volte ci sono anche gli scandali dei credenti che possono suscitare crisi di fede quando  sentiamo che persone ragguardevoli, come sacerdoti, e religiosi, non si comportano secondo la legge di Dio. E purtroppo questi scandali, che con i mass media assumono una immensa risonanza, raffreddano la fede.

 

Poi ci sono difficoltà del tempo contemporaneo, che abbiamo già accennato ma che possiamo precisare in alcuni termini. 

Innanzitutto oggi c’è un pluralismo di idee che si confrontano in una  intercomunione globale; in forza di tale pluralismo non si ha più una determinazione interiore che esista una sola verità, ma possono esserci numerose verità.  Questa unità nella verità oggi non è più accettata, ognuno fa testo a sé, c’è chi si sente attratto da  movimenti religiosi alternativi, anche dai metodi trascendentali orientali, i quali, se anche materialmente e momentaneamente sembrano spirituali, buoni, invece  fanno perdere il senso della vita.

Gesù ha detto: “Io sono la via, la verità e la vita” (Gv 14,6).  Non ci sono altre vie, altre verità.  Invece con la motivazione del rispetto verso gli altri, del voler dialogare con altri che non la pensano come noi, sotto una intenzione buona di fare del bene, difatti cadiamo in un tranello, cioè perdiamo la nostra identità forte e precisa.  Non bisogna mai vergognarsi di confessare la propria fede cristiana, nonostante il pluralismo ideologico per cui ognuno può pensare come vuole.  E questa è una crisi molto forte perché si è perso il concetto stesso di verità.  Secondo il pensiero moderno non esiste una verità assoluta ed anche se esistesse essa non può essere conosciuta.  La conoscenza umana al contrario è capace di superare i limiti dell’esperienza sensibile, di ciò che va al di là di essa come i valori dell’anima e Dio stesso.

 

Allora ci si trova di fronte a quella realtà che viene chiamata  pragmatismo o   materialismo, con la quale si vuol costruire una società nuova, ma che in effetti si ferma solo a certi aspetti dell’esistenza umana. L’uomo è composto di anima e corpo, non di solo corpo. Se all’aspetto corporeo diamo grande importanza, trascurando l’elemento spirituale,  allora vengono fuori degli uomini mostruosi nel senso  che crescono in un corpo che sembra enorme con un animo piccolo e stupido. E questo è uno scompenso pauroso, è una mostruosità  psicosomatica, ma non ce ne rendiamo conto. Il pragmatismo si accontenta di mangiare e bere, di avere il denaro  per divertirsi, tutto il resto non ha importanza. 

Tale situazione comporta di far morire la bellezza, l’armonia dell’essere umano che è composto sia di corpo ma anche di valori spirituali che alimentano l’animo, lo spirito.  Infatti oggi sussiste questo paradosso: per il corpo umano si fanno sforzi enormi si costruiscono ospedali, case di cura, centri benessere, negozi che promuovano la bellezza del corpo, ma per i valori spirituali non si fa nulla. 

 

Un’ altra realtà perniciosa viene chiamata soggettivismo (il Papa Benedetto XVI la chiama relativismo[4]) che avviene in quanto  il soggetto umano può costruirsi un mondo   interiore, affermando che esso sia giusto, senza sentire la necessità di confrontarsi oggettivamente con qualcuno al di fuori di sé, che ne può sapere di più.  Quindi tale soggettivismo conduce ad un relativismo per cui non si sa più dove cominciare e dove terminare. 

In tale contesto resta difficile fare un discorso di fede, non si può entrare nel cuore di una persona per trasmettere l’amore di Dio, se essa è chiusa nella propria soggettività, nel proprio schema. Ne consegue l’incomunicabilità, l’incomprensione, la conflittualità, la separazione tra uomo e donna, nelle famiglie. Ognuno diventa come piccola monade e  cammina a modo suo e a volte cozza con gli altri causando un disastro.  Da una parte sembra che sia una società in comunione,  dall’altra resta una grande solitudine. 

 

2. Il modo di superare le crisi di fede

Vediamo come si superano questi momenti di difficoltà interiori, i quali possono avere un duplice sbocco: se vengono vissuti in maniera seria, portano alla crescita e alla maturazione della fede, quindi sono “provvidenziali” perché Dio può trarre dal male il bene, e questo è il primo risultato positivo. Però ci può essere un altro effetto negativo, il quale diventa tragico perché la crisi di fede si insinua profondamente nell’animo umano e illude che anche altre teorie ed esperienze religiose possano essere allettanti.  Se il credente assapora e accoglie queste insinuazioni, rischia gradualmente di perdere l’attrazione, l’amore al cristianesimo, alla sua fede, che è la fede vera. 

 

Quindi la crisi ha questi due sbocchi, può servire ad una crescita della fede o alla perdita definitiva della fede.  Tutto questo dipende dal credente, nel senso che il valore positivo, affascinante della fede cristiana deve essere approfondito, entrare in lui con sua bellezza. Il gusto del mistero cristiano non si deve mai perdere dentro di noi.

Soprattutto occorre un atto di coraggio perché a volte questi dubbi, queste crisi, sono permessi dalla divina pedagogia, proprio per purificare la propria fede.  Se ci si rende conto che Dio permette questo, oppure se la ragione non si rende pienamente conto di ciò che Dio vuole, però il cristiano accetta con la sua volontà la suprema volontà di Dio. Si tratta di uno sforzo di volontà quando la ragione è ottenebrata, uno sforzo eroico come è avvenuto per Madre Teresa di Calcutta, Teresa di Lisieux e tanti altri santi che nei momenti più bui dicevano che Gesù non li avrebbe abbandonati.

Vi è un terzo momento, quando anche la volontà alle volte si stanca, si indebolisce, allora crolla tutto l’edificio della fede.  Questo è il momento più critico, perché non ci si rende più conto di ciò che il Signore richiede, per cui  si perde l’energia dell’adesione a Dio.

A tal punto cosa si può fare? E’ il momento cruciale in cui c’è una soluzione di uscita ed è questa: il credente deve essere sempre consapevole che la sua fede è riconoscere la sovranità di Dio e riconoscere la propria creaturalità, la propria debolezza.  Allora in quel frangente egli rinuncia al suo io e accetta totalmente, pienamente, il modo di agire di Dio,  la Sua Parola, e si affida incondizionatamente a Lui. In tale gesto di umiltà, nel saper mettere in discussione se stessi e non Dio, si scopre che in effetti questa crisi in cui si è incappati, spinge a ricominciare da capo e a dire: io ora credo come se fosse la prima volta nonostante siano passati molti anni. 

Così si resta sempre giovani nello spirito, per questa ragione Dio spesse volte ci sottopone a tale prova affinché la nostra fede non sia stantia, vecchia, appesantita, orgogliosa e presuntuosa. 

L’ultima e propriamente più efficace reazione per conservare la fede è quella in cui il soggetto,  mettendo in discussione se stesso in modo fondamentale, ricomprende tutta la realtà di sé, della propria famiglia, del proprio lavoro, del mondo intero, come posta davanti a Dio

E questa posizione davanti a  se stesso può essere il motivo di una totale ripresa di fede o di completo rifiuto. Cioè se il credente trova il fondamento ultimo del suo essere che è stato creato e salvato da Dio, egli recupera la fede.  Se invece si chiude in se stesso e dice che non è possibile e non vuole rinunciare alle sua vedute, in quanto gli interessano altre cose della vita e del mondo intero, allora la difficoltà della fede ha il sopravvento su di lui ed egli perde la fede, diventando un non credente, tanto che molti oggi chiedono anche lo sbattezzamento.

 

Conclusione

Si è visto che ci sono difficoltà di fede sia a livello naturale di adesione ad una persona che fisicamente non  si tocca e non si vede, sia per le situazioni devianti contemporanee in cui viviamo. Pur sussistendo queste difficoltà, abbiamo sempre la possibilità di non soccombere, ma di essere vittoriosi, non per le nostre forze, non per le nostre capacità, ma perché riscopriamo la nostra povertà, debolezza e miseria e ci affidiamo a Colui che è il nostro Salvatore, il Verbo di Dio che si è fatto carne, Gesù di Nazareth.

 

Don Renzo Lavatori


 

[1] Così parlò Zarathustra. Un libro per tutti e per nessuno  è il titolo di un celebre libro del filosofo tedesco Friedrich Nietzsche, composto in quattro parti fra il 1883 e il 1885.

Gran parte dell'opera tratta i temi dell'eterno ritorno, della parabola della morte di Dio, e la profezia dell'avvento dell'oltreuomo, che erano stati precedentemente introdotti ne La gaia scienza. Definito dallo stesso Nietzsche come "il più profondo che sia mai stato scritto", il libro è un denso ed esoterico trattato di filosofia e di morale, e tratta della discesa di Zarathustra dalla montagna al mercato per portare l'insegnamento all'umanità.

Il comportamento di Zarathustra qui descritto è opposto a quello già espresso da un saggio di Arthur Schopenhauer che prefigura - al contrario - un allontanamento del mistico dal mercato verso, appunto, la montagna. Ironicamente il testo utilizza uno stile simile a quello della Bibbia, ma contiene idee e concetti diametralmente opposti a quelli del Cristianesimo e del Giudaismo riguardo alla morale ed ai valori tradizionali.

 

[2]  E’ sempre attuale il contenuto de: La Lettera a Diogneto  che è un testo cristiano scritto in greco antico di  autore ignoto, risalente probabilmente alla seconda metà del  II secolo. Fu trovato intono al 1436 da Tommaso d’Arezzo, allora giovane chierico latino che era a Costantinopoli per studiare il greco, tra la carta usata da un pescivendolo per avvolgere il pesce. 

 

[3] Questo ce lo ricorda S.Paolo nella 2^ lettera ai Corinzi: noi abbiamo questo tesoro in vasi di creta, perché appaia che questa potenza straordinaria viene da Dio e non da noi. 8Siamo infatti tribolati da ogni parte, ma non schiacciati; siamo sconvolti, ma non disperati; 9perseguitati, ma non abbandonati; colpiti, ma non uccisi, 10portando sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo. 2Cor 4,7-10

 

[4] Dittatura del relativismo (espressione pronunciata dall'allora cardinal Ratzinger, divenuta celebre con l'omelia della Messa Pro eligendo Romano Pontifice, il 18 aprile 2005),   

 

 

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