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Approfondimenti

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GESÙ RISORTO E VIVO: TOMMASO L’INCREDULO



La figura di Tommaso è già comparsa due volte nel vangelo: alla morte di Lazzaro (Gv 11,16), quando propone di seguire Gesù fino a morire con lui, e nel cenacolo (Gv 14,5), dove chiede incuriosito e indeciso: “Signore, non sappiamo dove vai e come possiamo conoscere la via?”. In ambedue i casi appare la sua personalità di uomo pratico e di buon senso. Egli non riesce a capire sempre i punti di vista di Gesù, ma gli è fedele, a suo modo, ed esprime la sua generosità; non conosce concretamente la via del Signore, ma con la sua domanda dimostra che gli interessa. Non è che non voglia seguire il Maestro, ma gli riesce difficile comprenderlo.
L’incredulità di Tommaso verso il Risorto non è provocata da animo cattivo, ma dalla ristrettezza della mente, legata alla visione terrena delle cose. Sotto questo aspetto egli può essere identificato con ogni discepolo di Cristo, prima dell’esperienza pasquale (cf. Mt 28,7; Mc 11-13.14; Lc 24,11.25.38.41). Per tale ragione non accetta la dichiarazione dei suoi amici: “Abbiamo visto il Risorto” (Gv 20,25). Per lui è un’affermazione soltanto teorica. Anche lui ha visto il Signore, ma sulla croce; è rimasto toccato da quei chiodi, da quelle ferite, da quel dolore atroce. Com’è possibile una visione diversa del Cristo? Egli è fermo al crocifisso e non vuole spostarsi di là. A quello, sì, ci crede, perché lo ha visto realmente. Il resto sono tutte fantasie. Si spiega così la sua richiesta di una prova concreta e tangibile: vedere il segno dei chiodi e toccare le ferite di Gesù. Solo allora anch’egli potrà credere.


Indugio alla fede

Si nota in Tommaso una certa durezza e un indugio alla fede, non un rifiuto. È vero che una fede basata sul vedere fisico non è sufficiente, ma può essere un inizio che conduce alla piena fede cristologica, diversamente da coloro che pur avendo visto non hanno creduto (Gv 6,36). Tuttavia una fede fondata sulla sola parola di Gesù è superiore (cf. Gv 10,38; 14,11). L’evangelista vuole descrivere un cammino completo di fede. Per questo introduce l’apparizione del Risorto, a porte chiuse (Gv 20,26), nella realtà di corpo glorioso, quasi per scuotere l’animo dubbioso e incerto di Tommaso.
Gesù rinnova il saluto pasquale: “Pace a voi”, poi si rivolge subito a Tommaso. È chiara l’intenzione di muovere il cuore del discepolo. Egli riprende testualmente le espressioni proferite dall’apostolo ai suoi amici: “Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato” (Gv 20,27). La ripetizione delle parole, che Tommaso aveva detto agli altri, serve a colpirlo nell’intimo. Egli si rende conto che Gesù vede nell’animo e prova vergogna di se stesso, insieme rimane sorpreso della bontà del Maestro, che gli viene incontro per esaudire il suo desiderio. Sono due segni precisi, la conoscenza divina e la misericordia, che fanno cadere ogni resistenza.
Poi il Signore lo richiama alla fede: “Non essere incredulo, ma credente” (Gv 20,27). Infatti c’era il pericolo che Tommaso diventasse miscredente, dopo il fallimento della croce, se l’aiuto di Gesù non l’avesse sorretto e stimolato. Egli deve approfondire l’esperienza precedente, non può fermarsi ad una concezione generica del Messia, ma deve accogliere il Figlio dell’uomo glorificato dopo la sua morte. La sua fede deve diventare un’adesione a Cristo nel senso pieno e maturo.


Professione della fede

All’invito di Gesù Tommaso apre il suo cuore e proclama con sincerità e totalità la sua convinzione: “Mio Signore e mio Dio!” (Gv 20,28). È una professione calorosa, un’espressione di adorazione, una preghiera, un ringraziamento. Certo è molto più di un semplice riconoscimento del Messia. Essa indica la certezza proveniente dall’animo dell’apostolo, ma risuona in tutta la Chiesa ed è valida per ogni credente di ogni tempo. È una formula che esprime l’essenza stessa del vangelo di Giovanni. Tommaso ha riconosciuto nel Risorto, che identifica con il crocifisso e con il Gesù terreno a lui familiare, ora glorioso, una persona che è pienamente Dio, il suo Signore.
Gesù accoglie la confessione sincera di Tommaso, ma gli rimprovera di aver creduto solo dopo aver visto (Gv 20,29). Il percorso di fede ha portato l’apostolo a riconoscere il Risorto attraverso la constatazione sensibile della sua presenza, come d’altronde hanno fatto gli altri discepoli. Ciò non sarà più possibile ai credenti che verranno dopo di loro, i quali dovranno credere in Cristo senza poter toccare o vedere il suo corpo glorioso, ma fidandosi della testimonianza degli apostoli. Essi saranno ugualmente beati, perché, per mezzo della fede, potranno avere lo stesso rapporto di comunione e di amore con Gesù, il quale è ormai vivo e presente nella Chiesa.
Solo dopo la risurrezione i discepoli hanno una conoscenza vera di Gesù, affermandolo come loro Signore e loro Dio (Gv 20,28), riconoscendo in lui tutta la pienezza del suo mistero che si è compiuto nella morte e nella glorificazione. Dopo lo scandalo della croce, che li aveva disorientati e dispersi, essi si ritrovano insieme e, dietro le apparizioni del Risorto, si rendono conto del disegno salvifico del Messia che doveva patire e soffrire molto e poi risuscitare per portare la salvezza al mondo (Lc 24,46). I loro occhi si aprono a una comprensione piena di Gesù di Nazaret, con il quale avevano vissuto e del quale riconoscevano la straordinaria personalità e la potenza, ma che ancora non credevano fosse veramente il Figlio di Dio e Messia. Con la pasqua si attua una presa di coscienza decisiva della loro fede, che li rende idonei ad annunciare a tutte le genti l’evento della salvezza compiutosi nel Cristo morto e risorto e a proclamare che egli è il Signore.
Per essi si è verificato un passaggio, la pasqua, che li ha portati da una fede ancora umana e giudaica a una fede illuminata e aderente al piano di Dio, come accade in questo episodio di Tommaso come anche dei discepoli di Emmaus (Lc 24,13-35) e nella visione di Maria di Magdala (Gv 20,11-18).

Don Renzo



 

 

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