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L’ATTENZIONE DI GESU AL GRIDO DEI LEBBROSI

Introduzione: lo stato miserevole del lebbroso

Nel racconto della guarigione dalla lebbra (Lc 17,11-19), Luca presenta Gesù in procinto di entrare in un villaggio, probabilmente per fare sosta, mentre dieci lebbrosi gli vanno incontro. Essi stanno a una certa distanza per osservare le prescrizioni della legge secondo Lv 13,45-46: “Il lebbroso, colpito dalla lebbra, porterà vesti strappate e il capo scoperto, si coprirà la barba e andrà gridando: ‘Immondo, immondo’. Sarà immondo finché avrà la piaga; è immondo, se ne starà solo, abiterà fuori dall’accampamento”.
Il malato di lebbra in Israele, come generalmente nella società antica, non è ritenuto un semplice infermo, piagato nel corpo, ma è posto in una situazione particolare. Anzitutto veniva escluso dalla famiglia, era allontanato dalle città circoscritte con le mura e doveva vivere ai margini della vita sociale. Respinto dalla comunità religiosa, era considerato un essere castigato da Dio e la lebbra ne era il segno. Per paura di contagio, egli non poteva avvicinarsi, doveva farsi riconoscere e rimanere a una certa distanza. L’unica possibilità concessagli era di fare vita comune con le persone colpite dalla medesima malattia. Nel presente caso si tratta di un gruppo di dieci individui.

1. L’invocazione angosciante e confidente

Si legge che: “Alzarono la voce, dicendo: ‘Gesù maestro, abbi pietà di noi’”. Pur stando in lontananza, nulla vieta loro di gridare, di chiedere aiuto, per superare lo spazio che li separa da Gesù, in modo che egli possa dare ascolto al loro dramma. Ancora più marcatamente il grido vuole mostrare tutta la gravità della loro disgrazia, affinché giunga al cuore del maestro e lo muova a pietà. Esso sgorga dalla fiducia che pongono in colui di cui hanno certamente sentito parlare, ne hanno conosciuto la fama e il potere di guarire.
Proseguono dicendo: “Abbi pietà di noi”. Tutti dieci sono uniti nella preghiera di petizione, originata dalla stessa miseria e dallo stesso dolore. Non avendo la capacità di aiutarsi da soli, non possono far altro che ricevere soccorso dall’esterno; in questo momento si affidano a uno che ha potere sulla loro malattia e sperano sia disposto a impiegarlo in loro favore.
In molti casi Gesù anticipa colui o coloro che si trovano in situazioni disperate, qui invece è preceduto dall’iniziativa dei lebbrosi, in quanto sono essi che invocano pietà e lui lascia che lo preghino. Tuttavia egli non si avvicina per guarirli istantaneamente, ma “vedendoli, disse loro: ‘Andate, mostratevi ai sacerdoti’”. Non solo li ascolta, ma li vede. Il fatto che Gesù veda, non denota una semplice constatazione, ma esprime una concentrazione del suo animo su di essi, un sentimento di pietà a cui fa seguito un intervento salvifico.
Le sue parole sorprendono e appaiono assai strane: “Andate, mostratevi ai sacerdoti”. Non si accosta ad essi, ma piuttosto li manda via, lontano da sé. Può dare l’impressione che voglia liberarsi di loro. Un modo di dire quasi per sbarazzarsene, nell’impossibilità di fare qualcosa per essi. Li invia dai sacerdoti senza aver compiuto concretamente nulla di buono.
Ma il testo dà subito la lieta notizia: “E avvenne che, mentre andavano, furono mondati”. Tutti e dieci hanno superato la prova della fede, hanno obbedito e ricevuto il dono della guarigione, un dono veramente straordinario per la loro vita. Non si tratta soltanto della salute riacquistata, ma più globalmente di una purificazione, che li rende di nuovo idonei a essere inseriti in famiglia e in società, un rinnovamento totale. Gesù rivolge la sua attenzione a tutti quei dieci lebbrosi, senza eccezione di persona.

2. La generosità di Gesù e la corrispondenza degli uomini

Se generosa e universale appare la sua azione salvifica, altrettanto determinante e decisiva per la salvezza risulta la risposta libera dei dieci uomini. Il racconto lo fa subito notare: “Allora uno solo di loro, vedendosi guarito, ritornò indietro glorificando Dio a gran voce”. Tutti sono stati guariti, ma non tutti hanno corrisposto interiormente all’intervento miracoloso, anzi la proporzione è sorprendente: solo uno su dieci ha sentito il bisogno di glorificare Dio.
Il racconto prosegue dicendo che il lebbroso guarito “si gettò ai piedi di Gesù, ringraziandolo”. Oltre a magnificare Dio, egli ringrazia il guaritore, considerando come un dono di Dio l’opera che Gesù ha compiuto. È questo un atto di autentica fede che riconosce in Cristo lo strumento della potenza divina. Per tale motivo torna da lui e si prostra ai suoi piedi. Da lebbroso si era fermato a distanza, da sano può finalmente incontrare e vedere da vicino colui che lo ha soccorso e gli ha trasmesso la grazia di Dio.
A questo punto l’evangelista dà notizie sull’identità del lebbroso: “Era un samaritano”. Questa rivelazione fa sbigottire, suscita stupore. Gesù stesso lo rimarca: “Uno straniero”, cioè un estraneo avverso, proprio lui, che dovrebbe essere il peggiore di tutti e sinceramente detestato.
Le parole di Gesù indicano anzitutto constatazione, sorpresa amara. Pensa agli altri nove e chiede come per capacitarsi: “Non sono stati mondati i dieci? E i nove dove sono?”. Si capisce bene la sua reazione sconcertante, poiché c’è veramente sproporzione tra la salvezza rivolta a tutti e la risposta riconoscente di uno solo. Se la percentuale che si rivela dall’attuale episodio dovesse essere normativa, chiunque rimarrebbe sgomento. D’altra parte di fronte alla libera corrispondenza dell’uomo Gesù non può fare altro che riscontrare il fatto; egli non può togliere ad alcuno la libertà di accogliere la sua grazia. Da qui la domanda ansiosa e addolorata insieme: “E i nove dove sono?”. La consapevolezza che uno solo, per di più samaritano, abbia dato segno di riconoscenza, mentre gli altri si siano dileguati nell’indifferenza e nell’ingratitudine, ha per effetto un senso di tristezza.
“Non sono stati trovati coloro che tornassero a dar gloria a Dio all’infuori di questo straniero?”. L’insistenza nel domandare manifesta ancora maggiormente l’animo addolorato di Gesù, la cui azione miracolosa non ha avuto altro scopo che quello di condurre gli uomini a scoprire la gloria del Padre suo, in modo che per suo mezzo abbiano accesso alla casa paterna. Questa è la vera salvezza. Egli inoltre constata che non si è trovato alcuno che rendesse gloria a Dio, neanche tra coloro che hanno sperimentato nella loro carne l’intervento divino; nessuno di loro, eccetto uno “straniero”. Strano paradosso. Proprio costui, umanamente più lontano, è riuscito a superare ogni ostacolo per avvicinarsi a Cristo. Egli rappresenta una luce in mezzo alle tenebre, come indicano le ultime parole di Gesù, che non si sofferma più sull’ingratitudine dei nove, ma guarda questo samaritano, per lui estraneo, ma vicino, anzi intimo al suo cuore: “Alzati e va’; la tua fede ti ha salvato”.

Conclusione: quale l’atteggiamento umano davanti alla bontà del Signore?

Grande e meravigliosa la bontà di Gesù ma ristretta e meschina la gratitudine umana! Questo costituisce il mistero e il dramma della divina misericordia: Dio si china amorevolmente verso le debolezze e miserie umane, ma l’uomo fatica a elevarsi e aprirsi all’azione benefica del Signore. Perché succede questo strano paradossale fenomeno?
A questo punto la riflessione si fa cocente e urgente, nel senso che deve suscitare in tutti noi il desiderio interiore, l’anelito e la ricerca del dono di amore divino, perché solo Dio può appagare e risolvere le nostre tribolazioni e le difficoltà a tutti i livelli. In questo modo si attua la divina misericordia e si ristabilisce la comunione di fede con Dio, che consente di recuperare e cogliere la pienezza della nostra salvezza terrena ed eterna.

 

Don Renzo Lavatori


 

 

 

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