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Approfondimenti

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FEDE E VITA


La fede si inserisce nell'esistenza concreta del cristiano attraverso la docilità al vangelo di Cristo e al suo Spirito, che agisce nella Chiesa.

Questi incontri che teniamo alle Tre fontane acquistano molta importanza non solo per le parole, ma anche per il luogo dove siamo perchè la ricchezza spirituale è immensa. Ci sono i monaci Trappisti[1] che vivono in clausura e la loro realtà è quella di pregare. Poi c’è la chiesa di Santa Maria Scala Coeli dove sono stati martirizzati (nel 310) il tribuno Zenone e i suoi 10.203 soldati, mandati a morte da Diocleziano.
In fondo poi c’è la chiesa dove è stato martirizzato S.Paolo il 29 giugno del 67. Secondo la tradizione, la testa, cadendo a terra, avrebbe fatto tre rimbalzi, da ognuno dei quali sarebbe scaturita una fonte. In questo ambiente sacro si percepisce moltissimo la presenza della comunione dei santi e dei martiri che hanno avuto la stessa fede che dovremmo avere noi in Cristo Signore. E’ la fede che continua a sopravvivere nonostante il passare dei secoli e diventa una forza enorme anche per noi che ogni giorno dobbiamo affrontare la vita concreta.

Oggi il Tema che affronteremo è proprio questo FEDE E VITA
Nell’Avvento abbiamo riflettuto sulla natura, l’essenza, le condizioni, le difficoltà per credere. Ora dobbiamo approfondire un aspetto che ritengo molto interessante, ossia la Fede è vita. La fede non è soltanto un atto che noi facciamo alla domenica quando andiamo alle celebrazioni eucaristiche, pronunciando la professione di fede nel Credo. Oppure al mattino nelle preghiere, nell’atto di fede, come adesione a Dio. Oppure in certi momenti quando siamo provati, quando siamo nel pericolo, formuliamo espressioni di fede.
Ma la fede non è solo questo. La fede coinvolge tutta la nostra esistenza, è un abitus come dicevano i teologici medievali, cioè uno stato d’animo che portiamo dentro di noi costantemente, nei momenti belli e brutti. La fede è un atteggiamento dell’animo, un continuo affidarsi al Signore. Per questo coinvolge la vita e l’esistenza in tutti i suoi molteplici aspetti, sia personali e professionali, sia sociali, per cui è importante approfondire questo aspetto della fede.
Il credente è colui che non solo manifesta in certi momenti la sua fede, il credente è colui che vive di fede, respira la fede, fino a sentirla penetrare nel proprio intimo e diventare vita della sua vita, respiro della sua anima. Infatti la fede, come adesione a Dio, coinvolge il nostro essere e il suo orientamento fondamentale, che deve albergare nel nostro animo e che proviene da Gesù, che è la verità suprema per il credente. Il credente non deve fare altro che accogliere la verità che Gesù ha proclamato e che Lui stesso ha vissuto.
Possiamo riassumere gli atteggiamenti di fede di Cristo e le Sue parole in tre aspetti fondamentali. Gesù ha vissuto nella vita storica condividendo le situazioni delle creature umane, nella semplicità, nella povertà, nella solidarietà con gli altri, nella disponibilità generosa verso i bisognosi e i peccatori. E questo è il primo aspetto che egli ci propone.
Poi c’è il secondo aspetto quando deve affrontare la passione e la crocefissione. Lì la sua fede acquista un valore immenso specie quando poi raggiunge la gloria della risurrezione.
Il terzo aspetto sorge dalla considerazione della misericordia sgorgante dal Cuore trafitto e irrorato d’amore del Cristo

Nel primo aspetto si può dire che la fede è la caratteristica dell’infanzia spirituale e il secondo aspetto è la fede come "sapientia Crucis", la sapienza della croce, che è una vera e propria sapienza divina. Il terzo aspetto invece corrispone alla Divina Misericordia.
Questi tre aspetti devono albergare nel cuore del credente, guidare e sostenere la sua esistenza terrena, dal momento del battesimo fino alla conclusione: l’incontro finale con Cristo attraverso la morte fisica.

Primo aspetto: Infanzia spirituale: "I piccoli e i poveri in spirito"
"Noi sappiamo che la prima beatitudine che Gesù proclama è: Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Mt 5,3, il fondamento e il presupposto, che abbraccia e sintetizza tutto il vangelo. La povertà infatti indica la disponibilità del cuore ad accogliere con semplicità la salvezza che Dio offre alla creatura umana, senza pretese o schemi precedenti, ma nella totale apertura alla divina volontà. Il povero infatti è colui che non possiede nulla in proprio e in senso esclusivo, e che tende la mano per ricevere e accogliere ogni cosa che gli viene offerta come dono; riceve perciò molto ed è nell’abbondanza. Il povero sa che ogni cosa che lui ha e che costituisce la felicità e la ricchezza della sua esistenza e della propria persona, come anche le sue capacità, gli sono state date in dono da Dio e perciò sapendo che ogni cosa gli è stata data, egli non se ne impossessa, come fosse lui a procurarsela. Allora diventa libero.
Il povero dunque è quella creatura disponibile ogni volta a trovarsi senza niente perchè tutto gli è dato, ma se lui in effetti se ne appropria, ne diventa possessore, allora assume un atteggiamento di pienezza e ha paura di dare agli altri i doni che ha ricevuto e li conserva solo per sé, diventando così ricco. Essendo pieno di questi doni che ritiene suoi, non è in grado di riceverne altri. E’ come una bottiglia piena, se non si svuota del suo contenuto non può ricevere altro liquido più buono e gustoso. Ecco il senso di colui che perde la povertà anche a livello spirituale e si ritiene saturo di sé. A questo punto diventa meschino, perché volendo tenere tutto per sé, senza ricordarsi che tutto gli è stato donato da Dio al fine di usarne per il bene degli altri, difatti si chiude in se stesso senza la possibilità né di ricevere né di dare: non può ricevere in quanto è già pieno e non può dare in quanto non se la sente reputando la cosa sua. Solo il povero ha la capacità di accogliere totalmente il mistero di Dio e di poterlo godere in pienezza, senza nessuna avarizia, ingratitudine e durezza di cuore; è pronto a distribuirlo ai fratelli e a ricevere altri doni interrottamente fino alla fine della vita terrena.
Per precisare ulteriormente questa povertà di spirito, Gesù usa un’espressione che indica in che cosa consista questa povertà di spirito: è la consapevolezza della propria piccolezza umana, che si contrappone appunto alla sicurezza di sé e alla presunzione. Si tratta della parabola del fariseo e del pubblicano, la quale esprime bene la diversità di atteggiamento di colui che si ritiene misero e peccatore, da colui che invece si crede giusto e vanta dei diritti davanti a Dio. (Lc 18,9-14) Proprio dopo il racconto di questa parabola, quasi come conferma delle sue parole, Gesù accarezza dei bambini e proclama la loro semplicità quale condizione per appartenere al regno di Dio.[2]
In un'altra espressione Gesù dice: Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, vi dico, cercheranno di entrarvi, ma non ci riusciranno. Lc 13,24 Perchè stretta? Perchè se ci facciamo gonfi e grossi non entriamo in quella porta, se siamo invece magri e mingherlini, a livello spirituale, passiamo. L’esempio è facile da capire.

Dunque l’infanzia spirituale consiste nell’atteggiamento di abbandono e di purezza interiore tipica dei bambini, che sono gli ultimi, i meno considerati, opposti ai primi, ai dominatori e ai potenti. Chi vive in tale spirito di povertà si ritiene come un bambino che ha bisogno sempre di suo padre, che è Dio, e riesce a comprendere il senso e il valore autentico del regno dei cieli e si dispone all’ascolto, all’annuncio e alla grazia dello Spirito santo Allora i piccoli, come i bambini, sono coloro che possono entrare nel regno e lo anticipano già su questa terra.
Un esempio di tale piccolezza, l’infanzia sprituale, l’abbiamo in santa Teresa di Lisieux, che nel 1997 Giovanni Paolo II dichiarò Dottore della Chiesa, proprio per la sua impostazione evangelica. Non ha detto niente di nuovo, semplicemente ha vissuto e accolto con le sue caratteristiche l’espressione evangelica di Cristo: se non tornerete come bambini non potrete entrare.
Andando ad approfondire meglio questo aspetto dell’infanzia spirituale, Gesù ce lo spiega chiaramente nella preghiera che rivolge al Padre, l’inno di giubilo, in cui annuncia la rivelazione del regno di Dio. Lui veramente è il povero, lui veramente è il bambino perchè è stato considerato l’ultimo tra gli uomini e ha vissuto questa povertà e piccolezza come Figlio docilissimo al Padre.
La determinazione propria del piccolo, del povero in spirito è data da colui che si sente figlio, abbracciato, perdonato e irrorato dall’amore paterno di Dio. Questa è la grande scoperta del cristianesimo che Gesù ci ha dato soprattutto nel suo atteggiamento costante di amore e affidamento al Padre. In Lui si nota questa la dimensione interiore di una creatura umana, (oltre ad essere Dio), la quale si affida totalmente al volere, al progetto e alla sapienza del Padre. Questo aspetto della filiazione divina Gesù non lo ha riservato solo per se stesso, ma ha concesso ai suoi discepoli di partecipare al medesimo atteggiamento filiale, insegnando loro la preghiera del Padre nostro. Paolo infatti dice che i cristiani si rivolgono a Dio come Gesù, invocandolo con il termine aramaico dolcissimo “Abba, Padre!”. E’ qui il segreto di una fede che si fa vita in quanto la creatura umana, seguendo l’esempio di Cristo e lasciandosi avvolgere dal suo spirito, vive la sua esperienza di povertà, d’infanzia e di filiazione.
In un altro nostro incontro dicevamo che la fede trasforma la vita umana perchè senza la fede, che scopre Dio come Padre, nel Cristo Figlio che lo ha rivelato, attraverso la potenza dello Spirito, l’uomo resta schiavo, servo, legato al proprio egoismo, alla realtà della carne, alla schiavitù della morte e del peccato. E finché non scopre questa dimensione filiale anche il suo rapporto di fede diventa conflittuante e angosciante, perchè sente Dio come padrone e non come Padre.
Oggi nella liturgia ricordiamo la Trasfigurazione di Gesù: nella nube la voce celeste dice:«Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!».
Ma questa voce, che hanno sentito gli apostoli, risuona negli apostoli stessi; e nel giorno del nostro battesimo anche noi abbiamo ascoltato nello spirito, attraverso i nostri genitori e padrini, la voce del Padre che ci ha riconosciuto come suoi figli.
Queste parole possono risuonare costantemente in ogni persona di fede, che le assapora e le vive con la confidenza, con la fiducia, con l’abbandono a Dio, il Padre buono e meraviglioso, che non potrà mai tradire il proprio figlio, non lo potrà mai abbandonare. Da qui si scopre come la vita di fede diventa una ricchezza enorme di gioia, di speranza, di fiducia, di serenità e di pace, che nessuna tempesta, nessuna contrarietà, nessun ostacolo la può soffocare.

Il secondo aspetto è la sapientia Crucis .
Qui si tratta di conoscere in modo concreto l’attuarsi del piano salvifico del Padre che trova il culmine sulla croce. Capire questo significa accogliere la verità sconvolgente di Dio.
C’è un testo molto bello di Paolo che ora riporto, tratto dalla 1^ lettera ai Corinzi:
Anch’io, o fratelli, quando sono venuto tra voi, non mi sono presentato ad annunziarvi la testimonianza di Dio con sublimità di parola o di sapienza. 2Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e questi crocifisso.[3] Io venni in mezzo a voi in debolezza e con molto timore e trepidazione;[4] e la mia parola e il mio messaggio non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza,[5] perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio.[6]
Tra i perfetti parliamo, sì, di sapienza, ma di una sapienza che non è di questo mondo, né dei dominatori di questo mondo che vengono ridotti al nulla;[7] parliamo di una sapienza divina, misteriosa, che è rimasta nascosta, e che Dio ha preordinato prima dei secoli per la nostra gloria.
1Cor 2,1-7
Questa sapienza è quella della croce che si fa fatica ad accettare come vera sapienza. Di fronte a una simile logica sconvolgente, la ragione umana che cerca il potere, la ricchezza, la carriera, il benessere, sente una contraddizione perchè sembra che solo nella sofferenza ci sia la pienezza e la propria salvezza. Come è possibile?
Gesù in forza della sua esperienza personale ha insegnato che è proprio questo il modo di agire di Dio. E Paolo lo dice: gli ebrei cercano i miracoli, perchè sono molto religiosi, ma i miracoli colpiscono la curiosità umana e ottengono la gloria di chi li compie; i greci dal canto loro confidano nella capacità della propria ragione appoggiandosi sulle sicurezze umane, ma questa sapienza si fa stoltezza davanti agli occhi di Dio. La motivazione di tale contrapposizione tra il ragionare umanoe la scienza divina sta in un mistero che dovremmo sapere se siamo come bambini e ci affidiamo come figli alla sapienza del Padre, che vuole manifestare la Sua infinita potenza, la Sua grandezza, che supera ogni logica. Come ha fatto Gesù Cristo, appunto, che ha accettato il patimento della croce, ma per poi risorgere. Gesù, quando preannuncia la sua morte e resurrezione, dice: “Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. 35Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà. Mc8,34-35 Queste parole fortemente paradossali e impressionanti, come è possibile accoglierle, capirle e soprattutto viverle?
Prendere la croce su di sé e rinnegare se stessi vuol dire andare contro il nostro io, ma se così facciamo, se così accettiamo, allora sperimenteremo l’infinita sapienza e potenza di Dio, che sa trasformare la debolezza in forza, la sofferenza in gioia, addirittura i peccati in grazia. Ciò costituisce la suprema sapienza di Dio. Se l’uomo fosse capace con le sue proprie virtù e le sue doti di fare questo passaggio dalla sofferenza alla gioia, dalla sconfitta alla vittoria, non potrebbe magnificare il Signore, perchè sarebbe lui l’artefice di una tale trasformazione, ma di fatto si rende conto che non ne è capace, povero e debole come si ritrova.
Solo il piccolo capisce la sapienza della croce, perchè si rende conto che le sue capacità limitatissime, dal punto di vista umano, sono inidonee, incapaci di fare questo salto, questo passaggio, questa Pasqua, come è avvenuto per Gesù morto e risorto, crocifisso e glorioso, impotente e onnipotente.. Questo è il mistero enorme … e Maria lo ha cantato nella bellissima lode davanti ad Elisabetta: l’anima mia magnifica il Signore, rende grande al Signore, perchè ha guardato l’umiltà della sua serva … .Questa è la felicità da scoprire,
E non c’è altra strada fuori dalla sapienza della croce per riacquistare la pienezza della comunione con Dio proprio perchè solo così noi possiamo riconoscere umilmente, ma con gratitudine, la bontà di Dio e la Sua sapienza infinita.
Paolo dice che se i sapienti di questo mondo avessero capito la sapienza suprema di Dio, non avrebbero ucciso il salvatore del mondo. Erano imprigionati in una logica umana del potere e della ricchezza, che è passeggera e finisce con la morte.

Ora arriviamo al terzo aspetto cioè l’Economia della divina misericordia.
Oggi si parla molto della misericordia di Dio ma il senso vero c’è da capirlo bene.
La misericordia di Dio è l’espressione della Sua sapienza infinita da una parte e dall’altra sta l’abisso della miseria umana, il peccato, quale totale rifiuto alla verità di Dio, del Suo amore.
La divina misericordia portata da Cristo e soprattutto attuata col Suo sacrificio sulla croce è la seguente: la potenza di Dio è così grande che sa trasformare con la sua grazia infiita il peccato in santità. Questo è il mistero enorme … Infatti se non ci fosse la Divina Misericordia, ci sarebbe solo la giustizia di Dio che porterebbe unicamente alla condanna del peccato e dell’uomo peccatore, perché noi non saremmo capaci di trasformare il peccato in grazia. Solo Dio, con il sacrificio cruento di Suo Figlio, Verbo incarnato, sulla croce ha potuto fare questa trasfigurazione. E noi piccole creature soggette alla morte e al peccato, distrutte per sempre, ha fatto rifiorire e rigenerare in figli suoi, ricolmi di santità e amore, di giustizia e pace. Questo straordinario miracolo è proprio espresso nella Divina Misericordia.
A questo punto anticipiamo la resurrezione di Cristo, andiamo verso la Sua passione e la Sua morte, ma sappiamo che non finisce lì, da lì inizia la vera Pasqua perchè Gesù risorge dal sepolcro e distrugge la morte per l’infinita potenza del Padre e con la potenza del Suo Santo Spirito vivificante: Gesù morto e sepolto ritrova la vita nuova nello Spirito che è indistruttibile e immortale. E’ sorprendente e inaudito questo pensiero ma è la divina sapienza che ha compiuto la trasformazione e che va accolta nella fede, mentre la ragione è incapace di capire..
Tale pensiero sconcerta anche l’animo di Paolo che lo esprime nella lettera ai Romani. Lui sente un problema molto forte, quello del popolo giudaico che ha rifiutato la salvezza del Cristo; pur essendo il popolo dell’alleanza e della promessa messianica, è rimasto chiuso e legato al rigore della Legge, perchè pensava che fosse la legge a giustificare il peccato dell’uomo, mentre la legge lo fa capire, ma non lo può redimere. La divina misericordia supera la Legge, perchè noi siamo stati salvati non per le opere buone che seguono la legge, ma per l’accoglienza dell’infinita bontà del Padre che ha immolato sulla croce il Suo unico figlio.
Paolo resta amareggiato che il popolo, a cui lui appartiene, non abbia accettato la salvezza del Cristo e rivolgendosi ai romani, che erano pagani convertiti a Cristo, dice: Come voi un tempo siete stati disobbedienti a Dio e ora avete ottenuto misericordia per la loro disobbedienza,così anch’essi ora sono diventati disobbedienti in vista della misericordia usata verso di voi, perché anch’essi ottengano misericordia. Dio infatti ha rinchiuso tutti nella disobbedienza, per usare a tutti misericordia!Rm 11,30-32
Con queste parole viene spiegato il mistero della divina misericordia. Paolo poi conclude con quella famosa espressione di esultanza e di profonda contemplazione interiore:
O profondità della ricchezza, della sapienza e della scienza di Dio! Quanto sono imperscrutabili i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie!
Per questo motivo Gesù dice che i peccatori e le prostitute vi precederanno, perchè essi hanno avuto la consapevolezza della propria miseria e allora la Divina Misericordia si è effusa in abbondanza su di loro. Chi si ritiene giusto in forza delle leggi, lo fa solo formalmente, e non riconosce il proprio bisogno di redenzione, rimane chiuso e imprigionato nella esecuzione della legge senza assaporare l’amore, perciò resta escluso dalla Divina Misericordia. Ecco il punto delicato, profondo che scuote il nostro cuore. Più noi ci conosciamo peccatori, deboli e fragili, più la divina potenza si china su di noi e ci abbraccia per purificarci e redimerci e portarci verso la santità divina.
Nessuno davanti a Dio ha il diritto alla salvezza, nessuno può ritenersi a posto, perchè tutti gli uomini ricevono la salvezza come dono della misericordia divina. Dice il salmo:
"Misericordias Domini in aeternum cantabo - Canterò in eterno le misericordie del Signore" come Maria nel Magnificat. Noi nell’eternità non faremo altro che cantare con gioia e ringraziare Colui che ci ha salvato, redento da tutte le nostre miserie. Ma se non esperimentiamo prima la nostra piccolezza, non potremo arrivare a comprendere tale infinito mistero di amore e di sapienza. Paradossalmente i due estremi si toccano: la povertà dell’uomo e l’infinita potenza di Dio, così distanti, ma nel momento in cui l’uomo si trova incappato nella propria debolezza estrema, Dio lo abbraccia e gli dona il suo amore sconfinato e superiore ad ogni aspettativa umana.

Questo è il senso della fede che si fa vita nel senso che coinvolge tutto il nostro essere dalla nascita alla morte. Se accettiamo e viviamo dal profondo del nostro cuore questi tre aspetti:
la povertà dello spirito
l’infanzia spirituale
accogliendo la Divina Misericordia, otterremo la salvezza per tutta l’eternità.

Prima di chiudere vi riporto una bellissima riflessione di Mons. Lebrun, ispirata alla Divina Misericordia di Santa Faustina Kowalskal. Gesù parla all’Anima e dice:

 

AMAMI COME SEI


"Conosco la tua miseria, le lotte e le tribolazioni della tua anima, le deficienze e le infermità del tuo corpo; so la tua viltà, i tuoi peccati, e ti dico lo stesso: Dammi il tuo cuore, amami come sei...
Se aspetti di essere un angelo per abbandonarti all'amore, non amerai mai. Anche se sei vile nella pratica del dovere e della virtù, se ricadi spesso in quelle colpe che vorresti non ricommettere più, non ti permetto di non amarmi.
Amami come sei.
In ogni istante e in qualunque situazione tu sia, nel fervore o nell'aridità, nella fedeltà o nella infedeltà, amami... come sei...
Voglio l'amore del tuo povero cuore; se aspetti di essere perfetto, non mi amerai mai.
Non potrei forse fare di ogni granello di sabbia un serafino radioso di purezza, di nobiltà e di amore? Non sono io l'Onnipotente? E se mi piace lasciare nel nulla quegli esseri meravigliosi e preferire il povero amore del tuo cuore, non sono io padrone del mio amore?
Figlio mio, lascia che io Ti ami, voglio il tuo cuore. Certo voglio col tempo trasformarti, ma per ora ti amo come sei... e desidero che tu faccia lo stesso; io voglio vedere dai bassifondi della miseria salire l'amore. Amo in te anche la tua debolezza, amo l'amore di poveri e dei miserabili; voglio che dai cenci salga continuamente un gran grido: "Gesù ti amo".
Voglio unicamente il canto del tuo cuore, non ho bisogno nè' della tua scienza, nè' del tuo talento.
Una cosa sola m'importa, di vederti lavorare con amore.
Non sono le tue virtù che desidero; se te ne dessi, sei così debole che alimenterebbero il tuo amor proprio; non ti preoccupare di questo. Avrei potuto destinarti a grandi cose; no, sarai il servo inutile; ti prenderò persino il poco che hai... perché ti ho creato soltanto per l'amore.

Oggi sto alla porta del tuo cuore come un mendicante, io il Re dei Re! Busso e aspetto; affrettati ad aprirmi. Non allargare la tua miseria; se tu conoscessi perfettamente la tua indigenza, moriresti di dolore. Ciò che mi ferirebbe il cuore sarebbe di vederti dubitare di me e mancare di fiducia.
Voglio che tu pensi a me ogni ora del giorno e della notte; voglio che tu faccia anche l'azione più insignificante solo per amore. Conto su di te per darmi gioia...
Non ti preoccupare di non possedere virtù; ti darò le mie.
Quando dovrai soffrire ti darò la forza. Mi hai dato l'amore, ti darò di saper amare al di là di quanto puoi sognare...
Ma ricordati... amami come sei...
Ti ho dato mia Madre; fa passare, fa passare tutto dal suo Cuore così puro.
Qualunque cosa accada, non aspettare di essere santo per abbandonarti all'amore, non mi ameresti mai... Va..."

Don Renzo Lavatori

 


[1] Nel suo complesso, la storia dell'Abbazia delle Tre Fontane così come è giunta ai giorni nostri risale all'anno 1140, quando papa Innocenzo II dopo aver iniziato i lavori di restauro del monastero, in stato di abbandono, lo donò a San Bernardo di Clairvaux e quindi all'ordine cistercense, come segno di gratitudine verso il Santo, che tanto aveva fatto per riportare la pace nella Chiesa durante lo scisma di Anacleto II. I lavori di restauro e ricostruzione si protrassero fino verso la fine del XII secolo scanditi in due tempi a partire appunto dal 1140.
Attualmente, dopo lunghe traversie e distruzioni con bolla papale del 1868 l'abbazia venne affidata a monaci trappisti.

[2] “Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite perché a chi è come loro appartiene il regno di Dio. In verità vi dico: Chi non accoglie il regno di Dio come un bambino, non vi entrerà”. Lc 18,15-17

[3] E’ stata la terza donna a ricevere tale titolo dopo S. Caterina da Siena e Santa Teresa d’Avila

[4] Voi avete ricevuto uno Spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: “Abba, Padre!”. Lo Spirito stesso attesta che siamo figli di Dio. Rm 8,15-16

[5] 22 E mentre i Giudei chiedono i miracoli e i Greci cercano la sapienza, 23 noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani; 24ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, predichiamo Cristo potenza di Dio e sapienza di Dio. 25Perché ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini. 1Cor 1,22-25

[6] parliamo di una sapienza divina, misteriosa, che è rimasta nascosta, e che Dio ha preordinato prima dei secoli per la nostra gloria. 8Nessuno dei dominatori di questo mondo ha potuto conoscerla; se l’avessero conosciuta, non avrebbero crocifisso il Signore della gloria 1Cor 2,6-7

[7] E Gesù disse loro: “In verità vi dico: I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio Mt 21,31

 

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