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MISERICORDIAE VULTUS - Riflessioni sulla divina misericordia














Cosa si intende per divina misericordia?
Per chiarire cosa si intenda per “divina misericordia” occorre precisare alcune idee, proprio in riferimento all’imminente inizio dell’anno giubilare indetto da Papa Francesco.
1. Anzitutto è necessario vedere alcuni errori che circolano nella mentalità di molte persone circa la divina misericordia. Possono essere elencati tre di questi errori:
Il primo errore è quello che considera la misericordia come la bontà semplicistica di un Dio bonaccione e permissivo, senza che attui un serio e sano comportamento educativo verso le creature umane, come se tutto il male fatto dall’uomo venisse spazzato via senza alcuna chiarificazione. Si arriva in tal modo alla concezione di un Dio ingenuo e debole, privo di un buon ordinamento nelle cose e nelle persone. Tale idea non è esatta perché contraddice al giusto concetto della misericordia divina.
Un secondo errore è quello che vede la misericordia in conflitto con la giustizia di Dio, come se il Dio misericordioso non fosse anche il Dio giusto. Di fatto tale visione non consente la comprensione della figura divina come ce la rappresenta la divina rivelazione contenuta nella Bibbia. Al contrario la misericordia è strettamente collegata alla divina giustizia, anzi non si può capire l’una senza tener conto dell’altra.
Un terzo errore è quello di concepire la misericordia come spettante solamente a Dio e non fosse in essa coinvolto anche l’essere umano, nel senso che Dio perdona il peccato sempre e in qualsiasi modo senza coinvolgere il pentimento e la conversione dell’uomo. Anche questo concetto è del tutto inesatto, perché la misericordia di Dio riguarda in maniera determinata e decisiva l’atteggiamento umano che accoglie il perdono di Dio nella consapevolezza del proprio peccato e nella decisione di cambiare vita. Non esiste la divina misericordia senza la cooperazione umana. Si sente dire molte volte che l’uomo può peccare e vivere nel disordine, tanto Dio è misericordioso. In tal modo la misericordia sarebbe l’origine della perenne malvagità e cattiveria umane. Ma ciò costituisce un assurdo.
2. Pertanto è necessario vedere l’ampiezza e la ricchezza della realtà della divina misericordia. Anzitutto essa consiste in un incontro di amore paterno e filiale tra Dio che si china benevolmente verso l’uomo peccatore e l’uomo che si abbandona filialmente tra le braccia del Padre celeste. In secondo luogo va detto che l’amore vero e sincero si fonda e si costruisce sulla base e la struttura della “reciprocità”, tra i due soggetti che si amano, il soggetto amante e il soggetto amato devono incontrarsi un rapporto di comunione. Nel caso della misericordia non basta che Dio ami l’uomo, occorre anche l’azione dell’uomo che si apra e si affidi all’amore divino. Se non si attua tale compresenza e congiunzione dell’amato nell’amante e dell’amante nell’amato non può sussistere in alcun modo l’amore. Ora la misericordia sta nella particolarità che l’amore divino mostra la sua benevolenza verso il soggetto umano che ha rifiutato tale amore con il peccato. L’uomo si è ribellato a Dio eppure Dio lo ricerca, lo ama e lo accoglie come suo figlio attraverso l’offerta sacrificale del proprio unico Figlio sulla croce. Perciò la misericordia è una modalità dell’amore rifiutato dall’amato umano ma non rinnegato dall’amante divino. Da parte di Dio si tratta di un amore costoso, sofferente, perciò prezioso e immenso. Non si può pensare alla misericordia di Dio Padre senza la sofferenza, la passione e la morte del Figlio Gesù crocifisso. L’amore misericordioso scaturisce dalla croce e dalla croce riceve tutto il profondo coinvolgente significato. Colui che accoglie la misericordia divina si deve rendere conto di questo aspetto e perciò deve capire che solo attraverso il dolore vissuto per amore diventa fonte di rigenerazione della creatura umana schiava del peccato e della morte.
3. Gli atteggiamenti della misericordia divina sono descritti da Luca in maniera meravigliosa nella parabola del Figlio Prodigo in cui delinea la figura del Padre con cinque verbi molto espressivi che seguono un ordine preciso: il primo è “lo vede da lontano” con lo sguardo che riconosce il proprio figlio e lo vede nella sua estrema miseria, nella sua figurazione e sporcizia, ridotto a un povero disgraziato e indigente di tutto; il secondo verbo “ne sente compassione”, nel senso che le viscere paterne si muovono con intenso trasporto e disponibilità verso suo figlio nonostante sia cosi malridotto. Anzi quello stato miserevole causa nel cuore paterno una maggiore propensione e tenerezza che lo spinge a rafforzare il suo amore per il figlio; il terzo verbo “gli corre incontro”, cioè anticipa l’incontro, nella premura che esso avvenga quanto prima possibile. Non deve rallentarsi e allungarsi il tempo di congiungersi al figlio, dimostrando un dinamismo vitale e portatore di grande tenerezza; il quarto verbo “lo abbraccia” significa l’accoglienza totale e incondizionata, senza pretendere alcuna giustificazione o qualsiasi scusa. Il padre dimostra di essere in comunione con il proprio figlio nonostante la sua povertà e meschinità quasi coprendolo con le sue braccia amorevoli e generose; il quinto “lo bacia”, il bacio indica il sigillo che chiude l’incontro dell’amore misericordioso, un vincolo che non deve più rompersi, anzi l’amante si diffonde nell’amato, mentre questi viene avvinto dall’amante e in esso si abbandona; con il bacio il padre vuole dire a suo figlio che l’amore paterno è sempre lo stesso vivo e pietoso senza alcun motivo di oscuramento e di restrizione.
4. Nella medesima parabola l’evangelista Luca delinea la figura del figlio peccatore con altri cinque verbi in perfetta corrispondenza a quelli dedicati al padre. Anzitutto il figlio “rientra in se stesso”, cioè prende coscienza chiara e netta della propria miseria e indigenza, del proprio peccato con l’animo sincero e addolorato. Vede la propria miseria e povertà in cui si trova e sente la desolazione di una situazione da cui non può uscire da solo. Gli altri, tutti gli altri, lo hanno abbandonato. Lui è solo in mezzo ai porci e non riesce neanche a nutrirsi delle carrube destinate agli animali. Si trova in una condizione al di sotto delle bestie e ormai destinato alla morte, perché privo di sostentamento e di qualsiasi aiuto; il secondo verbo “ripensa alla casa del padre”, al calore che in essa aleggia soavemente anche verso gli operai. Il suo cuore si intenerisce, rendendosi conto che solo quell’amore paterno potrebbe liberarlo da quella realtà di morte e di angoscia estrema. L’unico punto di riferimento, l’unica àncora di salvezza resta la figura paterna, da cui egli si è voluto allontanare ma di cui non può fare a meno per la sopravvivenza; il terzo verbo “tornerò dal Padre” esprime la decisione forte e sicura che solo il padre può risolvere il suo caso sventurato. Nasce cosi il proposito di cambiare il proprio modo di vivere e di risanarsi dal male che lo attanaglia e lo conduce alla morte. Il figlio quindi, consapevole del proprio stato, sente il bisogno di allontanarsi e di liberarsi da quell’angoscia; il quarto verbo “dirò di non essere più degno di considerarmi figlio ma semplicemente un servo alle dipendenze del padrone”. La sua confessione esplode dall’umiltà e dalla sincerità del proprio peccato che non merita altro che una povera accoglienza servile; il quinto verbo “si alzò” e andò verso la casa del Padre, in modo che al proposito interiore il figlio fa succedere l’azione di alzarsi, cioè elevarsi, staccarsi da quel sudiciume e bruttura bestiale. Inizia cosi la sua “risurrezione”, la liberazione, la sanazione totale. Egli così raggiunge uno stato di lontananza dalla situazione di peccato per aprirsi ad una nuova situazione di vita vera. Ma tutto ciò è appeso nella fiducia filiale verso suo padre.
5. Dall’accostamento dei due atteggiamenti: quello misericordioso infinitamente amorevole del padre e quello della decisione consapevole e della corrispondenza piena del figlio, consegue che l’atto della misericordia paterna si compie solo nell’incontro tra questi due atteggiamenti. Da qui si capisce il compito spettante alla creatura umana peccatrice e bisognosa d’amore. Essa deve riconoscere in verità la propria miseria e debolezza, il bisogno di essere perdonata e salvata. Nasce perciò la necessità di muovere il proprio cuore e aprirlo alle movenze interiori che lo spingono verso la propria redenzione e liberazione. Il bisogno di ricorrere a Dio Padre, di abbandonarsi al suo amore con semplicità e umiltà, con estrema verità costituisce l’elemento portante della divina misericordia. Il peccatore sa che nessun altro essere umano può colmare la sua fame e sete di amore incondizionato e assoluto. Per questo si rivolge alla fonte unica e totale dell’amore che sta nelle altezze divine e si china sulla terra con l’incarnazione del Figlio di Dio e il suo abbassamento sacrificale. Chi non si scuote interiormente e non muove il cuore non può accogliere l’amore misericordioso. L’uomo, chiuso nella propria durezza interiore, resta prigioniero della sua angoscia e amarezza, schiavo del proprio peccato. Ciò si vede nel comportamento del figlio maggiore il quale torna dal proprio lavoro ma non vuole entrare in casa dove si fa la festa per suo fratello ritornato. Il padre gli va incontro e lo invita ad entrare, ma egli rimane chiuso nel proprio egoismo e freddezza di cuore. Anzi giudica e condanna il padre per essere troppo amorevole verso il figlio degenere che ha consumato tutti i suoi averi e lo considera un debole ed un incapace. Di fatto resta fuori dal calore dell’amore paterno che si trova nella casa. Rimane nelle tenebre e nel freddo della solitudine e dell’incapacità di aprirsi all’amore. In lui la misericordia del padre non trova posto e non viene perciò effusa in lui.
Don Renzo Lavatori
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