Approfondimenti
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RIFLESSIONI SULLA PREGHIERA DEL PADRE NOSTRO DI SAN CIPRIANO
In questo tempo estivo credo sia buono riflettere sulla preghiera che Gesù stesso ci ha insegnato e che è rivolta al Padre Celeste. In essa è contenuto in sintesi il messaggio evangelico e pertanto il Padre Nostro diventa la preghiera per eccellenza, la più importante perché suggerita da Gesù, e che ci fa entrare nel mistero d’amore rivelato dal Figlio suo per comunicare nel nostro cuore il rapporto filiale con Dio nostro Padre. Ritengo essenziale che questa preghiera si ponga al centro di tutte le preghiere e che formi il tessuto della nostra preghiera cristiana, affinché ogni volta che la recitiamo, entriamo più profondamente e dolcemente nella comunione tra Dio nostro Padre e noi suoi figli nel Figlio Gesù. Spesse volte però questa preghiera viene ripetuta in fretta, con superficialità e senza entrare nel significato vitale che essa comporta. Anche nella liturgia eucaristica, quando il sacerdote invita l’assemblea a fare la preghiera insegnata da Gesù, il popolo recita con velocità quella bellissima preghiera. Per questa ragione, quando abbiamo più tempo nei mesi di ferie, vi ripropongo le spiegazioni interessanti e suggestive di San Cipriano, uno dei primi antichi Padri della Chiesa. Ascoltiamo perciò le sue indicazioni con spirito di raccoglimento e di apertura di cuore per accogliere, vivere e testimoniare il valore di questa preghiera che apre le porte al cielo perché si attui fra Dio e noi una sublime cooperazione. Invito tutti a riflettere e assimilare quello che San Cipriano ci suggerisce.
Uniti nella comunione con Dio nostro Padre attraverso il Figlio suo incarnato nella potenza dello Spirito Santo, restiamo saldi nella fede e gioiosi nel nostro percorso terreno in questi tempo di riposo. Un abbraccio in Cristo, don Renzo.
Dal trattato «Sul Padre nostro» di san Cipriano, vescovo e martire
Nn. 8-9; CSEL 3, 271-272)
La nostra preghiera deve essere pubblica e universale
Innanzitutto il dottore della pace e maestro dell'unità non volle che la preghiera fosse esclusivamente individuale e privata, cioè egoistica, come quando uno prega soltanto per sé. Non diciamo «Padre mio, che sei nei cieli», né: «Dammi oggi il mio pane», né ciascuno chiede che sia rimesso soltanto il suo debito, o implora per sé solo di non essere indotto in tentazione o di essere liberato dal male. Per noi la preghiera è pubblica e universale, «quando preghiamo, non imploriamo per uno solo, ma per tutto il popolo, poiché tutto il popolo forma una cosa sola.
Il Dio della pace e maestro della concordia, che ha insegnato l'unità, volle che ciascuno pregasse per tutti, così come egli portò tutti nella persona di uno solo.
Osservarono questa legge della preghiera i tre fanciulli rinchiusi nella fornace di fuoco, quando si accordarono all'unisono nella preghiera e furono unanimi nell'accordo dello spirito. Lo afferma la divina Scrittura. Dicendoci che hanno pregato uniti, ci dà un modello da seguire, perché facciamo così anche noi. Allora, dice quei tre a una sola voce cantavano un inno e benedicevano Dio (cfr. Dn 3, 51). Parlavano come a una sola voce, e Cristo non aveva ancora insegnato loro a pregare.
Proprio perché pregavano così, le loro parole furono efficaci ed esaudite: la preghiera ispirata alla pace, semplice e interiore si guadagna la benevolenza di Dio. Troviamo scritto che gli apostoli pregavano così assieme ai discepoli dopo l'ascensione del Signore. «Erano», si dice, «tutti assidui e concordi nella preghiera insieme con alcune donne e con Maria, la Madre di Gesù, e con i fratelli di lui» (At 1, 14). Erano assidui e concordi nella preghiera, manifestando, sia con l'assiduità della loro preghiera sia con la concordia, che Dio, il quale fa abitare unanimi (cfr. Sal 67, 7) nella casa, non ammette nella divina ed eterna dimora se non coloro che pregano in fusione di cuori. Quali e quante poi sono, fratelli carissimi, le rivelazioni della preghiera del Signore! Esse si trovano raccolte in una invocazione brevissima, ma carica di spirituale potenza. Non c'è assolutamente nulla che non si trovi racchiuso in questa nostra preghiera di lode e di domanda. Essa, perciò, forma un vero compendio di dottrina celeste.
L'uomo nuovo, rinato e rifatto dal suo Dio per mezzo della sua grazia, in primo luogo dice «al Padre», perché ha già incominciato ad essergli figlio. «Venne tra la sua gente», è scritto, «ma i suoi non l'hanno accolto. A quanti però l'hanno accolto, ha dato il potere di diventare figli di Dio, a quelli che credono nel suo nome» (Gv 1, 11-12).
Chi, dunque, ha creduto nel suo nome ed è diventato figlio di Dio, deve cominciare di qui, dal rendere grazie e professarsi figlio di Dio allorché indica che Dio gli è Padre nei cieli.
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